Non una mera crescita economica ma la promozione di ogni essere umano. Così dovrebbe essere concepito il turismo. “Un’opportunità, concreta e feconda, di crescita, non solo economica, ma umana, sociale e spirituale, secondo una logica di responsabilità”, si legge nel report Paradisi perduti? Viaggiatori responsabili per un turismo che sviluppa le comunità locali, redatto da Caritas.

 

Un turismo al servizio della realizzazione dello sviluppo sociale, considerato che “il turismo, a volte, disegna situazioni drammaticamente contradditorie nel contrasto tra la povertà di molti e la ricchezza di pochi” e ha conseguenze dirette anche sull’ambiente. Perché crescita e sviluppo non sono sinonimi, essendo la prima connotata da valore quantitativo e il secondo da elementi di qualità. Per “uno sviluppo sostenibile, dunque, bisogna uscire da una mera logica del profitto e passare a vedere la contemporaneità di tre valori di base: la prosperità economica, la qualità ambientale e la giustizia sociale”. Con al centro l’uomo e l’ambiente.

 

 

Senza trascurare che il turismo costituisce un’enorme potenzialità economica per molti paesi - fonte di guadagno e di promozione del territorio - e che nel 2017 ha contribuito per il 10,3 per cento del PIL mondiale, creando posti di lavoro per trecentotredici milioni di persone.

 

Solo in Italia, stima World Trade & Tourism Council, ha generato proventi per 253 milioni di dollari. E però, il più delle volte, aumenta il PIL ma non c’è una equa redistribuzione. È il caso del turismo di massa e standardizzato, quello dei resort, in cui i turisti non entrano davvero in rapporto con la popolazione e la cultura locali se non attraverso una lente stereotipizzante: gli abitanti del luogo sono a servizio e sottopagati, l’artigianato è quello del negozio accanto alla reception e la cucina tradizionale è rivisitata per andare incontro al gusto dei visitatori.

 

Il loro passaggio in massa ha anche un grande impatto sull’ambiente: il settore turistico contribuisce fino al 5 per cento dei gas serra di origine umana, soprattutto, attraverso l’inquinamento prodotto dai mezzi di trasporto aereo. Non solo: lo sviluppo incontrollato del turismo porta a un sistema inadeguato di smaltimento dei rifiuti liquidi e solidi, di gestione delle acque reflue e del consumo totale di acqua. Di più: le profonde trasformazioni che il turismo di massa introduce nei paesi di destinazione - che, nella maggior parte dei casi, sono quelli in via di sviluppo - possono avere effetti collaterali significativi, specie in zone rurali remote dove “l’arrivo repentino dello scambio monetario e della mercificazione di beni e servizi diventano regola, sfaldando il legame tra lavoro, comunità e risorse naturali”.

 

Se, da un lato, per operare investimenti nelle infrastrutture sono necessari tanti capitali che solo il turismo di massa può sostenere, dall’altro lato, questo processo conduce all’arricchimento di pochi con il conseguente acuirsi delle disuguaglianze. E la popolazione vulnerabile e povera, separata dai resort e dagli hotel di lusso da muri ricoperti di filo spinato, non può che indignarsi a causa delle marcate differenze nel tenore di vita tra turisti e resto della popolazione. Questo può condurre a un atteggiamento ostile verso il turismo che trasmette costumi di una società dei consumi e dei privilegi. E l’avversione, insieme alla frustrazione per i bassi salari, la mancanza di lavoro e di potere d’acquisto può sfociare in atteggiamenti aggressivi.

 

Il turismo del tempo libero e del lusso, non necessario rispetto ai bisogni primari delle terre visitate, è contro la “democratizzazione” della distribuzione derivante dalla ricchezza dell’offerta turistica che, al contrario, dovrebbe “riversare sulle comunità locali una giusta proporzione del guadagno”, è scritto nell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Quello che costringe a disfare la valigia del turista e a riempire il bagaglio del viaggiatore.

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