Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Antonio Rei

A Matteo Renzi serve che il prossimo Capo dello Stato non sia un uomo di sinistra. O meglio, che magari dica di esserlo, ma non lo sia davvero. Un po' come Giorgio Napolitano, l'ex Pci che ha fatto di tutto per smantellare il sistema di tutele a favore dei lavoratori italiani. La necessità numero uno del Premier è proprio questa: il prossimo inquilino del Colle dovrà continuare a supportare il processo riformatore in corso, favorendo la precarizzazione definitiva del mercato del lavoro e la metamorfosi centripeta del sistema istituzionale, che per il combinato composto di Italicum e castrazione del Senato rafforzerà ulteriormente l'Esecutivo, riducendo il Parlamento a poco più di una camera di ratifica.

Chiunque abbia letto la Costituzione potrebbe obiettare che un ruolo simile non spetta al Presidente della Repubblica, il quale deve rappresentare una figura di garanzia super partes. Dopo l'era Napolitano, però, questo principio appare superato e assai difficile da ripristinare. Nel corso del suo ultrasettennato, l'attuale numero uno del Quirinale ha sempre agito come un politico e mai come un garante, svolgendo il ruolo dell'arbitro che parteggia per una delle squadre in campo.

E' vero, ha potuto farlo perché si è ritrovato a gestire Parlamenti e governi mai così deboli (si potrebbe obiettare che del resto nominati erano da lui, che ha pervicacemente ignorato il ricorso alle urne e ha imposto i suoi uomini a Palazzo Chigi). Ad ogni modo il punto è che ormai ha sdoganato la forzatura delle funzioni che spettano alla prima carica dello Stato, spianando la strada alla creatività dei suoi successori.

Per queste ragioni Renzi non può permettersi di puntare su presunte figure di garanzia. Sa benissimo che anche il nuovo Presidente - poco importa se di provenienza tecnico-accademica - sarà presto o tardi sedotto dalle sirene della politica e reciterà una parte decisiva nel determinare gli assetti delle maggioranze e gli indirizzi dei governi.

Ma quali sono le alternative verosimili? Poche, in effetti. Ragionare sui singoli nomi è un esercizio tanto diffuso quanto inutile, visto che fino alle votazioni vere e proprie gli attori in campo pronunciano nomi solo per bruciarli. Ha più senso quindi concentrarsi sul profilo generale del nuovo Presidente.

E' evidente che un costituzionalista o un uomo autenticamente di sinistra ostacolerebbero il progetto Renzi, segnando l'inizio della fine del Premier. Per eleggere una figura simile, tuttavia, dovrebbero mettersi d'accordo perlomeno la minoranza Pd e il Movimento 5 Stelle, due accolite che per vocazione si ostinano a non voler dare alcun senso alla propria presenza in Parlamento.

Ben più realistico è che alla fine l'accordo decisivo venga siglato fra il Pd renziano e Forza Italia, tanto per suggellare con l'ennesima nota grottesca questi tempi strani in cui mezza opposizione sostiene il governo e mezza maggioranza lo contrasta.

In ogni caso, nella partita per il Quirinale, il vero contrappeso di cui tenere conto non è interno alla nostra politica. Dopo le elezioni greche di fine gennaio, il voto per il nuovo Presidente italiano è la seconda voce nella lista delle preoccupazioni di Bruxelles.

L'idillio che ha legato i tecnocrati comunitari a Napolitano - quasi un ambasciatore della Commissione Ue in Italia - è difficilmente ripetibile. Eppure è illusorio pensare che le esigenze (e le pressioni) europee non entreranno in gioco quando le Camere dovranno votare in seduta congiunta.

In questo contesto fanno quasi tenerezza Germania e Gran Bretagna, che sostengono la candidatura al Colle di Mario Draghi (il quale si è prontamente smarcato) con l'unica e fin troppo smaccata intenzione di allontanarlo dalla Bce. La City e la Bundesbank dovranno mettersi l'anima in pace, perché questo loro sogno è destinato a non realizzarsi.

Se una manovra europea ci sarà, quindi, non potrà che essere molto più sotterranea. In particolare, l'interesse di Bruxelles nei confronti del nostro nuovo Presidente è duplice e riflette perfettamente il rapporto di amore e odio che l'eurocrazia ha con Renzi.

In ottica comunitaria, il nuovo Capo dello Stato dovrebbe appoggiare (anzi, accelerare) le riforme di cui sopra, che all'Ue fanno venire l'acquolina in bocca, ma al contempo dovrebbe lavorare per ridurre la smania di protagonismo del nostro Premier, che ultimamente chiacchiera un po' troppo di flessibilità e di limiti del Patto da rivedere. Si tratta, beninteso, di semplici parole destinate al nulla e pronunciate da Renzi solo per accreditare se stesso. Ma i maestri esigono che, mentre fanno i compiti, gli alunni stiano zitti.

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