Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Fabrizio Casari

Due milioni di persone, forse più, hanno partecipato alla manifestazione di Parigi, la più grande della storia della Francia. Prima ancora che il ripudio del terrorismo e oltre che solidale con la sorte dei giornalisti uccisi e delle altre vittime, la piazza ha voluto testimoniare con forza una identità culturale e il bisogno di sentirsi uniti contro una paura fino ad ora sconosciuta. Semmai stonavano, alla testa dell manifestazione, politicanti degni di comparire in scenari di ben altra natura, vista la partecipazione dei loro rispettivi paesi alle operazioni belliche che, ogni giorno, flagellano l’intero Medio Oriente.

Sentire invocare la pace a esponenti di governo che sono in guerra permanente della prima invasione dell’Iraq, sembra per certi versi più comico di alcune delle vignette di Charlie Hebdo.

Sulla ferocia assassina dei fratelli Kouachi, adepti dell’Isis (pur se al-Queda ha provato ad addossarseli) non ci sono dubbi. In molti ritengono che quel giornale fosse dotato di cattivo gusto a vendere e che le sue vignette, in realtà, fossero una manifestazione ricorrente di volgarità gratuita e rappresentasse una costante offesa all’Islam per la quale proteste e minacce si erano accavallate. Ovvio, persino ridondante sottolinearlo, che nessuna presunta colpa del giornale può comunque prevedere una simile vendetta; nessun ipotetico affronto può vedere la violazione del corpo e lo scorrere del sangue come reazione. La colpa di risultare fuori luogo non può prevedere la pena di morte. Qui deve alzarsi un muro invalicabile. Se così non fosse, tutto sarebbe spiegabile e, di per sé, giustificabile. Ma così non è, non può e non deve essere.

Ma è un altro l’aspetto su cui soffermarsi ora. Legittimo chiedersi: è vero che la satira non può avere censure? E’ vero che la libertà di dire, disegnare o scrivere qualunque cosa su chiunque e su qualunque argomento non possa essere mai messa in discussione? Forse non è così; anzi, certamente non è così. La libertà d’espressione, come tutte le manifestazioni di libertà, esiste in quanto capace di autoregolamentarsi per evitare di tracimare nell’insulto gratuito, nella più totale mancanza di rispetto e di buon gusto; deve finire dove comincia la libertà e la sensibilità di chi di quell’espressione di “libertà” può ritenersi vittima.

La libertà da rispettare non è anche quella di chi non vuole sentir offesa la propria religione, il proprio credo spirituale? E quella libertà come la si garantisce? Non si può certo pensare d’imporre per legge il buon gusto e di sanzionarne penalmente la sua assenza, ma certo non si può nemmeno ritenere che le libertà degli altri (da noi) possano essere ignorate mentre le nostre vadano difese.

Ci si chiede, insomma, se Charlie Hebdo avesse o no il diritto inviolabile di poter ironizzare (pesantemente) anche su una religione come l’Islam, che tra i suoi precetti annovera il divieto di citare Allah e Maometto (Dio e il suo Profeta) per ironizzare. Si può ritenere ciò eccessivo, sbagliato, ingiusto e via dicendo; ma il fatto è che così stanno le cose e che non è possibile disegnare il mondo a piacere nostro.

Fanatici musulmani? Anche altre religioni, pur meno rigide dell’Islam (o, forse, più che dell’Islam delle sue interpretazioni e letture radicali) non consentono di nominare Dio se non per la preghiera, e il reato di vilipendio alla religione c’è nella nostra “liberissima” Italia e non solo nei paesi islamici. E provate a ironizzare sulla religione nel Giappone scintoista o nell’India induista e vedete a cosa andate incontro.

Il terrorismo è ributtante e l'estremismo islamico rappresenta il ritorno dell’essere umano al Medioevo, anzi all’età della pietra. L’adesione alle leggi coraniche comporta la generale riduzione delle libertà individuali e collettive, dunque nessuno può pensare di un riconoscimento verso quel modello. Ma né l’Islam, né Maometto c’entrano niente con i terroristi autori della carneficina di Parigi (con cui invece c’entra - e non poco - l’Isis, che con l’aiuto anche della Francia, combatte in Siria contro Assad, presidente laico). Non a caso l'Islam vero, anche quello più radicale (dall'Iran a Hezbollah, ad Hamas) non ha esitato a condannare la barbarie dei fratelli Kouachi.

