Dopo ogni attacco militare condotto in territorio russo, verosimilmente da individui o gruppi legati direttamente o indirettamente al regime ucraino, il governo americano smentisce in maniera ufficiale di avere incoraggiato o favorito questo genere di operazioni ultra-provocatorie. Lo stesso copione si è ripetuto martedì in seguito all’incursione di otto droni su Mosca in quello che è stato il primo tentativo di raid aereo contro edifici civili nella capitale russa. Nonostante le smentite, è difficile immaginare che Zelensky e la sua cerchia abbiano agito in maniera autonoma. Se così fosse, l’episodio di martedì segnerebbe una nuova pericolosissima provocazione da parte di Washington, soprattutto alla luce del grave deteriorarsi delle capacità belliche dell’Ucraina sotto i colpi dell’artiglieria russa.

 

Secondo il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, si sarebbero verificati solo danni di lieve entità ad alcuni palazzi residenziali, mentre due persone avrebbero riportato ferite non gravi. Il ministero della Difesa russo ha fatto sapere di avere abbattuto cinque droni e neutralizzato gli altri tre grazie ai sistemi di difesa elettronica. L’attacco è l’ultimo tra quelli registrati solo nel mese di maggio, apertosi con i due droni lanciati sul Cremlino, secondo le autorità russe per attentare alla vita del presidente Putin.

Solo la settimana scorsa un altro raid era stato condotto nella regione di Belgorod. Un paio di gruppi armati russi di estrema destra di stanza probabilmente in Ucraina avevano tenuto impegnati i militari russi per un paio di giorni. Le immagine poi diffuse in rete avevano mostrato tra l’altro un mezzo corazzato americano distrutto dopo essere stato usato per l’attacco. Sempre in questi giorni si sono verificate anche incursioni con droni contro due raffinerie di petrolio in territori russo. La prima nella giornata di domenica e la seconda un paio di giorni dopo. In entrambi i casi, gli attacchi hanno provocato incendi ma non sembrerebbero esserci state vittime.

Il regime di Kiev ha fatto sapere di non essere in nessun modo coinvolto in questi episodi, anche se il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak, si è detto “compiaciuto” per il crescente numero di attacchi in Russia. Che non ci sia l’Ucraina dietro a questi eventi è decisamente improbabile. Qualche giorno fa, il New York Times aveva scritto infatti che, secondo il governo americano, i responsabili del fallito attacco con i droni sul Cremlino di inizio maggio erano da ricercare tra i militari o i servizi di intelligence ucraini.

A sua volta, non è plausibile la tesi che gli Stati Uniti non siano a conoscenza dei piani ucraini. Anzi, la versione più credibile è che la Casa Bianca approvi gli attacchi dentro i confini russi, per i quali fornisce con ogni probabilità le coordinate geografiche. A confermare questa ipotesi era già stato un articolo del Times di Londra di inizio dicembre, nel quale si spiegava come Washington avesse garantito a Zelensky la “tacita approvazione” per attacchi di “lungo raggio” contro bersagli in territorio russo.

Da un punto di vista tattico o strategico, l’impiego di droni su Mosca non ha particolare senso. Piuttosto, questo genere di operazioni assomigliano a metodi terroristici, per scatenare il panico tra la popolazione civile e provocare una reazione spropositata da parte russa, così da giustificare un ancora maggiore coinvolgimento della NATO nella guerra in corso. Putin e il suo portavoce, Dmitry Peskov, hanno anch’essi parlato di “terrorismo” nel descrivere i fatti di martedì, per poi collegarli a un attacco russo, avvenuto qualche giorno prima, contro le sedi dei servizi di intelligence militare ucraini (GUR). Si tratterebbe insomma di un tentativo di ritorsione contro quest’ultima operazione, quasi certamente con il beneplacito di Washington, come ha affermato anche l’ambasciatore russo negli USA, Anatoly Antonov.

Le smentite americane espresse in via ufficiale lasciano comunque anch’esse il tempo che trovano. L’amministrazione Biden ha infatti dato la propria esplicita approvazione agli attacchi ucraini contro la Crimea, anche se per Mosca la penisola sul Mar Nero è parte integrante del proprio territorio. Alcuni alleati degli Stati Uniti hanno inoltre meno scrupoli riguardo alla questione. Il ministro della Difesa britannico, James Cleverly, ha ad esempio affermato di ritenere del tutto legittime le operazioni ucraine oltre il confine con la Russia.

Anche a Washington non mancano peraltro voci favorevoli a questa strategia di guerra. Svariati membri del Congresso di entrambi i partiti hanno approvato o incoraggiato i recenti attacchi contro la Russia sui social media o durante interviste televisive. Resta da comprendere quale sia il vero obiettivo di simili operazioni e se esse debbano essere collegate ai presunti preparativi della sempre meno probabile controffensiva ucraina.

Anche se se ne parla decisamente meno a livello pubblico, il contrattacco ucraino continua a essere agitato di quando in quando sia a Kiev sia in Occidente. Praticamente tutti gli analisti militari indipendenti ritengono però che le possibilità di lanciare e sostenere un’operazione militare contro le forze russe siano quasi nulle. Mosca sta conducendo bombardamenti mirati e devastanti nelle ultime settimane, azzerando le residue capacità militari ucraine e distruggendo la rete di infrastrutture che dovrebbe garantire rifornimenti e collegamenti con il fronte.

Se si esclude perciò che la questione si risolva in un progetto di pura propaganda, tenuto in piedi per prolungare la guerra e continuare a garantire il flusso di armi verso Kiev, l’unica altra ipotesi da considerare, come accennato in precedenza, è la possibile preparazione di un confronto diretto tra Russia e NATO. Di ciò si parla esplicitamente da qualche tempo negli ambienti atlantisti più radicali. Ad esempio, il capo di Stato Maggiore delle forze armate della Repubblica Ceca, generale Karel Řehka, ha avvertito recentemente che una “guerra tra la Russia e l’Alleanza Atlantica è possibile”. Quest’ultima sarebbe un’eventualità reale ed è perciò “necessario prepararsi per un lungo conflitto”.

Simili deliri vanno ricondotti all’elaborazione di tesi pseudo-militari oggettivamente folli che, soprattutto negli Stati Uniti, affermano che sia del tutto accettabile il rischio di provocare una guerra nucleare pur di sconfiggere e indebolire la Russia. L’illusione di piegare Putin e un paese dalle risorse sterminate non è insomma ancora svanita in Occidente malgrado la lezione di questi quindici mesi di guerra.

In questo scenario, le alternative sembrano essere in definitiva solo due. O il castello di carte dell’Ucraina crollerà in conseguenza dell’enorme differenza di potenzialità militari tra Mosca e Kiev, nonostante l’appoggio NATO, con gli Stati Uniti e l’Europa che batteranno in ritirata per rivolgere l’attenzione altrove (Cina). Oppure, nella peggiore delle ipotesi, l’escalation proseguirà fino a trascinare l’Occidente, se non tutto il pianeta, in un conflitto dalle conseguenze difficilmente calcolabili.

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