La stampa ufficiale negli Stati Uniti e in Europa stanno favorendo e preparando accuratamente il cambiamento di rotta forse definitivo di Donald Trump sull’approccio alla guerra in Ucraina e sulla natura dei rapporti tra Washington e Mosca. L’esaurimento della pazienza del presidente americano nei confronti di Putin sarebbe determinato, secondo questa versione, dall’ostinazione del capo del Cremlino nel respingere tutte le – ragionevoli – proposte della Casa Bianca per arrivare a una tregua temporanea. Vista l’intrattabilità del presidente russo, presumibilmente determinato a conquistare tutta l’Ucraina e l’intera Europa, a Trump non resterebbe che tornare all’unica opzione possibile, quella della guerra “fino all’ultimo ucraino” già perseguita dal suo predecessore. La metamorfosi di Trump è stata ratificata lunedì con un doppio annuncio dalla Casa Bianca, uno appunto sulla vendita di armi a Kiev e l’altro che consiste nell’immancabile “ultimatum”, indirizzato in questa occasione al Cremlino.
In occasione della visita a Washington del segretario generale della NATO, Mark Rutte, il presidente americano ha reso nota la notizia che in molti attendevano sulle prossime mosse relative al conflitto nella ex repubblica sovietica. Putin avrebbe 50 giorni di tempo per accettare una tregua, in caso contrario la Russia sarà oggetto di sanzioni e dazi del 100%. Subito dopo questo annuncio, Trump ha confermato la ripresa della vendita di armi all’Ucraina. Anzi, il nuovo piano prevede che siano gli alleati NATO ad acquistare armi ed equipaggiamenti dai produttori americani, per poi consegnarli al regime di Zelensky. Secondo i media USA, il valore della prima tranche ammonterà a dieci miliardi di dollari. Chi trarrà vantaggio da questa manovra non è quindi difficile immaginarlo, mentre l’ultimatum in perfetto stile trumpiano cadrà quasi certamente nel vuoto.
Oltreoceano, ma anche da questa parte dell’Atlantico, si nasconde a malapena la soddisfazione per il fallimento di Trump nel fermare il conflitto e per il ritorno alla ragione di quest’ultimo con la possibile ripresa delle forniture di armi al regime di Kiev. L’altro strumento da riutilizzare sull’esempio dell’amministrazione Biden è poi l’imposizione di sanzioni alla Russia. A questo riguardo, oltre alla quota minacciata lunedì da Trump, il Congresso di Washington potrebbe approvare un pacchetto già in discussione che prevede, tra l’altro, l’imposizione di dazi del 500% a quei paesi che continueranno ad acquistare gas, petrolio, uranio e altri prodotti dalla Russia. Una misura che, al momento, riguarderebbe gli stessi Stati Uniti, che non hanno mai sospeso gli approvvigionamenti di uranio da Mosca.
La notizia del “grande annuncio” di lunedì era circolata dopo l’incontro di venerdì scorso a Kuala Lumpur tra il segretario di Stato Rubio e il ministro degli Esteri russo Lavrov. Dopo il faccia a faccia, l’ex senatore della Florida aveva rilevato un nuovo e non meglio definito elemento negli sforzi per la ricostruzione dei rapporti bilaterali con la Russia, ma, per altro verso, non sembravano essere emersi segnali incoraggianti, tanto che il successivo intervento pubblico di Trump aveva ribadito la sua crescente insofferenza verso il Cremlino.
Agli occhi di Trump, il presidente russo è un ostacolo alla fine della guerra per via dell’insensatezza della decisione di continuare a perseguire gli obiettivi delle operazioni militari. Nella visione distorta del presidente repubblicano, alimentata quasi certamente dai falchi “neo-con” che affollano la sua amministrazione e da informazioni manipolate di intelligence, la Russia insisterebbe nel respingere ogni ipotesi di cessate il fuoco temporaneo nonostante una catastrofica situazione economica e perdite stratosferiche di uomini e mezzi.
Da questa logica, senza riscontro nella realtà, deriva la conclusione che ulteriori pressioni, tramite sanzioni e altre armi all’Ucraina, possano spingere Putin a più miti consigli. Al contrario, il rilancio dell’impegno americano a fianco del regime di Zelensky e il raffreddamento dei rapporti con Mosca rafforzeranno la determinazione russa a intensificare le operazioni militari.
Non è da escludere che le frustrazioni per il flop della sua strategia diplomatica – o presunta tale – abbiano ferito a tal punto l’ego di Trump da convincerlo che Putin stia attuando una strategia per umiliarlo o renderlo ridicolo. È probabile che negli ambienti di governo in Europa e anche a Washington Trump sia stato stuzzicato in questo senso, fino a spingerlo verso il cambio di direzione sulla vicenda ucraina. Di certo, l’escalation militare russa delle ultime settimane, in particolare contro obiettivi sensibili a Kiev, ha contribuito ai malumori del presidente americano, come aveva confermato nei giorni scorsi il tira e molla sulle forniture di armi e la decisione di riattivare i trasferimenti di missili Patriot.
