Stampa

Per anni, i governi americani hanno insistito con i regimi arabi mediorientali per far credere che la minaccia esistenziale che incombeva su di essi era rappresentata dall’Iran e, per estensione, dall’Asse della Resistenza. Martedì, però, se qualcuno credeva ancora a questa favola, l’attacco terroristico di Israele contro il Qatar per liquidare la leadership di Hamas ha mostrato nella maniera più chiara possibile dove risiede la vera minaccia per l’intera regione. L’entità ebraica ha agito oltretutto con il totale accordo dell’amministrazione Trump, nonostante le smentite, e il gravissimo episodio potrebbe non essere un caso isolato, anche se rischia di innescare un riallineamento strategico o, quanto meno, un ripensamento delle priorità arabe non esattamente favorevole a Washington e Tel Aviv.

Anche per gli standard di un regime genocida che opera regolarmente al di fuori di ogni ordine legale e morale, l’operazione militare portata a termine a Doha ha provocato sorpresa e indignazione diffusa in Asia occidentale e nel resto del pianeta. Alla base della decisione del premier/criminale di guerra Netanyahu c’è la volontà di liquidare fisicamente lo stesso presunto interlocutore delle finte trattative che sarebbero in corso per arrivare a una tregua a Gaza. Il regime sionista non ha mai nemmeno per un istante considerato seriamente un accordo di pace per mettere fine alla strage e l’eliminazione dei vertici di Hamas è la logica conseguenza, oltre che della natura terroristica di esso, dei ripetuti atti di boicottaggio della diplomazia in questi due anni.

In tutto questo, Israele agisce di comune accordo con Washington, sia perché USA e Israele condividono gli stessi obiettivi di sopraffazione e controllo strategico in Medio Oriente sia perché, forse, lo stato ebraico detiene informazioni o altri strumenti di ricatto che non consentono al governo americano e allo stesso presidente di limitare le sue azioni. La Casa Bianca ha invece affermato martedì che l’operazione in Qatar è stata messa in atto autonomamente da Israele e, quando la notizia è stata recapitata a Washington, Trump ha informato le autorità di Doha, ma la chiamata è arrivata troppo tardi per consentire contromisure efficaci.

I vertici dell’emirato hanno però smentito categoricamente la versione americana. La telefonata che avvertiva dell’attacco israeliano sarebbe stata fatta una decina di minuti dopo l’accaduto. Secondo le fonti USA citate dal sito Middle East Eye, ci sarebbe stato un silenzio radio nella base americana di Al Udeid in Qatar in concomitanza con l’attacco, a conferma della decisione presa a Washington di favorire le operazioni dei caccia israeliani. Sono d’altra parte gli stessi militari americani a operare il sistema di difesa anti-aereo che dovrebbe presumibilmente difendere questo paese. La contraerea qatarina e i dispositivi di allerta dovevano inoltre essere pronti ad agire, viste le tensioni nella regione e il blitz iraniano dello scorso giugno proprio contro la base di Al Udeid seguito al bombardamento USA dei siti nucleari della Repubblica Islamica.

Sono quindi di fatto spazzatura le modeste critiche espresse da Trump e i suoi portavoce a Israele dopo il bombardamento di martedì. Il presidente americano ha d’altra parte ammesso indirettamente la complicità con l’ennesimo atto terroristico israeliano quando ha affermato che, al di là del fatto che esso non favorisce gli interessi dei due alleati, l’eliminazione di Hamas resta un “obiettivo meritevole”. C’è da credere che Trump sia più risentito verso Netanyahu per il fallimento dell’operazione che per il fatto che sia stata condotta in violazione del diritto internazionale. Se gli obiettivi israeliani fossero stati liquidati, è molto probabile che Trump avrebbe partecipato alle celebrazioni per il riuscito assassinio dei “terroristi” palestinesi. È utile ad ogni modo ricordare che il Qatar agisce da mediatore nei negoziati proprio su richiesta americana, mentre la leadership politica di Hamas, che aveva abbandonato nel 2011 una Siria precipitata nella guerra civile, è ospitata da questo stesso paese sempre in conseguenza di un intervento degli Stati Uniti, deciso dall’allora presidente Obama.

Com’è noto, le dieci bombe sganciate dagli aerei militari israeliani su Doha hanno centrato un edificio civile dove si riteneva fosse in corso una riunione dei rappresentanti di vertice di Hamas in Qatar per discutere della presunta proposta di pace americana. A essere uccisi dovevano essere, tra gli altri, il capo dell’ufficio politico del movimento di liberazione palestinese, Khalil al-Hayya, e il leader storico, Khaled Meshaal, ma il gruppo si era incontrato in una località diversa da quella ufficialmente designata per la riunione, appunto per ragioni di sicurezza. L’edificio colpito era comunque nell’uso di Hamas e alcuni membri non di primo piano dell’organizzazione palestinese sono rimasti uccisi, tra cui il figlio di al-Hayya, Hammam, e almeno un agente delle forze di sicurezza del Qatar.