Alcune delle vignette pubblicate da Charlie Hebdo con l’ironia avevano poco a che fare: esprimevano invece un malcelato divertimento nella derisione dei musulmani, accarezzando il venticello razzista, tipicamente francese, che vede “les arabes” come un corpo estraneo per quanto integrato; buono per fare baguette, ma ottimo solo se vive nelle banlieue. Quando infatti si disegna una vignetta il cui testo è “l’Islam è merda”, dove sta l’ironia? Quando si disegna Maometto crivellato di colpi dov’è il divertimento? Non c’è nessuna ironia, solo razzismo e islamofobia. Alla vista di quelle vignette viene da ridere solo a un imbecille o a un lepenista, praticamente la stessa cosa.

C’è poi un punto non secondario: davvero si ritiene legittimo, per le nostre ansie di ricchezza e di potere, bombardarli, ucciderne a milioni, sbatterli nei campi profughi, condannarli alla deriva nelle carrette dei mari, rinchiuderli in ghetti o prigioni e poi, per buona misura, insultarli e dileggiarli, senza che trovino mai la voglia di reagire? E davvero è possibile ammazzarli come arabi e chiedergli però di reagire come britannici?

Deve esserci un limite a eurocentrismo ed occidentalismo. Mentre s’ironizza e si disprezza l’Islam, ogni salvaguardia delle norme, scritte e non, che attengono ad usi e costumi del cattolicesimo, viene vista con sguardo benevolo e comprensivo. Ad esempio, è parte del senso comune ritenere inappropriato un abbigliamento sexy in una chiesa, ritenuto giustamente non consono alla sacralità del luogo che merita rispetto anche da parte di chi non crede. A nessuno verrebbe in mente di difendere in nome della libertà una donna in minigonna e scollata dentro San Pietro ove essa fosse oggetto di rimostranze da parte dei fedeli o dei sacerdoti. Allo stesso modo, si ritiene imperdonabile una bestemmia in radio o in tv e la mannaia della censura è scattata in automatico ogni qual volta ciò si è verificato.

Si riconosce, insomma, che c’è un limite di buon gusto e di rispetto che non può essere fatto regolarmente deragliare sui binari della presunta libertà assoluta dell’espressione, corporea o verbale che essa sia. Si ritiene, in sostanza, che la “libertà” di dire o fare ciò che vogliamo, vada ricondotta comunque nell’alveo del rispetto per chi ci circonda. La libertà senza norme e senza rispetto è arroganza pura.

C’è poi il capitolo, questo sì comico, della nuova leva di difensori della satira che, qui da noi, come sempre diventa una boutade all’italiana con dosi massicce di melassa. Destino ciclico il nostro. Non appena un tema rischia di diventare serio, arriva il carrozzone dei twittaroli alla Gasparri o Santanchè e in automatico tutto diventa farsa all’italiana. Quando non bastano arriva Battista.

Benché gli indignati d’Occidente si dichiarino fedeli difensori della libertà d’espressione, non c’è da dargli credito, perché quando la satira tocca la religione cattolica, gli stessi difensori di oggi della libertà d’espressione, insorgono contro la satira. E non solo: tra gli inquisitori di comici e giornalisti italiani figurano molti degli arnesi della destra oscurantista e beghina italiana che oggi si trasformano in emuli di Voltaire.

Sono quelli che s’indignarono per una battuta di D’Alema all’indirizzo di Brunetta o per le vignette di Vauro all’indirizzo del cavaliere, ma che di colpo, se si tratta d’insultare i musulmani, si scoprono libertari.

E a chi dovesse credere a questa nuova ventata di liberalità a piene mani verso il diritto all’espressione, sappia che questo Parlamento di corrotti ed incapaci vota norme liberticide sulla libertà di espressione per i giornalisti: dunque con quale faccia tosta si presenta ai microfoni per difendere la libertà d’espressione quando si tratta di satira? Perché se la satira ha libertà totale non altrettanta libertà si riconosce - ad esempio - alla stampa? Perché non la possono avere le idee, le parole e i gesti, per i quali invece sono previste sanzioni?

Politicanti e ipocriti. Sono ignobili cialtroni che strumentalizzano la tragicità di quanto accaduto, dal momento che molti di essi hanno plaudito alle epurazioni berlusconiane alla Rai, alle minacce contro le trasmissioni d’inchiesta e, incuranti di mettere in discussione la propria casta, insorgono contro le professioni che non siano la loro. Un destino malefico ce li impone dal 1994. Fortunati i popoli che non hanno bisogno di eroi, diceva Bertold Brecht: ma qui non c’è da stare allegri: di fortuna e di eroi non se ne vedono tracce.

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