Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Ilvio Pannullo

Lo si potrebbe definire il diario di un tracollo: quanto sta accadendo in questi giorni in Grecia pare infatti confermare gli scenari peggiori circa la possibilità per il governo di rifinanziare il proprio debito. Il mercato dei titoli di Stato della Grecia, molto semplicemente, non esiste più. I grossi investitori che vogliono vendere non trovano nessuno che voglia acquistare. E nessuno compra, nonostante la nuova manovra lacrime e sangue annunciata recentemente dal governo.

L’attuale situazione è il frutto di un accordo a livello europeo dissennato, che trasferisce ricchezza da Atene a Berlino e non viceversa. È il risultato di una politica europea dei paesi periferici (Italia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia) che scompare di fronte alle obiezioni della Germania, vera potenza dominante all’interno dell’eurozona, a conferma che l’Unione Economica Monetaria altro non è se non una maschera a difesa degli interessi tedeschi.

Le affermazioni perentorie della Cancelliera tedesca Angela Merkel sulla necessità che alle inefficienze di un governo in campo economico debba seguire anche,  se non soprattutto, una sanzione politica, sembrano infatti piegare anche Nicolas Sarkozy, indebolito dalle recenti elezioni regionali, dai sondaggi che lo descrivono in perenne calo di popolarità e, non ultimo, da inutili gossip.

Giovedì scorso, all'apice della crisi, il primo ministro greco George Papandreu ha chiamato il suo collega spagnolo Josè Luis Zapatero per convincerlo a chiamare il Presidente francese. Insieme hanno poi convinto la Merkel a mandare il direttore generale del ministero dell'economia tedesco ad un incontro "tecnico" a Bruxelles. Da quell'incontro è uscito fuori un pessimo accordo: tassi troppo alti per essere considerati dai mercati un aiuto e nessuna garanzia di pagamento ai detentori di Bond greci a più lunga scadenza.

In questa cornice, martedì 13 aprile la Grecia poteva collocare solo 1,2 miliardi di titoli a brevissima scadenza, ossia a sei mesi, massimo un anno, dalla data dell'emissione; titoli per lo più sottoscritti da banche greche. L’idea pare dunque quella di lavare i panni sporchi in casa, ma i numeri del deficit greco e la scarsa solidità patrimoniale del suo sistema bancario escludono che questa possa essere una soluzione per evitare il default.

Il mercato ha punito il pasticcio, riportando il rendimento dei titoli greci con scadenza 2012 al 6,5%. Una situazione - per l’appunto - da paese prossimo al crack finanziario. Stando così le cose, la Grecia non può pensare che una nuova emissione a lunga scadenza possa essere sottoscritta dagli investitori. Il rischio sarebbe quello di mandare deserta la vendita all’asta dei titoli, cristallizzando la totale mancanza di credibilità nelle istituzioni elleniche. La data salvifica pare essere quella del 10 maggio quando, passate le elezioni regionali tedesche, Angela Merkel potrebbe convincersi a elargizioni maggiori verso i partner europei più deboli. Ma l'ortodossia economica tedesca vuole che tutti paesi facciano i conti con i propri eccessi di spesa e di debito e, se necessario procedano ad una cura da cavallo per calmare i mercati.

I popoli del nord Europa, infatti, non sopportano di doversi far carico delle inefficienti capacità tecniche e gestionali del c.d. ClubMed, degli stati cioè rappresentativi del sud dell’Europa. La vicenda viene percepita dai tedeschi come paradigmatica: s’interpreta infatti come una chiusura ideologica il netto rifiuto tedesco al salvataggio dell’economia ellenica. Numeri alla mano, la crisi della Grecia potrebbe essere risolta molto rapidamente, rappresentando il Pil greco neanche l’1% dell’intero Pil europeo. Tuttavia passano i giorni e la situazione non accenna a migliorare, perché le posizioni politiche rimangono le medesime.

