USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Antonio Rei

Inizia nel più solenne dei modi una stagione d’affanni per Matteo Renzi. Il Premier ospita oggi a Ventotene il presidente francese François Hollande e la cancelliera tedesca Angela Merkel per parlare di temi come la gestione dei migranti e la lotta al terrorismo. La scelta di tenere l’incontro nello stessa isola dove durante la guerra Spinelli, Rossi e Hirschmann scrissero il Manifesto “Per un'Europa libera e unita” voleva essere simbolica, evocativa, ma il risultato è una grottesca parodia del progetto concepito negli anni Quaranta.

Per dare almeno un’impressione di unità avrebbero potuto organizzare a Ventotene una riunione paneuropea. Invece, con involontaria onestà, hanno scelto l’isola del Manifesto unitario per celebrare la frammentazione che governa l’Ue, dove le decisioni vengono prese dal direttorio franco-tedesco e ratificate dagli altri Paesi.

A questi vertici di comando partecipava negli anni passati anche il Regno Unito, che però si è auto-escluso con il voto in favore di Brexit. All’Italia è stato concesso il posto lasciato libero da Londra, ma la posizione del nostro Paese rimane più che mai subalterna, soprattutto dopo gli ultimi sviluppi del quadro economico.

Al di là dell’agenda ufficiale, è facile prevedere che il Presidente del Consiglio sfrutterà la riunione di oggi per affrontare in modo informale il nodo della flessibilità sul deficit che l’Italia si prepara anche quest’anno a chiedere alla Ue. In sostanza, il Premier vuole convincere Merkel e Hollande a concedergli le risorse aggiuntive necessarie alla nuova legge di Stabilità, che a sua volta dovrà servire da grimaldello per la vittoria del Sì al referendum costituzionale.

Il problema è che, numeri alla mano, il nostro Paese sta andando peggio della media europea e difficilmente potrà meritare altri sconti. Secondo la stima preliminare dell’Istat, nel secondo trimestre il Pil è rimasto al palo: +0% (non accadeva dal 2014), contro il +0,1/+0,2% che il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan aveva detto di attendersi soltanto lo scorso 27 luglio.

A questo punto il governo dovrà ridurre le stime di crescita per il 2016 nella nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza che sarà pubblicata entro settembre. Ormai “siamo decisamente sotto l’1%”, ha anticipato il viceministro Enrico Morando. Lo scorso aprile, invece, il governo aveva previsto di chiudere quest’anno con una crescita dell’1,2% e un deficit al 2,3% del Pil, un dato inferiore al 3% imposto dalle regole di Maastricht, che perciò avrebbe consentito buoni margini di flessibilità.

Tuttavia, poiché il Pil aumenterà molto meno del previsto - e contemporaneamente non arriverà alcun taglio alla spesa pubblica - il rapporto deficit-Pil sarà superiore alle attese, limitando molto la flessibilità che potrà essere concessa al nostro Paese. Come anticipato dal Corriere della Sera, gli scenari peggiori contenuti nello stesso Def prevedono per il 2016 una crescita dello 0,7% e un deficit al 2,9% del Pil. Una vera batosta per la manovra pro-referendum.

Renzi potrebbe aggirare l’ostacolo portando gli elettori alle urne sulla riforma costituzionale entro fine novembre, cioè prima del via libera alla legge di Stabilità 2017. In questo modo potrebbe sfruttare l’effetto annuncio, promettendo mance, mancette e favori sparsi (ai pensionati, ad esempio, ma anche ai lavoratori dipendenti e agli autonomi) per accumulare voti in favore del Sì, salvo poi fare marcia indietro in fase di chiusura della manovra.

Del resto, lo spettacolo è già iniziato. Il Premier non spreca un’occasione per ribadire che “il governo continuerà ad abbassare le tasse con la nuova legge di Stabilità”. È il nuovo mantra renziano, che tutti i membri dell’Esecutivo hanno il compito di ripetere fino alla noia, ovviamente senza mai entrare nel merito. Si dice che la priorità sarà data allo stop dell'incremento automatico dell'Iva e al taglio dell’Ires, mentre l’intervento sull’Irpef (ben più costoso) sarà rinviato ancora.

Basterà per comprare il voto degli italiani, molti dei quali vogliono bocciare la riforma della Costituzione per semplice ostilità nei confronti di questo governo? Probabilmente no. Sempre che da Ventotene non arrivi un salvagente per il maldestro inquilino di Palazzo Chigi.

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