Scontratosi ripetutamente contro le resistenze quasi unanimi dei paesi alleati, il governo americano sta studiando nuove eccezionali misure per danneggiare Huawei e ostacolare il consolidamento del colosso cinese come attore principale nella creazione della nuova rete 5G su scala globale. Le prospettive di successo restano però scarse, visto il sostanziale fallimento degli sforzi messi in atto finora e i contraccolpi negativi in termini economici e di innovazione tecnologica sul fronte domestico che rischiano di provocare le iniziative dell’amministrazione Trump.

Ai primi di febbraio, il governo britannico aveva respinto in buona parte gli inviti americani a escludere Huawei dalla partecipazione alla costruzione della nuova infrastruttura 5G. Il primo ministro, Boris Johnson, aveva optato per una scelta prudente che, per non scontentare del tutto Washington, imponeva stretti controlli sul lavoro della compagnia di Shenzhen, esclusa inoltre dagli ambiti più sensibili della nuova rete.

 

I giornali avevano parlato di una tesissima conversazione telefonica tra Trump e Johnson, col presidente americano “infuriato” dalla decisione di Londra. Lo sfogo non ha però cambiato la realtà dei fatti e la Gran Bretagna collaborerà con Huawei nel lancio del proprio 5G, sia pure con limitazioni ben precise legate alle esigenze della “sicurezza nazionale”. La scelta di Downing Street è apparsa tanto più clamorosa se si considera che da Washington erano arrivate minacce esplicite di un possibile stop alla condivisione delle informazioni di intelligence con gli alleati più stretti.

Gli USA continuano d’altra parte a sostenere che la presenza nelle reti informatiche e di comunicazione di componenti realizzati da Huawei permette al governo cinese di garantirsi una “porta d’ingresso”, attraverso la quale Pechino sarebbe in grado di impossessarsi del flusso di informazioni riservate. Anche questo argomento non ha però convinto il governo di Londra e, con ogni probabilità, a Washington si è allora deciso di raddoppiare gli sforzi per cercare di evitare ulteriori defezioni tra gli alleati.

Nella Conferenza sulla Sicurezza di Monaco di Baviera dello scorso fine settimana, gli esponenti del governo USA sono così tornati ad alzare la voce sul 5G e a ingigantire la minaccia della Cina. Un paio di giorni prima dell’inizio dell’incontro, inoltre, il Wall Street Journal aveva pubblicato un’intervista del consigliere per la Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, Robert O’Brien, nella quale spiegava come gli Stati Uniti avessero individuato nei dispositivi Huawei un accesso segreto che dà la possibilità al governo cinese di spiare le comunicazioni dell’Occidente.

Attendibilità dell’affermazione a parte, ciò che appare significativo  è l’atteggiamento delle compagnie di comunicazione occidentali e i paesi alleati, a cui era indirizzato il messaggio del consigliere di Trump. A prevalere è stato lo scetticismo e in molti hanno chiesto di vedere le prove concrete presumibilmente scoperte dagli USA. Ciò non è ovviamente avvenuto, anche perché nessuno dei paesi che usano i componenti Huawei ha finora riscontrato quanto sostenuto dalla Casa Bianca.

L’atteggiamento di resistenza ai diktat americani in questo ambito è stato più che evidente anche in occasione di uno scambio di battute nel fine settimana a Monaco tra la “speaker” della Camera dei Rappresentanti di Washington, Nancy Pelosi, e una diplomatica cinese intervenuta nel corso della conferenza. Dopo che la leader democratica aveva denunciato l’autoritarismo di Pechino anche sul fronte digitale e delle comunicazioni, invitando perciò i governi europei a scaricare Huawei per la rete 5G, la diplomatica Fu Ying ha respinto seccamente le accuse chiedendo se il sistema democratico occidentale sia così fragile da essere messo in pericolo da una singola compagnia cinese. A differenza delle parole di Nancy Pelosi, l’intervento della rappresentante del governo di Pechino è stato accolto da un applauso fragoroso dei presenti in sala.

Che gli USA siano nel pieno di una rinnovata offensiva contro Huawei è ad ogni modo innegabile. Sempre settimana scorsa, il dipartimento di Giustizia di Washington aveva annunciato l’apertura di una nuova indagine criminale contro i vertici della compagnia cinese, accusati anche di estorsione e furto di segreti commerciali. Questo ulteriore procedimento rientra in quello – tutto politico – già in corso da mesi contro la top manager di Huawei, Meng Wanzhou, arrestata in Canada a fine 2018 e a rischio di estradizione negli USA. Quest’ultima, figlia del fondatore di Huawei, Ren Zhengfei, è accusata a sua volta di frode e violazione delle sanzioni americane imposte contro l’Iran.

