L’amministrazione Trump questa settimana ha fatto un nuovo regalo al governo israeliano, legittimando sostanzialmente gli insediamenti illegali nei territori occupati palestinesi. A dichiararlo in maniera ufficiale è stato il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, con una presa di posizione che, se da un lato ratifica unilateralmente uno dei crimini più odiosi dello stato ebraico, dall’altro mette fine a una farsa durata decenni, ovvero il rispetto formale da parte di Washington del diritto internazionale in relazione al comportamento di Israele, che nulla ha fatto per avanzare le aspirazioni del popolo palestinese.

 

A livello immediato, la decisione degli Stati Uniti potrebbe tornare utile al primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, invischiato in una crisi politica senza precedenti. Nelle prossime ore scadrà il tempo a disposizione del suo rivale, Benny Gantz, per cercare di mettere assieme una maggioranza di governo dopo il voto anticipato di settembre.

I tentativi dell’ex capo di Stato Maggiore israeliano, che ha significativamente applaudito l’annuncio di Pompeo, si basano in buona parte sulla possibilità di un appoggio esterno dei deputati arabo-israeliani della “Lista Comune”. La bomba lanciata lunedì dal segretario di Stato USA renderà evidentemente complicato il rapporto tra questi ultimi e Gantz, mentre, in caso di nuove elezioni, rafforzerà le credenziali di Netanyahu di fronte all’elettorato della destra.

Le parole di Pompeo per presentare il cambiamento delle posizioni degli Stati Uniti riguardo agli insediamenti illegali sono uno degli esempi più macroscopici del cinismo e della manipolazione della realtà tipica della retorica americana. L’ex direttore della CIA ha definito gli insediamenti “non necessariamente” in violazione del diritto internazionale. Definirli tali, a suo dire, “non ha aiutato a promuovere il processo di pace” tra Israele e palestinesi. Ancora, Pompeo ha aggiunto che il conflitto “non sarà mai risolto sul piano giuridico” e, perciò, “discutere su chi ha torto e chi ha ragione in rapporto al diritto internazionale, non porterà alla pace”.

Attorno alla questione dei territori occupati non esiste né è mai esistita alcuna discussione, dal momento che essi sono oggettivamente illegali. Svariate risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, di cui la più recente del 2016, hanno condannato le azioni israeliane, in quanto violano la Convenzione di Ginevra del 1949 che proibisce a un paese occupante il trasferimento di propri cittadini sui territori che occupa.

Lo stesso governo americano si era finora formalmente adeguato all’opinione legale emessa dall’amministrazione Carter nel 1978 e che dichiarava la creazione di insediamenti ebrei “in conflitto con il diritto internazionale”. Che Israele abbia potuto agire nella totale illegalità non dipende dunque da una qualche controversia legale, ma soltanto dalla copertura garantita dagli Stati Uniti e, in misura minore, dagli altri paesi occidentali malgrado le posizioni ufficiali di condanna.

Le affermazioni di Pompeo non fanno comunque altro che riconoscere la realtà sul campo, fatta di continue espansioni degli insediamenti, aumentati sensibilmente a partire dall’arrivo di Trump alla Casa Bianca. A oggi, più di 600 mila coloni israeliani vivono illegalmente in territori occupati della Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, a fronte di due milioni di palestinesi.

Questa realtà dimostra come l’adesione americana per quattro decenni a una politica di denuncia degli insediamenti non solo non è servita minimamente a contenere o ridurre l’aumento di questi ultimi, ma è stata anzi una copertura per le azioni illegali dei vari governi israeliani. Per questa ragione, l’uscita di lunedì di Pompeo ha rappresentato appunto il riconoscimento di una realtà di fatto.

Uno dei tratti distintivi dell’amministrazione Trump è stato d’altra parte quello di abbandonare le finzioni spesso ostentate dai precedenti governi , rivelando la vera faccia dell’imperialismo americano. Proprio in merito a Israele, l’attuale presidente repubblicano aveva già preso un paio di decisioni contrarie alle posizioni ufficiali di Washington, ma coerenti con la realtà sul campo: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele e della sovranità dello stato ebraico sulle alture del Golan, appartenenti invece a tutti gli effetti alla Siria.

Incredibilmente, Pompeo ha sostenuto che la decisione del suo governo sugli insediamenti non è da ritenere come una mossa intesa a provocare un determinato risultato o a creare ostacoli legali a una soluzione negoziata del conflitto palestinese. In realtà, com’è del tutto evidente, essa fa esattamente questo, assesta cioè un ulteriore colpo al già moribondo processo di pace, sul quale dovrebbe oltretutto innestarsi il ridicolo piano preparato dall’amministrazione Trump, i cui dettagli non sono ancora del tutto noti anche se con ogni probabilità totalmente favorevole a Israele.

Molti osservatori hanno fatto notare come il cambio di rotta americano annunciato dal segretario di Stato Pompeo possa favorire una possibile dichiarazione di annessione dei territori occupati da parte del governo di Israele. Netanyahu, che già aveva minacciato un’iniziativa simile prima del voto dello scorso aprile, potrebbe utilizzare l’arma dell’annessione in un’ipotetica prossima campagna elettorale o prendere una decisione in proposito per compattare la destra israeliana in un momento di estrema difficoltà sul fronte politico interno.

Come previsto, le reazioni praticamente di tutto il mondo all’annuncio di Pompeo sono state di condanna e ovunque è stato riaffermato il principio dell’illegalità degli insediamenti israeliani. Se ciò non fa che ribadire come Stati Uniti e Israele continuino a operare al di fuori della legalità internazionale, dietro alle denunce si nasconde spesso il timore per le conseguenze che potrebbe produrre il crollo definitivo della farsa del processo di pace basato sulla soluzione dei “due stati”.

In questo quadro è stata infatti alimentata per decenni l’illusione di una strada percorribile per il popolo palestinese, attraverso la trattativa con Israele e i suoi sponsor internazionali. Questa finzione, sempre smentita dalla realtà dei fatti, è servita a contenere le tensioni tra i palestinesi, costretti a vivere giorno per giorno in situazioni drammatiche, e a coltivare un’élite privilegiata utile a mantenere un certo ordine nei territori di un futuro stato a fianco di quello israeliano.

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