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La seconda batosta elettorale consecutiva in meno di un anno, incassata dal partito conservatore al potere in Giappone, non poteva arrivare in un momento peggiore. Il governo del primo ministro, Shigeru Ishiba, è infatti nel pieno delle trattative con gli Stati Uniti per evitare l’imposizione dei dazi minacciati da Trump, che avrebbero un effetto potenzialmente rovinoso su un’economia già in affanno. Allo stesso tempo, qualsiasi concessione alla Casa Bianca in ambito commerciale potrebbe danneggiare ulteriormente un esecutivo già abbastanza debole e impopolare, aprendo la strada, oltre che a una nuova fase di instabilità domestica, a un’altra corsa per la leadership del Partito Liberal Democratico (LDP) e del governo stesso.

Domenica scorsa si votava per il rinnovo della metà dei seggi della Camera dei Consiglieri, la camera alta del parlamento giapponese (Dieta), in aggiunta a un altro seggio vacante, per un totale di 125 su 248. Gli eletti restano in carica per sei anni, con appunto la metà dei membri scelti dagli elettori alternativamente ogni tre anni. La Camera dei Consiglieri ha meno poteri rispetto alla Camera dei Rappresentanti, composta da 465 seggi. Ad esempio, i suoi membri non possono introdurre e votare mozioni di sfiducia contro il governo. Tuttavia, ad eccezione di alcuni ambiti come il bilancio, un voto contrario della camera alta può essere annullato solo da una maggioranza dei due terzi della Camera dei Rappresentanti.

Il problema di Ishiba è che lo scorso ottobre, poco dopo essere succeduto alla guida del LDP e del governo al premier Fumio Kishida, aveva già presieduto a una grave sconfitta alla camera bassa, dove il tradizionale partito di governo nipponico aveva perso la maggioranza assoluta per la terza volta negli ultimi 70 anni. Dopo le elezioni di domenica, il LDP e il suo storico alleato del partito Komeito hanno perso rispettivamente 13 e 6 seggi, scendendo a un totale di 122, ovvero tre in meno di quelli necessari per la maggioranza assoluta. A Tokyo c’è ora a tutti gli effetti un governo di minoranza e Ishiba anche alla Camera dei Consiglieri dovrà cercare appoggio tra i banchi dell’opposizione per far funzionare il proprio gabinetto.

I temi che hanno dominato la campagna elettorale in Giappone sono stati per molti versi simili a quelli che sembrano decidere l’esito del voto in molti paesi occidentali negli ultimi tempi. Le notizie riportate dalla stampa internazionale hanno invariabilmente raccontato di elettori preoccupati in particolare per il livello dell’inflazione, che sta erodendo il potere d’acquisto di lavoratori e classe media, e per le conseguenze negative dell’immigrazione. Il primo fattore rappresenta un problema reale, mentre il secondo anche in Giappone viene sempre più strumentalizzato dalla politica per dirottare il malcontento degli elettori lontano dalle vere cause dei loro problemi.

Il numero di stranieri che lavorano e risiedono regolarmente in Giappone ammonta appena al 3% della popolazione, anche se nel 2024 ha toccato il numero più alto della storia del paese. Inoltre, l’importazione di lavoratori è diventata una necessità in molti settori, vista la carenza indigena dovuta in primo luogo a una curva demografica in netto declino. Il fatto che il fenomeno migratorio sia una novità per il Giappone ha favorito l’emergere anche qui di movimenti populisti di destra, se non più o meno apertamente xenofobi.

A sfruttare la situazione è stato così il partito Sanseito dell’ex direttore di supermercato e già insegnate di inglese, Sohei Kamiya. Quest’ultimo ha proposto un’agenda politica ultra-nazionalista che richiama quella di Trump in America, risultando favorito anche dalla copertura continua garantita al suo partito dalla stampa di casa. Decisivo è stato però il senso di sfiducia diffuso nei confronti dei partiti tradizionali, il LDP e quello Costituzionale Democratico (CDP) all’opposizione, che ha alla fine permesso al Sanseito di aggiudicarsi domenica 14 seggi, per un totale ora di 15 nella camera alta della Dieta di Tokyo.

Ishiba ha comunque fatto sapere di essere intenzionato a restare al suo posto. I partiti di opposizione non sembrano interessati a entrare in un governo impopolare che potrebbe erodere i loro stessi consensi nelle prossime elezioni. Il primo ministro dovrà guardarsi più dai rivali interni al suo partito nelle prossime settimane, ma proprio la difficile situazione economica e le questioni esplosive di politica estera che deve affrontare il Giappone potrebbero consentirgli di rimanere alla guida del governo, quanto meno nel breve periodo.

Nel contesto dei negoziati con Washington su dazi e scambi commerciali, l’amministrazione Trump potrebbe trovarsi ora di fronte un interlocutore con meno spazi di manovra per fare concessioni agli Stati Uniti rispetto a prima del voto. Qualsiasi concessione di rilievo proietterebbe infatti debolezza per Ishiba, mettendo a rischio la sua posizione. Come accennato all’inizio, Tokyo può però molto difficilmente sopportare l’imposizione dei dazi nella misura prospettata dalla Casa Bianca senza andare incontro a una recessione. Le esportazioni giapponesi in America sarebbero colpite pesantemente con il 25% extra di tariffe doganali previste per il primo di agosto, in aggiunta oltretutto al 25% già applicato ad automobili e parti di ricambio.

Le pressioni su Ishiba dei grandi interessi economici giapponesi per trovare un accordo con gli USA sono in aumento, anche perché l’export verso gli Stati Uniti ha già fatto segnare una flessione di oltre l’11% nel solo mese di giugno. Trump chiede tuttavia condizioni che Ishiba faticherà ad accettare, come l’apertura del mercato giapponese alle auto e ai prodotti agricoli americani. I margini per evitare uno scontro frontale con l’alleato, un aggravamento della crisi economica o il tracollo del governo appaiono quindi strettissimi.

Come ha fatto notare un’analisi del voto pubblicata lunedì dalla testata on-line Asia Times, il Giappone di Ishiba ha anche un’altra preoccupazione, forse la maggiore. Tokyo potrebbe cioè ritrovarsi a fare i conti con le conseguenze di un accordo di ampio respiro tra Stati Uniti e Cina sul fronte commerciale. Se questa potrebbe apparire come un’ottima notizia, visto che eviterebbe una guerra commerciale in piena regola, dall’altro lato lascerebbe spiazzato il business giapponese, con meno possibilità sia di penetrare ulteriormente nel mercato cinese sia di ottenere concessioni dall’amministrazione Trump.