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Migliaia di migranti provenienti in gran parte da Medio Oriente e Afghanistan continuano a fare le spese di un’escalation di tensioni tra Polonia e Bielorussia che rischia di sfociare in uno scontro armato in grado di trascinare nel conflitto la NATO da una parte e la Russia dall’altra. Dopo l’accordo in sede UE di lunedì per l’imposizione di nuove sanzioni punitive contro il regime di Lukashenko, Minsk ha dato in parte seguito alla minaccia di interrompere le forniture di petrolio destinate all’Europa, chiudendo “temporaneamente” l’oleodotto che dalla Russia transita attraverso il proprio territorio. Le forze di sicurezza polacche, intanto, hanno intensificato drasticamente le operazioni per tenere i migranti al di là del confine. Questa strategia incontra il pieno appoggio di Bruxelles, nonostante l’oggettiva violazione del diritto internazionale che sta caratterizzando le decisioni del governo ultra-nazionalista di Varsavia.

 

La versione ufficiale dell’Occidente è che il caos alla frontiera tra Polonia e Bielorussia sia provocato artificialmente da Lukashenko, il quale avrebbe favorito l’afflusso di migranti diretti verso l’Europa come ritorsione per le sanzioni adottate nei suoi confronti dopo le elezioni presidenziali dello scorso anno. Il voto era stato denunciato da Stati Uniti ed Europa, impegnati ad alimentare un movimento di protesta guidato dall’opposizione filo-occidentale bielorussa. Il governo di Minsk era poi finito sotto accusa in un’altra circostanza dai contorni non del tutto chiariti, ma che per l’Occidente consisteva nell’atterraggio forzato nella capitale bielorussa di un volo Ryanair su cui viaggiava un “dissidente” filo-occidentale, poi prontamente arrestato dalle autorità locali.

Se la crisi in atto ha risvolti e implicazioni piuttosto complessi, Lukashenko ha come minimo concluso che, dopo la “guerra ibrida” dell’Occidente contro il suo regime, non vi era alcuna ragione né vantaggio nel garantire a beneficio dell’Europa la chiusura di una delle rotte da est a ovest di profughi e migranti. Anche per questa ragione, la responsabilità della situazione attuale ricade su Bruxelles e sulle manovre anti-russe di Europa e Stati Uniti, colpevoli ancora di più della devastazione di quei paesi da dove centinaia di migliaia di disperati sono costretti a fuggire.

La questione migratoria si è in questo caso fusa alla competizione strategica che mette di fronte l’Occidente e la Russia e la situazione esplosiva al confine tra Polonia e Bielorussia si sovrappone oltretutto all’aggravarsi delle tensioni su altri fronti, come quello ucraino e, collegato a quest’ultimo, del Mar Nero. Uno degli effetti più evidenti, ma anche più vergognosi, dell’evolversi della situazione è il sostanziale allineamento tra Bruxelles e Varsavia nella guerra illegale contro i migranti, dopo che il governo di estrema destra polacco era stato invece per anni oggetto di dure condanne a causa dell’implementazione di un’agenda politica, sociale e giudiziaria da regime autoritario.

Per l’Europa e la NATO, dunque, Lukashenko starebbe “strumentalizzando” la questione migratoria, come ha spiegato in questi giorni il ministro della Difesa francese, Florence Parly. La strumentalizzazione della crisi è in realtà soprattutto della Polonia e degli alleati occidentali di Varsavia. Ciò è chiaro in primo luogo dallo scontato tentativo di coinvolgere nella vicenda la Russia. Putin, anzi, per l’Europa e la NATO sarebbe il vero ispiratore della “invasione” di disperati che sembra incombere sull’Europa.

A un’analisi più attenta della situazione, è al contrario difficile non vedere un certo fastidio del Cremlino per la condotta dell’alleato Lukashenko. Per la Russia non deriva alcun vantaggio tattico o strategico dall’alimentare un nuovo fronte di scontro con l’Occidente alla luce dello stato già pessimo delle relazioni, evidenziato tra l’altro dal riacutizzarsi della crisi in Ucraina e dalla un po’ meno recente disputa che aveva portato al ritiro della delegazione permanente di Mosca presso il quartier generale della NATO a Bruxelles.

