La decisione del giudice britannico di attribuire le 31 tonnellate d’oro custodite nella Banca d’Inghilterra dal go verno venezuelano all’autoproclamato “presidente” per burla del Venezuela Guaidò, non è ovviamente uno scherzo, anche se ne ha tutta l’apparenza. Si tratta innanzitutto di un gravissimo atto di furto, pirateria e brigantaggio internazionale. Un richiamo diretto alla “gloriosa” tradizione britannica della guerra da corsa, quando Sir Francis Drake ed altri scorrazzavano per i mari al servizio di Sua Maestà la Regina Elisabetta.

 

Ma stavolta l’impresa non ha nulla di romanzesco ed avventuroso. E’ bastata la firma di qualche spregiudicato burocrate della Banca d’Inghilterra, avallato da un giudice che ha una conoscenza molto approssimativa del diritto applicabile, per sottrarre al popolo venezuelano beni valutati almeno un miliardo di dollari.

Il giudice in questione, tale Nigel Teare, sessantottenne membro dell’Alta Corte d’Inghilterra e del Galles, ha sostenuto che Guaidò, personaggio universalmente screditato al punto tale che perfino Trump da ultimo ha cominciato a prenderne le distanze, sia, “inequivocabimente”, il presidente del Venezuela.

Il ragionamento di Teare appare sostanzialmente basato sul fatto che il governo del Regno Unito riconosce Guaidò. Incredibilmente il giudice britannico ignora i principi elementari del diritto internazionale che, proprio per evitare che questioni attinenti ai governi, al loro status e ai loro diritti rimangano in balia di atti di natura politica, ha sempre coerentemente sostenuto come un governo, per essere riconosciuto come tale, deve godere del controllo effettivo del territorio.

Principio dal quale ci si è discostati solo in caso di occupazione militare di territori stranieri, ovvero di dominio coloniale. In altri termini, non è possibile attribuire arbitrariamente a un sedicente governo, privo di ogni effettivo controllo territoriale, beni e risorse appartenenti ad uno Stato sulla base di un mero giudizio di approvazione politica. Il rischio di abusi è chiaaro e la sciagurata sentenza di Mr. Teare ne costituisce una dimostrazione talmente evidente che potrebbe essere citata nei manuali universitari come esempio negativo delle conseguenze disastrose per le elementari esigenze di certezza giuridica internazionale che può comportare un atteggiamento di questo tipo.

Se anche i governi fossero, entro certi limiti, liberi di procedere al riconoscimento di altri governi secondo propri criteri di convenienza politica (libertà peraltro fortemente contestabile alla luce della necessità del rispetto del principio di non ingerenza negli affari interni altrui)una posizione ben più rigorosa dovrebbe essere adottata da parte degli organi del potere giudiziario, tenuti ad ogni modo a garantire l’attuazione dei principi di diritto internazionale applicabile.

Il fatto che il tribunale britannico in questione abbia viceversa ritenuto di applicare pedissequamente le ragioni di opportunità politica che hanno spinto il governo di Londra a riconoscere Guaidò getta un’ombra piuttosto pesante sugli stessi requisiti di indipendenza dell’organo giudiziario.

Sfacciatamente, Mr. Nigel Teare abbandona una tradizione giuridica consolidata per regalare a Guaidò e alla sua sempre più ristretta cricca trentuno tonnellate d’oro, non tenendo conto del fatto che il controllo effettivo che lo stesso Guaidò può esercitare sul territorio venezuelano si può limitare, forse, al salotto, cucina e bagno di casa sua.

Ci sarebbe da ridere se non ci fosse da piangere. Il rinomato umorismo britannico assume in questo caso tinte decisamente macabre, se si pensa che i soldi riversati a Guaidò e ai suoi assistenti che sono usi sperperarli in orge a base di cocaina e burundanga, avrebbero dovuto essere invece utilizzati per combattere la pandemia di Covid, realizzando i diritti fondamentali del popolo venezuelano.

No, decisamente non si tratta di uno scherzo. Si tratta invece dell’ennesimo crimine del governo di Sua Maestà. Stavolta ai danni del governo e del popolo venezuelano.

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