Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

Dopo l’attacco frontale di Donald Trump all’Iran e all’accordo sul suo programma nucleare durante l’intervento di martedì alle Nazioni Unite, il governo americano sembra essere sul punto di accelerare le manovre per far saltare l’intesa siglata a Vienna nel 2015. Da tempo si attende dall’amministrazione repubblicana un’inversione di rotta sulla Repubblica Islamica, ma fino ad ora l’approccio di Trump è stato relativamente cauto, retorica a parte, per il timore di aggravare le tensioni con gli alleati europei che continuano ad appoggiare senza riserve l’accordo sul nucleare iraniano.

I media americani hanno anticipato questa settimana la decisione che il presidente potrebbe prendere con l’avvicinarsi della prossima scadenza contemplata dalla legge USA. Ogni 90 giorni, cioè, la Casa Bianca è tenuta a certificare al Congresso la conformità del comportamento iraniano alle condizioni dell’intesa di Vienna. La prossima scadenza è prevista per il 15 ottobre.

Trump sarebbe intenzionato a “de-certificare” l’Iran con una mossa che, se pure per molti non implica necessariamente il boicottaggio dell’accordo sul nucleare, rischierebbe probabilmente di farlo naufragare. In questo caso, la palla passerebbe al Congresso, il quale avrebbe 60 giorni di tempo per decidere se reimporre contro Teheran le sanzioni che erano state cancellate nel 2015.

Tra i parlamentari di entrambi gli schieramenti a Washington c’è una prevalenza, anche se non assoluta, di falchi sulla questione iraniana e un possibile ritorno al regime delle sanzioni spingerebbe Teheran ad abbandonare l’accordo. Anche senza azioni del Congresso, comunque, la mancata certificazione di Trump del rispetto del dettato dell’intesa da parte dell’Iran verrebbe prevedibilmente vista da questo paese come una nuova seria minaccia alla propria sicurezza.

Lo stesso Trump ha comunicato alla stampa di avere già “deciso” il da farsi sull’Iran, ma ha evitato di anticipare le sue conclusioni. Altri membri della sua amministrazione hanno delineato con sufficiente chiarezza le intenzioni della Casa Bianca, come il segretario di Stato, Rex Tillerson, impegnato mercoledì in una riunione con i rappresentati dei paesi che avevano negoziato l’accordo di Vienna, a cui ha partecipato anche il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif.

Dalle dichiarazioni di Tillerson è emerso come non vi siano ragioni tecniche per denunciare l’accordo, visto che all’Iran viene riconosciuto universalmente, compreso dagli stessi Stati Uniti, il rispetto delle condizioni imposte a Vienna. Vista dunque l’unità di vedute a livello internazionale sull’efficacia dell’intesa, l’amministrazione Trump ha alla fine abbandonato anche la finzione che le riserve sull’Iran siano legate al suo programma nucleare.

Nell’affermare che Teheran non sta rispettando lo “spirito” dell’accordo di Vienna e che in questi due anni la “minaccia” iraniana sulla regione mediorientale non è venuta meno, Tillerson rivela così molto più di quelle che sono le sue intenzioni.

L’Iran, in altre parole, ha fatto tutto ciò che gli era richiesto di fare nel quadro dell’accordo, tranne quello a cui gli Stati Uniti miravano realmente acconsentendo ai negoziati, vale a dire piegarsi agli interessi di Washington in Medio Oriente, rompere l’asse della resistenza anti-americana e quanto meno rallentare la formazione di un blocco economico-strategico euro-asiatico con Cina e Russia.

Queste sono precisamente le ragioni del nuovo attacco degli USA all’Iran ed erano in effetti anche gli obiettivi dell’amministrazione Obama nel promuovere il dialogo con Teheran. Le sezioni della classe dirigente USA tuttora favorevoli all’accordo ritengono che, attraverso un mix di pressioni e incentivi, sia possibile attrarre nell’orbita americana l’Iran, puntando soprattutto sugli esponenti moderati del regime sciita, rappresentati da Zarif e dal presidente Rouhani. Trump e i falchi “neo-con”, al contrario, sostengono una linea decisamente più aggressiva, allineata in sostanza alle posizioni di Israele e Arabia Saudita, che mira ad annichilire l’Iran, se necessario attraverso un’aggressione militare o il cambio di regime.

Il piano della Casa Bianca per cancellare i progressi fatti sui rapporti con l’Iran dopo Vienna sta già incontrando comunque la prevista opposizione di Francia, Gran Bretagna e Germania, per non parlare di Russia e Cina, tutti paesi che hanno ristabilito contatti in ambito commerciale ed energetico con la Repubblica Islamica. Le posizioni divergenti sono emerse al termine del già ricordato incontro di mercoledì a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU.

La parole più dure nei confronti degli USA sono sembrate quelle di Federica Mogherini, rappresentante UE per gli affari esteri, la quale ha affermato che “la comunità internazionale non può permettersi di smantellare un accordo che funziona e sta dando risultati”. L’ex ministro degli Esteri italiano ha poi respinto anche la proposta che il governo americano sembra essere intenzionato ad avanzare per superare le resistenze dei partner europei, cioè una possibile rinegoziazione del trattato di Vienna.

Washington spera infatti di potere introdurre una serie di nuove condizioni da dettare a Teheran a margine dell’accordo firmato nel 2015. Una manovra di questo genere vincolerebbe l’Iran ancora di più al volere delle potenze internazionali, aggiungendo nuove e più invasive ispezioni delle proprie strutture militari, ulteriori restrizioni al programma nucleare civile e, soprattutto, lo stop allo sviluppo dei missili balistici.

La questione dei missili balistici iraniani è al centro delle accuse degli Stati Uniti e sarebbe una ragione del presunto mancato rispetto dello “spirito” dell’accordo di Vienna, anche se in esso non sono contemplate restrizioni in questo ambito.

Anche considerando in buona fede l’amministrazione Trump, la proposta di riaprire i negoziati con l’Iran, così da giungere a un’estensione del trattato già sottoscritto e funzionante, è destinata a fallire e, infatti, è già stata rispedita al mittente dalla Repubblica Islamica. Una nuova trattativa implicherebbe la necessità da parte americana di fare qualche concessione per convincere l’Iran ad accettare una serie di nuove condizioni.

Con un’amministrazione Trump che già denuncia come eccessive quelle ottenute dalla Repubblica Islamica a Vienna, però, non è chiaro cosa potrebbe ricevere in cambio quest’ultima per abbandonare, ad esempio, il proprio programma di missili balistici. Essendo le forze armate USA dispiegate di fatto ai confini dell’Iran, oltretutto, rinunciarvi corrisponderebbe a una sorta di suicidio.

L’interrogativo su un possibile nuovo negoziato è ad ogni modo superfluo. Le manovre americane non sono in nessun modo rivolte a cercare una soluzione pacifica o a contenere una minaccia iraniana peraltro inesistente, ma servono unicamente a esercitare nuove pressioni su Teheran e a imporre richieste impossibili da accettare per demolire il processo diplomatico e mettere in ginocchio un paese nemico degli interessi USA in Medio Oriente.

Il disaccordo tra Washington e l’Europa sull’approccio alla questione iraniana rende ad ogni modo complicato il progetto delineato dall’amministrazione Trump. L’attitudine del governo americano, dominato dai militari e permeato da una tossica ideologia ultra-nazionalista, suggerisce tuttavia di non escludere iniziative unilaterali che, è facile prevedere, rischierebbero di aggravare seriamente le tensioni sia con l’Iran e i suoi alleati a Mosca e a Pechino sia con gli stessi governi europei.

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