Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Fabrizio Casari

Tra corteggiamenti e rifiuti, sommersi da un diluvio d’imbecillità agghiacciante, osserviamo da semplici spettatori manovre sotto banco di vecchi volponi e passeggiate romane di neofiti confusi. Grillo non fa altro che ripetere la sua indisponibilità a votare un governo che non sia a guida M5S; politico o tecnico, il governo è sostenuto da una maggioranza parlamentare (quindi politica) spiega, e questo impedisce variazioni sul tema.

Grillo, vincitore autentico, sembra sorpreso e al tempo stesso spaventato dal carico di responsabilità che gli è venuto addosso; vuoi per la difficoltà del quadro complessivo nel quale muoversi, vuoi per l’assoluta inadeguatezza del suo personale politico, autentica incognita per il futuro immediato dove a valutare non ci sarà più solo il popolo della Rete, ma l’Italia intera; governare è un po’ più complicato che postare tweet.

Il leader del M5S, che non immaginava di cogliere un successo di siffatte proporzioni, sta giocando la sua partita in modo spregiudicato e intelligente, approfittando della risaputa inerzia ed incapacità politica dei suoi competitor. Sarà meglio smetterla con il richiamarlo al senso di responsabilità: se si vuole stanare la politicanteria dei grillini è molto meglio presentargli proposte nette e senza margini d’interpretazioni sulle quali chiamarli al voto.

I margini di manovra per uscire dallo stallo, al netto delle chiacchiere, non sono molti. Il PDL, giustamente preoccupato da un possibile accordo tra PD e M5S, non cessa di ripetere come sia disponibile al governissimo, risposta unica - dicono - all’emergenza nazionale. In realtà il PDL dei destini del paese se ne frega come sempre, ma una sua partecipazione alla maggioranza parlamentare vedrebbe come moneta di scambio l’archiviazione preventiva di ogni ipotesi di legge sul conflitto d’interesse e contro la corruzione, i due capisaldi su cui si regge l’impalcatura della destra italiana.

Il suo dispositivo mediatico si è scatenato per tentare di offuscare la batosta presa dal  cavaliere, ma resta un dato inequivocabile: la sconfitta poteva essere ancora più dura, ma quella che si è subita non è comunque leggera. Si tratta dunque da una posizione subalterna, anche perché nessuno sembra voglia commistioni con la destra.

Monti, dal canto suo, cerca di tenere il profilo più basso possibile per evitare che si ricordi come sia stato sonoramente sconfitto e nella speranza che dall’empasse politico-istituzionale venga fuori il suo nome come proroga dell’agonia fino alle prossime elezioni.

Si è guadagnato la poco invidiabile fama di Re Mida al rovescio, dal momento che tutti coloro che direttamente o indirettamente lo hanno sostenuto (ancor più quelli che lo hanno addirittura affiancato) sono stati le vittime illustri delle elezioni. Allearsi con Monti, anche solo pensare d’immaginare un percorso breve in sintonia con lui, può rappresentare una minaccia mortale per chi lo propone. Resterà nel sarcofago in attesa che gli altri decidano cosa fargli fare.

Dunque l’unico elemento di novità di queste ore è la riunione della direzione nazionale del PD, chiamata a decidere la linea da seguire nella trattativa con il Quirinale per la formazione del governo. Non c’è unità d’intenti, par di capire, ma questa è consuetudine per un partito che non trova l’unanimità nemmeno sulle previsioni del tempo. E’ però chiaro come, per la prima volta dalla sua nascita, il PD si trova di fronte ad un bivio decisivo, dove nasce il cammino per la sua ripresa e quello per la sua sepoltura definitiva.

Tra le strade che condurrebbero con certezza in un burrone c’è quella di una disponibilità al governissimo, pur se a tempo e scopo determinato. Intanto per una questione di etica della politica, poi perché é ovvio che nel merito le riforme istituzionali e una diversa direzione di marcia sul terreno delle riforme economiche e sociali non potrebbero, per definizione, essere condivise con il PDL né con Monti. Pensare che il tacchino si autoinviti alla cena di Natale sembra francamente troppo ingenuo.

Non a caso l’ispiratore della proposta di governicchio è Walter Veltroni, l’uomo capace in un colpo solo di far cadere il governo Prodi, dare Roma ad Alemanno e cacciare la sinistra dal Parlamento. Se non fosse notoriamente un incapace, sarebbe accusabile d’intelligenza con il nemico. Lo stesso D’Alema, che lotta disperatamente con Veltroni per accaparrarsi il titolo di distruttore ultimo della sinistra italiana, sarebbe propenso al governissimo. Tesse la tela con Letta, memore dei giorni felici delle larghe intese ma immemore di come il suo famoso “patto della crostata” finì con Berlusconi vincitore e il centrosinistra ammalato di diabete.

C’è poi un fronte meno attrezzato internamente al PD, ma molto rumoroso al di fuori, che vedrebbe volentieri Renzi sul ponte di comando al posto di un dimissionario Bersani. E’ il più nitido e pericoloso degli schieramenti: nitido perché non nasconde l’intenzione di archiviare per sempre la sinistra del centrosinistra, pericoloso perché non è in grado di capire politicamente come non certo sia il gap di comunicazione ad aver punito Bersani.

Alle urne è andato un paese ridotto allo stremo, con una disoccupazione giovanile che sfiora il 40%, una media di 500 posti di lavoro che giornalmente vengono meno ed un generale smantellamento della rete di protezione sociale che espone tutti alla mercé della sussidiarietà privata.