Il possibile abbraccio della “guerra infinita” da parte di Trump dopo appena sei mesi dal suo insediamento, seguito a una campagna elettorale con al centro la promessa di mettere fine alle guerre impossibili da vincere e senza interessi americani diretti in gioco, potrebbe avere conseguenze sgradite nei rapporti tra il presidente e la base elettorale “MAGA”. Tensioni e spaccature già si preannunciano poi all’interno della stessa amministrazione, con gli scettici nei confronti delle avventure militari e, nello specifico, di quella ucraina già in pieno fermento o pronti a lasciare i propri incarichi.
Negli ultimi giorni aveva comunque già preso corpo l’eventualità di consegnare non solo armi difensive all’Ucraina, ma anche offensive e a lungo raggio, coerentemente con la richiesta che Zelensky aveva fatto di persona a Trump durante il vertice NATO di un paio di settimane fa. Lo stesso presidente americano aveva poi preso atto forse in maniera definitiva del fallimento dei suoi sforzi durante la telefonata avuta con Putin il 3 luglio scorso. Com’era risultato evidente dal resoconto del colloquio di Trump, il presidente russo doveva avere ribadito senza mezzi termini la propria intenzione di continuare con le operazioni militari se non ci fosse stato un riscontro da parte dei suoi interlocutori circa l’accettazione delle condizioni minime chieste da Mosca per dare l’OK a un accordo di pace. Una tregua temporanea preliminare non avrebbe fatto nulla per affrontare le ragioni ultime del conflitto, ma favorito piuttosto la riorganizzazione delle forze ucraine e il riarmo del regime di Zelensky.
Ci sono pochi dubbi che Trump pensi e agisca su un piano parallelo rispetto a quello della realtà dei fatti, anche se consiglieri e membri vari del suo staff contribuiscono in maniera decisiva a impedire un’analisi razionale delle forze in campo e delle questioni sul tavolo dei negoziati con Mosca. Resta tuttavia il fatto che le azioni americane e degli alleati NATO hanno una capacità molto limitata di influenzare l’andamento della guerra e, ancora meno, di scalfire la determinazione russa nel risolvere la crisi secondo gli obiettivi definiti molto chiaramente fin dal primo giorno delle operazioni militari.
La scarsità di armi da inviare in Ucraina resta poi un problema serio che non si potrà risolvere con proclami, leggi o decreti. E, in ogni caso, l’efficacia del materiale consegnato a Kiev dai governi occidentali resta e resterà modesta. Per quanto riguarda l’ipotesi di un via libera a un nuovo pacchetto di sanzioni USA da parte di Trump, un’iniziativa in questo senso comporterebbe rischi piuttosto seri sul piano strategico, oltre a non avere anch’essa molte possibilità di influenzare le decisioni del Cremlino.
Anzi, com’è stato ripetuto a oltranza dalla Russia, l’invio di armi all’Ucraina costringe Mosca a intensificare gli attacchi e a preferire l’opzione militare rispetto a quella diplomatica. Misure economiche e finanziarie così estreme contro i partner commerciali della Russia rendono inoltre questi ultimi ancora più determinati a cercare strade alternative che li mettano al riparo dalle ritorsioni americane, come si è visto nel recente summit dei BRICS, provocando così in prospettiva guai seri per gli stessi Stati Uniti e la loro posizione internazionale.
D’altronde, Trump chiede al Congresso il potere discrezionale assoluto nell’implementazione del nuovo pacchetto di sanzioni che sembra intenzionato ad appoggiare. È possibile perciò che, almeno inizialmente, lo possa utilizzare come arma di pressione sulla Russia, anche se è molto probabile che il calcolo della Casa Bianca risulti ancora una volta sbagliato. Resterà quindi da verificare se Trump abbia già deciso di cambiare totalmente rotta sulla crisi ucraina o se punti momentaneamente solo ad alzare il livello delle pressioni.
Anche se la seconda ipotesi fosse quella corretta, non ci saranno comunque sostanziali progressi. Di conseguenza, quello che accadrà dopo sarà l’abbraccio totale delle politiche ultra-aggressive dell’amministrazione Biden, con risultati identici a quelli dei primi tre anni di guerra ma con un’impennata delle perdite e del livello di distruzione in Ucraina. Oppure, ma ciò è altamente improbabile visto l’evolversi dei fatti in questi mesi, la presa d’atto che la vicenda richiede finalmente l’ascolto delle ragioni russe, unica strada per una pace seria e duratura.