Putin aveva inoltre nei giorni scorsi criticato pubblicamente il presidente bielorusso per le sue minacce di interrompere il flusso di petrolio diretto a occidente. Malgrado l’avvertimento, Lukashenko si è mosso invece in questa direzione nella giornata di mercoledì, anche se l’annuncio ufficiale dello stop alle forniture di greggio, che interessa Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Germania, parla di “lavori di manutenzione” della durata di appena tre giorni.

A un livello più ampio, gli eventi di questi giorni riportano a galla l’insofferenza di Putin per Lukashenko, le cui iniziative per rimanere alla guida della Bielorussia rischiano appunto di offrire un assist alla strategia NATO di accerchiamento della Russia. Il Cremlino era in realtà intervenuto lo scorso anno per salvare Lukashenko nel pieno della “guerra ibrida” orchestrata da Washington e Bruxelles, ma a nessuno era sfuggito il desiderio, finora frustrato, di vedere a Minsk una leadership più affidabile per Mosca.

Sempre in merito alle strumentalizzazioni in corso, per l’Occidente il caos lungo il confine polacco-bielorusso rappresenta un’altra occasione per accelerare il processo di militarizzazione alla periferia russa. In aggiunta a ciò, la valanga di accuse contro Putin per avere organizzato una presunta orda di migranti diretti verso il paradiso occidentale torna utile per avvelenare ulteriormente i rapporti tra Russia ed Europa. Una conseguenza di ciò si è potuta osservare proprio in questi giorni con la sospensione, a causa di un cavillo legale, da parte di un’agenzia pubblica tedesca della certificazione del gasdotto Nord Stream 2, da tempo oggetto di un’offensiva americana e di determinati ambienti da questa parte dell’Atlantico.

Se, quindi, da un lato Lukashenko intende continuare a fare pressioni sull’Europa e, indirettamente, sulla Russia per ottenere un allentamento delle sanzioni, è in realtà il governo polacco a trarre i maggiori benefici dalla crisi e a soffiare perciò sul fuoco dello scontro. Come già anticipato, la Polonia ha incassato l’appoggio incondizionato dell’UE per il trattamento ultra-violento riservato ai migranti, togliendosi di dosso, almeno per il momento, l’immagine di paria che si era costruita in seguito alla deriva anti-democratica del governo in carica. In parallelo, la demonizzazione della Bielorussia e, di riflesso, della Russia moltiplica gli ostacoli per il già difficilissimo processo di normalizzazione dei rapporti tra l’Europa e Mosca, visto com’è noto con orrore dal governo ferocemente russofobo di Varsavia.

All’orgia anti-russa hanno prevedibilmente mostrato di voler partecipare anche i vicini governi baltici, senza troppi scrupoli per il rischio di un’escalation militare che, tuttavia, difficilmente la NATO sarebbe disposta a sostenere se dovesse implicare uno scontro diretto con Mosca. Polonia, Lettonia e Lituania hanno infatti lasciato intendere di volere invocare l’articolo 4 del trattato NATO, che comporta la convocazione di un vertice di emergenza quando è minacciata “l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza” di uno dei paesi membri.

Sullo sfondo di questo confronto di natura prevalentemente strategica, intanto, le vere vittime restano i circa quattromila rifugiati che cercano di entrare in territorio polacco, per raggiungere da qui soprattutto la Germania. Il comportamento delle forze di sicurezza di Varsavia risponde di fatto all’atteggiamento dell’Europa nei confronti dei migranti e in questi giorni ha visto il ricorso alla violenza diffusa, fino all’uso, almeno secondo quanto riferito da fonti bielorusse, di agenti tossici per tenerli lontani dal proprio territorio.

Con le temperature spesso già sotto lo zero, la situazione per i migranti, tra cui moltissime donne e bambini, rischia di diventare sempre più disperata, mentre il governo polacco, con la benedizione UE, continua a negare la possibilità, imposta dal diritto internazionale, di presentare richiesta di asilo e a tenere lontani giornalisti e rappresentanti di organizzazioni umanitarie. Il bilancio provvisorio di queste settimane di scontri ha così già raggiunto gli undici morti tra i rifugiati bloccati in una sorta di limbo tra Polonia e Bielorussia.