Il collante sociale della nazione è in pezzi, la  dimensione etica sembra fuorilegge e la prospettiva di crescita inesistente; questa è la base della rabbia e della disperazione sulla quale sono arrivati i voti a Grillo e allo stesso Berlusconi. Sono risultati il combinato del rifiuto e della paura che una vittoria del PD potesse in sostanza prorogare le politiche del professor Monti.

In questo senso le quotidiane dichiarazioni di Bersani su Monti e il suo pellegrinaggio a Berlino, nell’ansia di rassicurare i mercati esteri, hanno ulteriormente preoccupato gli elettori italiani. Il PD ha perso la possibilità di governare il giorno stesso che ha accettato di votare il governo tecnico guidato da Monti e ha definitivamente seppellito le speranze quando in campagna elettorale ha proposto solo una minima soluzione di continuità con le sue politiche.

Si deve allora essere capaci di leggere anche solo superficialmente le lezioni venute dalle urne, in primo luogo quelle che indicano come sia proprio l’agenda Monti, cioè l’insieme delle politiche di rigore monetarista con conseguente recessione economica senza nemmeno l’assestamento dei conti, che hanno piagato e piegato il Paese, ad aver subito una clamorosa sentenza di colpevolezza.

Ebbene, Renzi era ed è lo sponsor principale dell’agenda Monti e non a caso trova nei settori confindustriali i suoi tifosi più accaniti: in tutta la campagna per le primarie ha sostenuto con forza come la strada rigorista del funzionario tedesco alla guida dell’Italia fosse l’unica prospettiva possibile per l’Italia, la sola in grado di riproporre il Paese su un livello di gradimento accettabile per i mercati.

Si dice che con Renzi candidato il cavaliere non si sarebbe ripresentato. E’ una stupidaggine colossale: pensare che il cavaliere non si presenti in una competizione elettorale è frutto evidente di scarsa lucidità politica: Berlusconi non delega nemmeno ad Alfano la difesa dei suoi interessi, figuriamoci a Renzi. Peraltro, se Berlusconi trovasse Renzi rassicurante, sarebbero gli elettori del centrosinistra a trovare preoccupante il sindaco di Firenze.

Il quale è uomo di centro e sarà certamente la migliore guida di un partito democratico che si volesse collocare al centro dello schieramento politico; ma non può (e forse nemmeno intende) rappresentare quella sinistra che ha votato PD e che, soprattutto, ha scelto SEL o è trasmigrata verso Grillo (4% dei voti totali, secondo stime al ribasso).

Non sarà una giornata semplice per Bersani: se il PD vuole uscire a testa alta e forse da vincitore dall’empasse politico, non può che continuare a porre come obiettivo unico l’incarico a Bersani, che comunque dispone della maggioranza assoluta alla Camera, cosa che nessun’altro ha, ci pare.

Deve presentarsi da Napolitano prima (che tira il carro verso i suoi personali convincimenti e non da oggi) e alle Camere poi con un pacchetto di proposte nette, prive di ogni possibilità d’interpretazione, di ogni sfumatura di linguaggio politichese e ogni genericità nei contenuti, sulle quali chiedere la fiducia.

Dunque non un generico impegno a “rivisitare e rivalutare l’entità delle spese militari”, come direbbe Bersani, ma una affermazione netta comprendente oggetto, soggetto e numeri del provvedimento. Per intenderci: dire no agli F35 e affermare che i 35 miliardi di Euro risparmiati ( a rate di 4 miliardi l’anno) servono a reperire i fondi che rendono inutile l’IMU mantenendo a saldi invariati la fiscalità generale.

Idem dicasi per diversi altri terreni. Per una nuova legge elettorale non servono tante parole, giacché per abolire il Porcellum non serve un’altra legge elettorale con i suoi tempi lunghi: basta un decreto legge che in una riga reciti: “E’ abolita la vigente legge elettorale”. Di colpo, per legge, ci si ritroverebbe con il Mattarellum in vigore.

E anche sul conflitto d’interessi basta scrivere in un rigo che é “ineleggibile chiunque, direttamente o indirettamente, dispone di quote in società destinatarie di concessioni pubbliche sia a livello nazionale che locale”.

Sono molti altri gli esempi che si potrebbero fare, ma il nodo è politico: il PD non può e non deve accettare nessun’altra ipotesi che non sia quella di Bersani Premier, dichiarando a Napolitano e al Paese che l’alternativa unica è il ritorno alle urne. Perché se Bersani non dispone dei voti sufficienti, gli altri ne hanno ancora meno. Accettare con le solite storielle sulla responsabilità verso il Paese che il voto dei suoi elettori possa essere ceduto a terzi, significa mettere una pietra tombale sul suo futuro.

Che voti contro, se crede, Beppe Grillo, ad un programma che è parte del suo; che vada sul suo blog a dire a chi l’ha votato per disperazione che il suo voto non servirà a dar vita ad un governo che, per la prima volta dopo venti anni, può cancellare Berlusconi e archiviare l’annus horribilis di Monti. Che spieghi che preferisce rivotare a Giugno per avere percentuali migliori.

Ricordandogli magari cosa succederà, proprio a Giugno, quando scadrà la cassa integrazione per decine di migliaia di lavoratori, andrà a regime il decreto Fornero senza aver risolto il problema degli esodati, si dovrà pagare la rata IMU e scadranno una parte dei novanta miliardi di debito dello Stato verso le imprese.

Dall’Uomo Qualunque a Mariotto Segni, la storia politica italiana è zeppa di occasioni perse e mai più ripresentatesi. Grillo, che non è scemo, troverà certamente sul web materiale al riguardo.

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