Ue-Russia, contro legge e logica

di Fabrizio Casari

Truppe, armi e propaganda, ma non solo. I soldi, non mancano mai i soldi. Quando si volesse cercare un elemento simbolico per descrivere la crisi d’identità politica e di prospettiva dell’Unione Europea, ormai estensione statunitense, c'è la vicenda del sequestro dei beni russi a seguito del conflitto in Ucraina. La vicenda in sé, infatti, presenta una miscela di subordinazione ideologica,...
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Rafah e ONU, Israele al bivio

di Mario Lombardo

Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato lunedì per la prima volta dall’inizio dell’aggressione israeliana una risoluzione che chiede l’immediato cessate il fuoco nella striscia di Gaza. Il provvedimento è passato con 14 voti a favore e la sola astensione degli Stati Uniti, che hanno rinunciato al potere di veto, provocando una durissima reazione da parte del regime israeliano. Per tutta risposta, Netanyahu ha annullato la visita a Washington di una delegazione che avrebbe dovuto discutere con la Casa Bianca la possibile operazione militare nella città di Rafah, al confine tra la striscia e l’Egitto. Questa iniziativa, dalle implicazioni potenzialmente devastanti, resta al centro dell’attenzione della...
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di Fabrizio Casari

Sarebbero le riforme, quelle ispirate dal governo Renzi, a trainare la ripresa. Peccato che alcuni trimestri non siano sufficienti a valutarne la geometrica potenza: troppo presto. Tutta la loro salvifica funzione la potremo vedere nel giro di un paio d’anni. Parola di Pier Carlo Padoan, ministro dell’Economia nostro malgrado. Qualcuno dovrà telefonargli per avvertirlo che entro due anni l’Italia - salvo sorprese - dovrà iniziare a riportare il debito pubblico in pareggio. Scatterà infatti il criminogeno Fiscal Compact, che dal 2016 in poi prevede una riduzione di un ventesimo l'anno della parte del rapporto debito-Pil che eccede il 60% (e quello italiano supera il 137%).


Al netto di ogni giudizio politico, ciò significherà circa 50 miliardi di manovra l’anno in aggiunta all’esercizio contabile ordinario insito nella legge di Bilancio. Altro che i benefici e salvifici effetti delle riforme: sarà proprio tra due anni che l’Italia stramazzerà al suolo. Non basterà nemmeno un maxiprelievo sui conti correnti o l’ennesima manovra sulle pensioni a far quadrare i conti se nel frattempo non si sarà affermato un nuovo indirizzo politico che ribalti il tavolo con Bruxelles.

Ma poi, di quali riforme parla Padoan? Di quella che ha trasformato il Senato della Repubblica in un dopolavoro per funzionari regionali di partito che, eventualmente inquisiti a livello locale, potranno con un semplice salto nel Senato divenire immuni? Ridurre il peso delle istituzioni politiche e l’efficacia di quelle pubbliche è solo una tappa (fondamentale, però) nel cammino mortale che azzera la sovranità politica, il ruolo ed il peso del bene comune e trasforma i paesi in mercati vergini pronti per il volo radente degli avvoltoi in colletto bianco.

Se non di questa, di quali altre riforme parla il Ministro, caro al Fmi ma sostanzialmente sconosciuto ai più in Italia fino all’arrivo della versione adulta degli scout dell’Agesci al governo? Forse della fenomenale idea di vendere le auto blu su E-bay, suggerita dalle giovani marmotte dell'Esecutivo e rivelatasi un flop colossale (alcune sono state acquistate ad 1 Euro). Oppure delle figuracce sulla quota 96 per i docenti, o più in generale dell’incapacità di affrontare la questione degli esodati? Tutto ciò è il frutto di un improvviso attacco di mamma orsa oppure i tre nipotini hanno messo l’economia in mano a Paperino? D'altra parte é lo stesso Padoan che definì la riforma Fornero "un passo importante per la modernizzazione dell'Italia".

Chiedere alla Bce di fare il suo lavoro e riportare l’inflazione vicina al 2% non è sbagliato, visto che la deflazione è già dannatamente presente e che invece l’economia, se sana, ha bisogno d’inflazione in dosi moderate per favorire i consumi interni e l’occupazione. Ma alla Bce si dovrebbe soprattutto chiedere di cambiare ragione sociale: dovrebbe cioè divenire una banca centrale europea a tutti gli effetti, quindi prestatrice di ultima istanza, guardiana della moneta e garante della solvibilità del deficit dei diversi paesi membri dell’Unione Europea e che adottano l’Euro come moneta ufficiale.

Peccato che la modifica dello statuto della Bce la debbano decidere i governi e non i banchieri. Che poi questi ultimi diano ordini ai primi e non viceversa è solo uno degli aspetti più devastanti della crisi politica ed economica del vecchio continente. Crisi alla quale ora si affaccia anche la Germania, pur dopo aver saccheggiato l’Europa ed aver riempito i suoi forzieri con le politiche di austerità imposte agli altri.

Le sue esportazioni, infatti, vera forza d’urto della teutonica economia, rallentano. A fronte di una crisi che sembra intensificarsi ed allungarsi, piuttosto che affievolirsi ed abbreviarsi come previsto, le politiche restrittive riducono le importazioni di ogni paese, allo scopo di ridurre il peso sui conti pubblici.

Non è quindi un caso se la Bundesbank invita il governo a concertare con i sindacati un aumento orario di due o tre euro negli stipendi e nei salari per rilanciare la domanda, visto che se i consumi interni rallentano insieme alle esportazioni, prima o poi Berlino sarà costretta a mangiarsi la sbobba amara dell’austerity che fino ad ora ha propugnato agli altri. Il che significherebbe, insieme ad altre cose interessanti, la fine del comando tedesco sull’economia europea e l’obbligo di allargamento a Francia, Italia e Spagna della decisionalità sulle politiche economiche dell’Unione, cosa che a Berlino vedono come la peste.

Dunque Padoan parli con Renzi, che certamente riferirà sia al suo leader (Obama) che ai suoi commensali (l’Europa) dell’urgenza dell’agire in Bce. Magari non l’ascolteranno con grande interesse, visto che le sue proposte straordinarie per l’Europa sono riassunte nella Mogherini nel ruolo di Mr Pesc, provando a doppiare il successo ottenuto con la Boschi in Italia. L’Europa però conserva, anche nei suoi errori, un coefficiente di serietà maggiore e, soprattutto, sa pesare e contare al suo interno.

E non si tratta solo di rendere flessibili i tempi e/o i margini del differenziale inventati da un funzionario francese e divenuti bibbia a Maastricht; corriamo verso l’abisso in nome di strampalate e mai dimostrate teorie economiche e ormai si tratta di reagire alla guerra che il capitale speculativo ha dichiarato al lavoro, di rivoltare in senso keynesiano le politiche economiche del continente, aprendo il credito a tutta l’area dell’Unione per la generazione di lavoro e ripresa della produzione industriale e del commercio. Allo scopo, le riforme di cui parla Padoan non servono affatto. Vanno anzi in direzione contraria.

Del resto la sua brillante carriera non può non farci correre brividi lungo la schiena. Al Fondo Monetario Internazionale Padoan si occupava di Argentina quando il paese sudamericano andò in default e in seguito, presso l’Ocse, si occupò con risultati pessimi di Grecia e Portogallo. Di lui, sul New York Times, Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, scrisse: «Certe volte gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno cattivi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all’Ocse». Adesso è qui da noi: al peggio non c'è mai fine.

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