A pochi mesi da un’elezione generale che appariva scontata fino a poco tempo fa, il partito nazionalista indù BJP al potere in India ha fatto segnare un pericoloso arretramento in almeno tre recenti consultazioni locali, i cui risultati sono stati resi noti questa settimana. Il primo ministro, Narendra Modi, deve essere in particolare preoccupato per il voltafaccia incassato dall’elettorato rurale, decisivo per il suo trionfo nel 2014 e oggi ugualmente cruciale per una possibile rinascita del Partito del Congresso all’opposizione.

 

 

Nelle scorse settimane sono andati al voto cinque stati indiani. Soprattutto su tre di essi si è concentrata l’attenzione di media, politici e analisti, mentre gli altri due, quello nord-orientale di Mizoram e quello centro-meridionale di Telangana, dove hanno prevalso partiti su base locale, hanno dato minori indicazioni in chiave nazionale.

 

Il Congresso di Raul Gandhi è diventato il primo partito nello stato di Chhattisgarh, controllato dal BJP (Bharatiya Janata Party) dal 2003, e nel Rajasthan. Nel primo caso, i risultati hanno smentito i sondaggi della vigilia. Nel secondo, invece, il partito della dinastia Nehru-Gandhi è riuscito a ottenere una vittoria più risicata del previsto. Nel terzo stato, quello di Madhya Pradesh, i due principali partiti nazionali indiani sono stati protagonisti di un testa a testa, ma la performance del Congresso è stata comunque giudicata positiva.

 

Se i risultati di queste elezioni danno inevitabilmente fiducia al partito di Sonia e Raul Gandhi, è opinione diffusa che i recenti successi siano dovuti più a un crollo della popolarità di Modi e del BJP che al rilancio di un partito considerato ormai da anni in stato confusionale. In molti hanno d’altra parte messo in guardia da previsioni troppo ottimistiche per il Congresso in previsione del voto del 2019.

 

Il BJP, sotto la leadership di Modi, conserva la capacità di mobilitare ampie fasce dell’elettorato indù più radicale. Inoltre, le fortune del Congresso dipenderanno non solo dai consensi che riuscirà a raccogliere, ma anche da accordi o eventuali coalizioni che sarà in grado di costruire con movimenti politici minori, vista la quasi certa impossibilità di un solo partito a conquistare la maggioranza assoluta nel “Lok Sabha”, cioè il parlamento di Delhi.

 

Proprio l’efficacia dell’appello del BJP al nazionalismo indù sembra comunque mostrare segnali di cedimento in concomitanza con l’emergere di altri fattori, a cominciare dagli stenti dell’economia e dalle mancate promesse elettorali del primo ministro Modi. Quest’ultimo aveva ottenuto una vittoria relativamente travolgente cinque anni fa, grazie a proclami populisti di rilancio dell’economia tramite un processo di “inclusività” e lotta alla povertà in effetti mai realizzato.

 

Ciò che è apparso chiaro in questi anni di governo è stata piuttosto un’accelerazione della ristrutturazione in senso liberista dell’economia e del mercato del lavoro indiano, già iniziata dal Partito del Congresso. A questo proposito, una ricercatrice dell’università di Nottingham, sentita da Bloomberg News, ha spiegato che il voto nei cinque stati indiani rappresenta una punizione per il “fallimento del BJP nel mantenere la promessa di alleviare la povertà rurale”.

 

Un altro commento pubblicato dalla testata on-line Asia Times ha inoltre avvertito che la riproposizione da parte del BJP della carta del nazionalismo indù risulterà inefficace “in assenza di risultati sul fronte dei programmi di assistenza pubblica”. A riprova di ciò, un commentatore indiano citato ancora da Asia Times ha attribuito la vittoria di un partito locale a Telangana ai programmi di welfare promossi in questi anni dal primo ministro dello stato.

 

Numerose analisi del voto in India hanno evidenziato come il declino del BJP sia da ricondurre in primo luogo all’ostilità dei contadini negli stati chiamati alle urne. La situazione di questa classe in India appare sempre più disperata, come conferma il numero in aumento di suicidi nelle fasce rurali del paese. In un clima di malumori diffusi nei confronti del BJP, il Partito del Congresso ha presentato una serie di proposte, come l’alleggerimento dei prestiti contratti dagli agricoltori e un sussidio ai prezzi di vendita dei loro prodotti, che hanno riscosso un certo successo e si sono concretizzate in un numero di consensi significativo.

 

La strada per il ritorno al potere del Partito del Congresso rimane ad ogni modo estremamente complicata. Dopo la sconfitta del 2014, il partito ha visto aggravarsi la propria crisi interna a causa della crescente disconnessione con le classi più deboli della popolazione. Ancora oggi, poi, il nodo della leadership appare irrisolto. L’immagine del leader ufficiale, Raul Gandhi, continua infatti a non convincere, tanto che molto difficilmente finirà per essere il candidato del suo partito alla guida del governo di Delhi.

 

Nella campagna elettorale nazionale che si aprirà a breve, infine, sarà interessante osservare anche il dibattito attorno alle questioni internazionali e agli orientamenti strategici dell’India. Con il governo Modi, il secondo paese più popoloso del pianeta aveva inizialmente accentuato la “svolta” in parte già in atto verso gli Stati Uniti, visti da alcune sezioni della classe dirigente indigena come un partner indispensabile per perseguire sempre più politiche da grande potenza.

 

Più recentemente, tuttavia, il governo indiano è sembrato per lo meno rallentare questo processo, a causa anche delle tensioni più volte esplose con il vicino cinese, mostrando un’attitudine decisamente più cauta e ambivalente nei confronti delle tendenze multipolari in atto soprattutto nel continente asiatico.

 

Le questioni economiche interne e quelle internazionali si sovrapporranno così nei prossimi mesi, con effetti decisivi sull’esito di un voto per il governo nazionale che appare oggi incerto ed equilibrato come mai lo è stato negli ultimi quattro anni sotto la guida di Modi e del BJP.

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