Manca una vera volontà da parte di Francia e Germania di salvare la Grecia, essendo la situazione contingente letta con una chiave interpretativa  culturale prima che economica. Semplicemente non si ritiene ammissibile che la cicala scialacquatrice trovi conforto alla mensa della parsimoniosa formica. E questo anche se dalla morte della cicala potrebbe derivare un forte pregiudizio per la stessa sopravvivenza della formica.

L'ombra della Grecia offusca infatti il futuro dell’intera ripresa europea. A lanciare l'allarme è il Fondo Monetario Internazionale secondo cui "l'Europa sta uscendo dalla recessione più lentamente di altre regioni" e ci sono "varie forze che frenano la ripresa". Tra queste, una di rilievo è la Grecia. La "sfida chiave" sarà dunque quella di prevedere "piani di consolidamento credibili". Nell'ultima bozza del World Economic Outlook, si legge che nel Vecchio Continente le prospettive di ripresa variano considerevolmente da paese a paese. "Un sostanziale stimolo macroeconomico ha sostenuto la ripresa nei paesi avanzati dell'Europa, anche se la domanda privata non si è ancora solidificata. Al tempo stesso, ampi squilibri di bilancio minacciano la ripresa in alcuni paesi più piccoli, con potenziali effetti dannosi per il resto della regione". "Certamente - mette in guardia il Fmi - i timori per la solvibilità del debito sovrano e per la liquidità della Grecia (e per i possibili effetti di contagio in altri paesi vulnerabili dell'area euro) hanno minacciato la normalizzazione dei mercati finanziari".

I mercati temono infatti, secondo il Fmi, che i problemi d’insolvenza di Atene si traducano in una vera e propria crisi del debito sovrano, che porterebbe a casi di contagio. Proprio per questo "sarà molto importante che le autorità greche ristabiliscano la credibilità della loro politica fiscale e che le autorità europee assicurino che la paura per la situazione greca non porti a un'instabilità finanziaria o a ripercussioni significative sui bilanci e sulle banche in Europa". La ripresa, secondo il Fmi, sarà dunque "graduale e diseguale" tra i paesi di Eurolandia.

Se non intervengono investimenti politici, investimenti cioè assolutamente impensabili perché fuori da una logica strettamente economica, la Grecia non riuscirà rifinanziare il suo debito sui mercati e utilizzerà la linea di credito messa a disposizione dall'Europa molto presto. A quel punto chi detiene i Bond greci non resterà che sperare che i debiti pregressi vengano pagati, anche se magari in un futuro lontano.

Ma il mercato ha già scelto le sue prossime vittime: Portogallo e Spagna. Il rendimento dei Bond a due anni di Lisbona sono al 1% sull’Euribor; Madrid invece iniziò ad avvertire il pericolo da quando le grandi banche e gli Hedge Funds americani hanno iniziato a vendere allo scoperto i titoli spagnoli. Le banche private spagnole continuano a comprare titoli del governo di Madrid controbilanciando l'offerta, ma questa strategia non potrà durare in eterno. L'articolo apparso il 15 aprile sul Sole24ore, che indicava la Spagna come prossima vittima dell’insicurezza dei mercati ha poi convinto molti gestori di fondi italiani a non acquistare.

Si attende dunque un segnale dalla Germania, dall'Europa o da entrambe, che rassicuri sul fatto che la situazione sia migliore di come la dipingono gli economisti più accreditati e i giornali di settore. La gestione della finanza europea appare sempre più un deserto senza leader in cui ognuno tira acqua al proprio mulino non capendo che il fiume rischia di prosciugarsi. Delle due l’una: o l’Europa saprà costruire un coerente e credibile governo politico della propria economia o, se lo scenario futuro è quello di un’Eurozona che cresce di un misero 1% per i prossimi dieci anni, a causa di una vera e propria crisi del debito sovrano, l’intero progetto politico di una Comunità Europea federale, iniziato con la firma dei trattati di Roma il 25 marzo del 1957, rischia di collassare.

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