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Partiamo dalle parole del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, il quale ha detto che il caso Consip “non deve assolutamente” influenzare il congresso del Pd. Purtroppo Orlando sembra farne solo una questione di buona creanza: non ha il coraggio, né la personalità, né a ben vedere nemmeno l’interesse a chiedere le dimissioni di Lotti. Ma proprio queste sarebbero l’unico modo per evitare che quella burattinata del congresso Pd si trasformi in una gazzarra ancora più insopportabile agli occhi degli elettori.

Un rappresentante dei dem come Lotti dovrebbe evitare di rimanere avvinghiato al suo sgabello ministeriale sapendo che questa sarà l’ennesima ragione di contrasto interno e che, nel frattempo, il Partito democratico è stato sorpassato nei sondaggi dal Movimento 5 Stelle (che ovviamente ha depositato una mozione di sfiducia in Parlamento contro il ministro dello Sport).

Con Lotti al governo, al congresso si parlerà solo di lui. Senza Lotti, invece, i riflettori sarebbero puntati sull’acclamazione festante del Grande Capo Matteo. Perché è questo l’unico esito congressuale possibile. Lo sa benissimo anche Orlando, che si è faticosamente candidato contro Renzi ma è stato e continua a essere più renziano del Re.

Lotti dovrebbe farsi da parte anche per evitare di danneggiare ulteriormente il governo di cui fa parte e in cui, peraltro, ha sempre svolto un ruolo di assoluta irrilevanza. L’esecutivo guidato da Gentiloni è nato come un governo fotocopia del precedente, è cresciuto come un governo ventriloquo, evidentemente eterodiretto, e ha finito col diventare un governo fantoccio, messo lì col solo scopo di tenere calde le poltrone di Palazzo Chigi fino alle prossime elezioni. Insomma, non è mai stato proprio il massimo della credibilità, e ora il caso Consip rischia di infliggergli il colpo di grazia.

Poi c’è anche una ragione materiale per cui Lotti dovrebbe dimettersi. Chi è coinvolto in un’indagine così estesa e così grave – parliamo di uno degli appalti più grandi d’Europa – non può avere né il tempo né le energie sufficienti per difendersi e contemporaneamente guidare un ministero, ancorché senza portafoglio. D’altra parte, anche a volerne fare solo una questione di poltrona, è il caso di ricordare che Lotti, una volta abbandonata la squadra di Gentiloni, rimarrebbe comunque parlamentare.

Insomma, le ragioni della politica chiedono le dimissioni del ministro dello Sport senza che questo intacchi in alcun modo il principio costituzionale del garantismo, che è dovuto nei confronti di qualunque cittadino.

Purtroppo, però, c’è da scommettere che Lotti rimarrà esattamente dov’è. Del resto, è uno dei petali più preziosi del Giglio magico, una pedina fondamentale nel minuscolo scacchiere di incompetenza e pressappochismo in cui Renzi ha concentrato il sistema di controllo del suo potere.

Basti pensare che nello scorso governo il buon Lotti era sottosegretario alla presidenza del Consiglio e a dicembre, dopo la caduta referendaria, Renzi ha perfino cercato di affidargli la delega ai Servizi segreti. Un’idea folle che, naturalmente, si è rivelata irrealizzabile.

Ma alle volte il senno di poi propone dei quesiti divertenti: che cosa sarebbe successo oggi se Lotti, invece di essere un ministro dello Sport qualsiasi, fosse stato al vertice degli 007 italiani?