Oltre che nelle aule dei tribunali, la guerra degli Stati Uniti contro Huawei si sta combattendo anche nelle stanze del potere politico di Washington. Allo studio ci sarebbero almeno due provvedimenti di ampia portata, attorno ai quali non vi è però unità di vedute all’interno dell’amministrazione Trump e, soprattutto, essi sono fortemente osteggiati dalle aziende americane.

La prima prevede il divieto di vendere a Huawei componenti che anche solo per il 10% siano realizzati negli Stati Uniti. Il Pentagono si era inizialmente opposto all’idea, per timore che essa potesse danneggiare economicamente le compagnie americane e, di riflesso, ostacolare l’innovazione tecnologica domestica. Su pressioni della Casa Bianca, però, pochi giorni più tardi il dipartimento della Difesa ha cambiato posizione, sposando la proposta avanzata da quello del Commercio.

La seconda ipotesi è di costringere i produttori di microchip di tutto il mondo a chiedere una speciale licenza a Washington che autorizzi le vendite destinate a Huawei, se questi prodotti sono realizzati con tecnologie o software soggetti alle regolamentazioni americane. Simili ed eventuali altre restrizioni hanno già provocato accesissime polemiche tra le compagnie del settore. Le preoccupazioni principali sono legate alla possibile perdita del lucroso mercato cinese, così come la delocalizzazione delle aziende USA interessate e la conseguente erosione del primato tecnologico degli Stati Uniti.

L’internazionalizzazione della produzione industriale e il flusso ormai virtualmente senza confini di informazioni e tecnologia rendono la guerra lanciata dalla Casa Bianca controproducente e di fatto impossibile da vincere, se non a condizione di far seguire la forza delle armi a quella della legge o presunta tale. A tutt’oggi, le pressioni di Washington hanno avuto successo nel convincere solo tre paesi di un certo peso a escludere Huawei dalla creazione delle infrastrutture per il 5G, cioè Australia, Giappone e Israele. La Polonia, inoltre, dovrebbe seguire a breve l’esempio di questi ultimi.

Anche svariati governi solitamente allineati agli Stati Uniti, come ad esempio quello dell’Estonia, continuano invece a mostrare resistenze, principalmente per la mancanza di alternative economicamente e tecnologicamente equiparabili a Huawei. Il caso Germania resta comunque il più emblematico della situazione attuale. Su Berlino si concentra gran parte dell’impegno americano, soprattutto per via della tradizionale strettissima collaborazione tra i rispettivi servizi di sicurezza nel condurre operazioni di sorveglianza e spionaggio.

I vertici dell’intelligence tedesca e alcuni settori della politica condividono il punto di vista americano, ma il governo Merkel e gran parte del mondo degli affari ritiene fondamentale il contributo di Huawei e, ancor più, la salvaguardia dei rapporti con la Cina, in primo luogo per le implicazioni di natura economica e commerciale. Nonostante il pressing della Casa Bianca, è opinione comune degli osservatori che la Germania finirà per includere Huawei nei propri piani relativi al 5G, forse con una serie di limitazioni sull’esempio britannico.

La guerra di Washington contro Huawei e gli altri colossi cinesi della tecnologia e della comunicazione è da collegare al riorientamento strategico di questi ultimi anni che vede come minaccia principale alla posizione internazionale degli Stati Uniti la crescita di potenze rivali su scala planetaria. Questa competizione si gioca evidentemente anche sul piano dell’innovazione tecnologica, in grado di garantire la supremazia economica e militare.

Un altro fattore cruciale, collegato a quest’ultimo, che alimenta l’isteria anti-Huawei a Washington è il rischio concreto che l’apparato di intelligence e della “sicurezza nazionale” USA possa in un futuro prossimo perdere alcune o buona parte delle proprie capacità di controllare lo scambio globale di informazioni. Anche se quasi sempre assente da analisi e approfondimenti dei media ufficiali, il tentativo di boicottare Huawei è da ricondurre cioè al timore di agenzie come CIA e NSA (“Agenzia per la Sicurezza Nazionale”) di non essere più in grado di penetrare i sistemi di comunicazione, di paesi rivali o alleati, se questi ultimi dovessero affidarsi alla compagnia cinese per la creazione delle rispettive infrastrutture dedicate alla rete 5G.

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