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Le discussioni attorno a una possibile soluzione diplomatica della guerra in Ucraina continuano ad avere al centro, quanto meno in Occidente, la questione delle “garanzie di sicurezza” da dare a Kiev una volta sottoscritto un cessate il fuoco o un trattato di pace vero e proprio. I leader europei assicurano di avere pronto un piano a questo scopo, che potrebbe includere il dispiegamento di un contingente militare in territorio ucraino e/o un meccanismo per fare arrivare armi in maniera regolare all’ex repubblica sovietica. Tutto il dibattito sulla questione è però basato sul nulla e nessuna delle proposte europee per garantire la sicurezza futura dell’Ucraina ha una sola possibilità di essere implementata, visto che renderebbero permanenti quelle cause alla base del conflitto che la Russia non intende evidentemente accettare dopo tre anni e mezzo di guerra.

La ridicola “coalizione dei volenterosi” ha ribadito giovedì la disponibilità di alcuni paesi a valutare una forza di “peacekeeping” per fare in modo che Mosca non torni in futuro a invadere l’Ucraina. Un ruolo decisivo dovrebbero svolgerlo in questo contesto gli Stati Uniti, i quali, anche se hanno escluso categoricamente di voler fornire soldati, potrebbero contribuire all’imposizione di una “no-fly zone” o in altri modi per rendere efficace il progetto europeo. Il presidente francese Macron sembra essere il più attivo nel promuovere l’inutile soluzione allo studio, con un entusiasmo inversamente proporzione alla effettiva capacità del suo paese, e del resto dell’Europa, di influenzare gli eventi sul campo di battaglia e al tavolo della diplomazia.

Mentre i governi europei discutono e, a volte, litigano su chi invierà militari in Ucraina e in che numero quando la pace sarà in qualche modo ratificata, una semplice analisi degli equilibri del conflitto e delle dichiarazioni degli esponenti militari e di governo russi fa emergere una realtà diametralmente opposta che, tuttavia, media ufficiali e leader occidentali non sembrano ancora essere pronti a riconoscere. Non che l’attitudine negazionista di questi ultimi faccia molta differenza. Per quanto si agitino nel promettere truppe NATO in Ucraina o un piano di riarmo per la sicurezza di questo paese, niente di ciò potrà concretizzarsi o, comunque, sarà in grado di garantirne la “sicurezza”.

La ragione è che le iniziative proposte dall’Europa e dal regime di Zelensky, come già anticipato, non farebbero che rendere permanenti quei fattori per i quali Mosca ha deciso di intervenire militarmente. La Russia, nella logica distorta dell’Europa, dovrebbe in sostanza accettare condizioni imposte dal nemico dopo avere scatenato una guerra per eliminarle e, soprattutto, dopo avere di fatto vinto questa stessa guerra.

La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, nel respingere per l’ennesima volta i termini delle “condizioni di sicurezza” avanzate dai leader europei, ha spiegato in maniera impeccabile, durante una conferenza stampa a margine dei lavori del Eastern Economic Forum in corso a Vladivostok, in cosa consistano realmente le proposte in discussione in Occidente. Queste ultime, ha affermato la diplomatica russa, “puntano a fare in modo che l’Ucraina resti una base di lancio per atti di terrorismo e provocazioni contro il nostro paese”. Non si tratta perciò di garanzie per la sicurezza di Kiev, ma di “garanzie di insicurezza per il continente europeo”.

La Zakharova ha aggiunto che l’Occidente “non è pronto o disponibile a iniziare una discussione sulle cause della crisi” in Ucraina. Piuttosto, i governi europei “fanno di tutto per distogliere l’attenzione da esse e, forse, per rinviare l’inevitabile”. Se il loro atteggiamento non dovesse cambiare, Mosca prenderà atto della realtà, valutando “le attività militari europee” che fanno aumentare il rischio di escalation, così da “predisporre il meccanismo adatto per dare [a esse] una risposta” adeguata.

È molto dubbio che i governi europei abbiano prestato attenzione alle parole di Maria Zakharova, così come continuano a ignorare gli avvertimenti di Putin, Lavrov e di altri esponenti del governo di Mosca. O, probabilmente, ritengono che le condizioni irrinunciabili fissate dalla Russia per discutere seriamente di pace siano un bluff e che la loro ostentazione di forza, come se l’Europa avesse realmente le capacità di imporre unilateralmente le regole, possa alla fine smontare il castello di carte di Putin. La realtà suggerisce al contrario che sono i governi europei a non essere in grado di dare all’Ucraina le “garanzie di sicurezza” che da mesi proclamano.