Quanto accaduto a Doha martedì conferma nuovamente che i fatti di Gaza non vanno letti come una guerra (genocidio) che il governo americano cerca di fermare, adoperandosi onestamente e in maniera imparziale per favorire il processo diplomatico. Al contrario, lo sterminio sistematico della popolazione palestinese e la “pulizia” della striscia sono un obiettivo condiviso dai due alleati, con gli Stati Uniti che forniscono copertura al regime di Netanyahu attraverso manovre o campagne propagandistiche volte a confondere l’opinione pubblica. È ovvio che da ciò deriva il fatto che Hamas e i palestinesi non possono nutrire nessuna fiducia su un processo diplomatico che fermi la strage, per quante concessioni al regime sionista possano fare.

Va ricordato che questa sorta di gioco di squadra si era già osservato almeno con l’aggressione israeliana – e poi anche americana – all’Iran lo scorso giugno. Anche in quel caso, Trump aveva spinto Teheran ad abbassare la guardia, essendo i due paesi coinvolti in una trattativa diplomatica. Il bombardamento con l’assistenza USA di un alleato cruciale di Washington rappresenta però un salto qualitativo e dimostra che la Casa Bianca è disposta ad assecondare totalmente le mire espansionistiche di Israele in Medio Oriente, anche a costo di fare la guerra ai propri partner, proprio perché queste mire sono in definitiva le stesse al centro dell’ossessione dell’apparato di potere americano.

Chiaramente, Trump e Netanyahu possono agire al di fuori di qualsiasi controllo e principio morale o legale in primo luogo per la vigliaccheria e l’estrema corruzione dei regnanti arabi. Solo pochi mesi fa, il Qatar aveva ospitato ad esempio il presidente americano e nel corso della sua visita gli emiri che governano il piccolo paese del Golfo Persico si erano impegnati a investire centinaia di miliardi di dollari negli Stati Uniti. Il regime del Qatar, così come quelli delle altre monarchie sunnite, chiudono poi regolarmente entrambi gli occhi davanti allo sterminio dei palestinesi, credendo così di assicurarsi stabilità e sicurezza in una regione sempre pronta a esplodere, oltre che facendo lucrosissimi affari con i partner occidentali.

L’attacco israeliano di martedì ha però scosso questi regimi, mettendoli di fronte a una brutale realtà. Ovvero che Washington, anche controllando di fatto la difesa di questi paesi, come è il caso del Qatar, non intende ostacolare in nessun modo gli sforzi israeliani per dominare strategicamente e militarmente la regione mediorientale. Il genocidio in corso da due anni assieme all’allargamento del fronte militare al Libano, alla Siria e allo Yemen doveva in effetti già avere aperto gli occhi ai regimi sunniti, ma il comune obiettivo di liquidare la resistenza – inclusa quella palestinese – e le garanzie americane facevano immaginare probabilmente un futuro fatto di stabilità e profitti, sia pure sul sangue della popolazione palestinese.

Le bombe cadute su Doha potrebbero ora iniziare a far cambiare i calcoli strategici del Qatar, così come dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi, i quali vedranno aumentare i loro dubbi sulle implicazioni derivanti dall’affidare la loro sicurezza agli Stati Uniti. La frenata sulla normalizzazione dei rapporti con Israele, già decisa per via degli ovvi problemi di immagine che implica intrattenere relazioni con un regime terrorista e genocida, rischia inoltre di accentuarsi, favorendo per contro un ulteriore avvicinamento alla Cina e all’Iran nella prospettiva di un percorso alternativo verso la stabilizzazione e lo sviluppo regionale.

Resta il fatto che l’entità sionista sembra avere intrapreso un percorso distruttivo fatto di puro terrore che non intende abbandonare fino a che non avrà raggiunto i propri obiettivi o non sarà in qualche modo fermata o distrutta. L’appoggio americano rende estremamente complicato quest’ultimo compito, ma, nella più ottimistica delle ipotesi, lo spudorato attacco terroristico di martedì in Qatar potrebbe essere la scintilla in grado di fare scattare finalmente una reazione da parte dei regimi arabi per cercare di interrompere la spirale di distruzione, innescata dalla follia sionista, in cui essi stessi rischiano altrimenti di venire inghiottiti.