A Bequia, nell’arcipelago delle Granadine, la luna illumina un arco di roccia vulcanica, le curve di porte e finestre, fino a tratteggiare un eccentrico edificio lambito dal mare e scavato nella pietra naturale dei Caraibi, una fortezza in rovina a guardia di un paradiso perduto. Le sue stanze sono vuote, come uno spazio eretto ma abbandonato da anni. Eppure, Moonhole non evoca soltanto una visione incantata opponendosi al tempo e alla solitudine, ma ha anche un’emblematica storia da raccontare.

 

 

Un lavoro a New York nel mondo della pubblicità, una vita brillante piena d’amici e ciò nonostante, alla fine degli anni Cinquanta, i coniugi Thomas e Gladys Johnston decisero di lasciare tutto e trasferirsi su un isolotto sperduto fra le isole caraibiche, eden selvaggio di spiagge incontaminate privo di strutture ricettive al contrario della vicina Mustique, meta chic e di tendenza per personaggi famosi e ricchi vacanzieri.

 

A Bequia la coppia prende in gestione una modesta locanda di nove camere e stringe amicizia con una famiglia locale, proprietaria del versante occidentale, il più impervio e incontaminato dell’isola, raggiungibile via mare o attraverso un sentiero scosceso intercalato da scogliere. Ed è proprio lì, indifferente e separata dal mondo che spunta una roccia chiamata Moonhole, ieri come oggi con la luna crescente che sembra bloccarsi dentro un imponente arco naturale: un’immagine di tale suggestione difficile da descrivere.

 

L’arco ispira fortemente la visione ecologista di Thomas Johnston che decide d’acquistare i dodici ettari di terreno, dunque, l’intera zona disabitata e di costruirvi sotto, quasi per capriccio personale, una casa che s’integri nello scenario ambientale. E nel frattempo che i coniugi abitano già a Moonhole come novelli Robinson Crusoe, i materiali di costruzione arrivano e si riciclano, non senza fatica da ogni parte dell’isola, insieme ai viveri per tirare avanti.

 

L’ex pubblicitario newyorchese non ha nozioni d’architettura, né d’ingegneria, ma una sua filosofia: “Una casa non è lì per essere ammirata, ma progettata in modo che i suoi occupanti possano rivolgere lo sguardo all’esterno, sentendosi proiettati fuori, godendo del paesaggio naturale, del mondo”.

 

Moonhole sarà costruita come un articolato fortilizio aperto sulla natura, con gli interni separati da gradinate che ruotano intorno alla roccia viva fino al mare. Ecco, per esempio, la “Camera della Balena” perché destandosi al mattino “senza neanche sollevare la testa dal proprio letto” s’intravedono i cetacei rimbalzare, al largo, attraverso grandi finestre senza vetri.

 

Non c’è energia elettrica ma pannelli solari, l’acqua è quella piovana raccolta in cisterne, molti ambienti sono privi di pareti in muratura costruiti intorno agli alberi o a uno spigolo roccioso.

 

L’interior design? Materiali riciclati dai naufragi: legname per farne pavimenti, catene di vecchie ancore a mo’ di balaustra… insomma tutto ciò che è possibile riqualificare e trasformare, serve al nuovo “borgo” per allestirlo con gusto e parsimonia. In questa fase, sull’isola di Bequia vale l’affermazione di Tom: Non si butta via niente, si vende ai Johnston”.

 

Così la casa di Moonhole si barbica sotto l’arco naturale di un’isola caraibica, nel frattempo parenti e amici vengono dagli Stati Uniti per visitare la coppia e molti s’innamorano di questo stile di vita e del luogo, attirando anche l’attenzione di testate giornalistiche come il New York Times e il National Geographic. In uno spirito d’emulazione le persone chiedono ai Johnston di creare per loro abitazioni simili in altre zone spopolate dell’isola.

 

Nel 1964 Tom diede vita alla Moonhole Company Limited, con lo scopo di difendere e sviluppare l’intera proprietà, convogliare scrittori, artisti, amici a mollare la loro vita e allontanarsi da tutto. In trent’anni la società costruisce sedici case, uffici, alloggi per il personale, una sorta di arena dove riunirsi con la gente del posto, ogni domenica.

 

Nonostante l’inatteso sviluppo immobiliare, Tom e Gladys non rinunceranno mai al loro “credo” profondamente ecologista: le dimore sono intimamente legate alla natura circostante, non si abbatte neanche un albero, non si scava nel terreno, non ci sono barriere fra interno ed esterno. Mai nulla è stato fatto per rendere praticabile la strada che conduce alle proprietà. Per chi reclama una casa a Bequia, si richiede fermamente d’attenersi a regole ferree e fidarsi fino in fondo. Una di queste, include il coinvolgimento degli aborigeni sostenendo lavoro, assicurazione medica, spese scolastiche.

 

Thomas Johnston muore nel 2001, sua moglie Gladys poco dopo. La disposizione testamentaria per la Moonhole Company Ltd esprime la volontà a preservare integralmente “l’architettura unica, lo stile di vita e la visione dei Johnston”, ma in realtà come spesso accade, le cose vanno diversamente. Gli altri possidenti sono deceduti o troppo anziani per tornarci; coloro che ereditano le proprietà appartengono a una generazione meno sognatrice e idealista, più propensa all’aspetto “pratico ed economico” del loro lascito.

 

C’è chi cerca d’ottenere il controllo della Compagnia intentando cause civili, come lo stesso figlio dei Johnston che contesta la volontà del padre. Le abitazioni su roccia e alberi si avviano a essere modificate in modo totalmente contrastante alla visione originale di Tom. Moonhole, senza la sua guida e il suo interesse, comincia a cadere in rovina e la villa scavata nella roccia, sotto quell’arco magico che cattura i raggi lunari, è ormai talmente trascurata da diventare inagibile.

 

Scrive il New York Times: "È un eccentrico sviluppo di 19 case orientato ecologicamente e costruito in pietra nativa, con accenti d’osso di balena, sulle ripide colline della punta meridionale dell'isola. Il nome deriva da un arco naturale svettante sulla riva attraverso il quale si vede la luna quando il cielo è terso.

 

Gli ossi di balena, resti di caccia aborigena da parte degli isolani, sono abbastanza grandi da funzionare come elementi architettonici. Le case, che si basano su energia solare, acqua piovana e serbatoi di propano, sono per lo più fantasiose. Potrebbe essere un buon affare, rimettere tutto in sesto…”.

 

Oggi, le case riammodernate e rese più funzionali sono in vendita a prezzi altisonanti, fino a quasi due milioni di euro. I ricavi consentono alla Compagnia e alla comunità locale di mantenersi e preservare l’ambiente marino e terrestre. La Moonhole Company tiene a precisare che questa parte di Bequia è un’oasi privata da preservare e gestita come tale, non come destinazione turistica. Forse l’utopia dei Johnston serba ancora una chance, forse… ma è certo che solo pochi visionari abbastanza vicini al paradiso terrestre, riescono a capire cosa intendesse Proust nell’asserto: “I veri paradisi sono i paradisi che abbiamo perduto”.

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