L’eventuale contingente miliare che la “coalizione dei volenterosi” intende mettere assieme consisterebbe ad esempio in qualche migliaio di uomini da posizionare in alcune località ucraine. Dopo l’ipotetico accordo di pace, questa forza verrebbe facilmente spazzata via dalla Russia nel caso la guerra dovesse riesplodere. Questo scenario non avrebbe comunque possibilità di concretizzarsi, dal momento che, come già spiegato, Mosca non accetterà in nessun modo lo stazionamento di truppe NATO in Ucraina, essendo questa una delle condizioni imprescindibili per arrivare a una soluzione diplomatica.

Qualche commentatore e membri del regime di Kiev hanno a dire il vero iniziato a fare i conti con questa realtà e stanno perciò promuovendo un’alternativa che ritengono più efficace di qualsiasi altra “garanzia di sicurezza”, ovvero di una forza NATO di “peacekeeping” sul terreno ucraino. Si tratta di un duplice piano che prevede, da un lato, un flusso costante di denaro dall’Occidente per l’acquisto di armi e, dall’altro, l’impulso alla creazione di un’industria militare indigena che contribuisca a mettere assieme un arsenale in grado di scoraggiare un futuro attacco militare russo.

Politici e diplomatici ucraini di spicco citati dai media occidentali, come l’ambasciatrice di Kiev presso la NATO, Alyona Getmanchuk (New York Times), o l’ex ministro degli Esteri, Dmytro Kuleba (Washington Post), hanno promosso questa opzione, più percorribile ed efficace rispetto al contingente militare NATO perché in essa la Russia non avrebbe modo di interferire, né ci sarebbe nulla a questo proposito da discutere con Mosca. La stessa sindrome illusoria relativa ai “peacekeepers” si applica, per ucraini ed europei, anche a questa proposta. Non è chiaro infatti come il Cremlino possa accettare che la futura Ucraina venga armata fino ai denti, facendo nuovamente di questo paese un avamposto NATO e, quindi, una minaccia costante alla sicurezza russa. La smilitarizzazione dell’Ucraina è d’altra parte uno degli obiettivi centrali delle operazioni di Mosca e dovrà essere inclusa anch’essa in qualsiasi accordo diplomatico.

Discutendo di questa fantasia, non si può inoltre non citare il fatto che, a seconda delle stime, Europa e Stati Uniti hanno fornito all’Ucraina armamenti per il valore di circa 170 miliardi di dollari dall’inizio della guerra. Una quantità enorme che non ha fermato in nessun modo la Russia. C’è da chiedersi di conseguenza quanto potranno dare di più i paesi europei già in grave affanno economico per riuscire dove hanno fallito in questi tre anni e mezzo. Non solo, le fabbriche di armi che Kiev vorrebbe costruire dentro i confini ucraini saranno tutto tranne che fuori dalla portata delle bombe russe.

Esempi di impianti di questo genere nati grazie ai finanziamenti occidentali e finiti già in macerie sono molteplici, alcuni dei quali solo nelle ultime settimane: un progetto sorto col denaro tedesco per costruire missili balistici a corto raggio; una fabbrica di componenti destinati ai droni ucraini operata da una società americana; un edificio che ospitava la produzione di velivoli senza pilota turchi Bayraktar. Non c’è quindi ragione per credere che ai futuri nuovi impianti di questo genere possa essere risparmiata la stessa sorte.

Il punto della questione è in definitiva che l’Occidente non ha la capacità di offrire “garanzie di sicurezza” all’Ucraina. In un certo senso, queste garanzie le può assicurare solo la Russia e l’unica strada per ottenerle è un trattato di pace definitivo con Mosca e l’accettazione, oltre che della perdita dei territori già incorporati nella Federazione Russa, dello status di neutralità, senza adesione alla NATO, senza truppe NATO sul territorio ucraino, senza che l’ex repubblica sovietica diventi un avamposto armato di USA o Europa.

È ovvio che questa opzione sia difficile da digerire per chi ha investito somme e un capitale politico enorme su una guerra per procura diventata un disastro epocale. La stessa leadership attuale del governo di Zelensky ha margini di manovra molto stretti, visto che l’ex comico televisivo e la sua cerchia di potere rischiano letteralmente la vita in caso di concessioni a Mosca, visto il peso e l’influenza delle forze ultra-radicali neonaziste che non intendono accettare nessun passo indietro.

Non ci sono tuttavia alternative, se non la distruzione totale del paese o l’esplosione di una guerra generalizzata. Come dimostra l’esempio della Finlandia dopo la Seconda Guerra Mondiale, il modello della neutralità e le occasioni che si aprirebbero nell’attuale contesto storico attraverso una politica estera, economica, commerciale ed energetica multivettoriale potrebbe in ogni caso garantire la ricostruzione e il rilancio dell’Ucraina in tempi relativamente brevi. Resta da vedere se e quando il regime di Kiev e i suoi padroni in Occidente prenderanno atto della realtà, mettendo fine una volta per tutte a una tragedia di cui essi stessi sono gli unici responsabili.