Riconoscere uno stato palestinese inesistente mentre si sta partecipando attivamente alla distruzione del suo popolo non contribuisce evidentemente in nessun modo a questa causa né, tantomeno, a fermare il genocidio in corso per mano del regime sionista. I crimini di quest’ultimo sono però ormai talmente orrendi e innegabili da avere convinto i leader di alcuni dei più importanti paesi occidentali a rompere gli indugi e, appunto, ad annunciare il riconoscimento formale dello stato palestinese. In termini concreti, le decisioni annunciate tra domenica e lunedì da paesi come Regno Unito, Canada, Australia, Portogallo e Belgio sono da collegare principalmente al tentativo di allentare le pressioni a cui i rispettivi governi sono sottoposti sul fronte domestico per la loro passività o, più spesso, complicità nello sterminio palestinese in atto.
Le iniziative avvenute a margine dell’annuale Assemblea Generale delle Nazioni Unite sono a dir poco tardive, oltre che ciniche e inefficaci, visto che arrivano dopo quasi due anni di stragi quotidiane e con Israele ormai alle fasi finali del processo di “pulizia” della striscia di Gaza, attraverso espulsioni forzate, carestia di massa e assassini puri e semplici di civili palestinesi. Anzi, come hanno subito ribadito i membri fascisti del gabinetto del premier/criminale di guerra Netanyahu, Tel Aviv potrebbe decidere, come ritorsione per i recenti riconoscimenti dello stato palestinese, di procedere con l’annessione dell’intera Cisgiordania. Anche in un’eventualità simile, condannata a gran voce da tutta la comunità internazionale, non ci sarà quasi certamente una sola misura punitiva concreta nei confronti di Israele.
È chiaro che i governi di Londra e Parigi, assieme agli altri che si sono mossi nella stessa direzione in questi giorni, intendono lavarsi le mani davanti alla finalizzazione del processo di sterminio di Israele, dicendo alle rispettive popolazioni che tutto quanto in loro potere era stato fatto per cercare di fermare il genocidio. Allo stesso tempo, però, questi stessi governi continuano a fare affari, a fornire armi e, nonostante la retorica, ad assicurare copertura politica a Netanyahu per lo sterminio, in maniera soltanto meno esplicita di quanto stanno facendo gli Stati Uniti.
Se alcuni governi avevano da tempo anticipato che avrebbero dato il loro riconoscimento ufficiale in occasione dell’Assemblea Generale di settembre, altri hanno probabilmente agito anche in conseguenza del rapporto di settimana scorsa della commissione d’inchiesta internazionale indipendente dell’ONU che ha confermato come il regime sionista abbia commesso quattro delle cinque azioni tipiche di un genocidio sulla base della convenzione del 1948 relativa alla “prevenzione e alla repressione” di questo crimine. Il sigillo delle Nazioni Unite ha indubbiamente influito sulla decisione presa da molti governi di cambiare la loro retorica in merito ai fatti di Gaza, ma ciò non cambia di molto le azioni concrete, che, in molti casi, includono oltretutto la puntuale repressione, dentro i rispettivi confini, di proteste e manifestazioni di opposizione al genocidio.
Ugualmente cinica e sostanzialmente inutile è stata anche la conferenza di lunedì al Palazzo di Vetro sulla Palestina, presieduta da Francia e Arabia Saudita. Frutto di un precedente meeting andato in scena a luglio, l’evento ha finito per appoggiare nuovamente la impraticabile soluzione dei “due stati”, imponendo a Israele una serie di condizioni totalmente inapplicabili alla luce della realtà odierna in Palestina. In questa manovra, un ruolo di primo piano lo hanno giocato anche i paesi arabi, essi stessi impegnati a cercare di reprimere la rivolta delle popolazioni disgustate dall’inerzia dei loro regimi di fronte alla brutalità israeliana, così da continuare a perseguire in futuro la normalizzazione dei rapporti con lo stato ebraico.
Le dichiarazioni che hanno accompagnato la raffica di riconoscimenti dello stato palestinese in questi giorni rilanciano in definitiva i piani e i concetti, ultra-screditati e ormai superati, partoriti dagli accordi di Oslo del 1993, non offrendo quindi nulla in termini concreti alla popolazione palestinese per resistere o mettere fine allo sterminio per mano israeliana. La stessa idea dei “due stati” rappresenta in fin dei conti un altro modo per riconoscere non uno vero e solido stato palestinese, quanto piuttosto uno stato ebraico suprematista, colonialista e fondato sul principio di apartheid, oltre che genocida.
Senza, quanto meno, lo stop al trasferimento di armi, un embargo a tutto campo e sanzioni punitive, Israele non allenterà la presa, ma una simile ipotesi è oggi pura fantasia, visto che Washington, ma di fatto anche il resto dell’Occidente, non intende muovere un dito per fermare il genocidio. La ragione ultima di questo comportamento è che il progetto sionista di sopraffazione e dominio del Medio Oriente, di cui l’eliminazione dei palestinesi è parte integrante, riflette totalmente le mire strategiche su questa regione di USA ed Europa.
Se, poi, uno stato palestinese dovesse mai nascere, quello che questi paesi hanno in mente è un’entità debole, disarmata, controllata dall’Occidente e dai regimi arabi e totalmente alla mercé di Israele. Tant’è vero che i leader europei, così come quelli di Canada e Australia, che hanno dichiarato pomposamente il riconoscimento dello stato palestinese si sono assicurati di chiarire senza la minima ambiguità che nell’organismo che dovrebbe nascere non troverà spazio l’unico soggetto espressione della sovranità palestinese e protagonista della lotta di liberazione, ovvero Hamas, così come le altre milizie/organizzazioni che lottano contro l’occupazione.
Invariabilmente, i leader occidentali continuano a bollare Hamas come “terrorista” e hanno fatto tutti la stessa assurda premessa che attribuisce al movimento di liberazione palestinese che governa Gaza la principale responsabilità della violenza in atto. Allo stesso modo, per loro sarebbe sempre Hamas l’ostacolo numero uno alla realizzazione del progetto dei “due stati”, nonostante lo stesso Netanyahu e i suoi compari di governo e nel crimine abbiano nuovamente ribadito che, per quanti riconoscimenti potrà ricevere, lo stato palestinese non vedrà mai la nascita.
Anche se il progetto statale palestinese nascerebbe entro questi limiti strettissimi, USA e soprattutto Israele hanno condannato ferocemente le iniziative degli stati occidentali di questi giorni. Anche solo l’impegno nominale all’accettazione dei “due stati” è d’altra parte ormai svanito, mentre il regime sionista, certo della completa impunità, non ha il minimo scrupolo a dichiarare apertamente l’intento genocida e di appropriazione definitiva dei territori palestinesi. L’allargamento del riconoscimento dello stato palestinese, per quanto non abbia conseguenze concrete, rappresenta comunque un elemento di disturbo per Israele, poiché rende per lo meno ancora più legittima la causa palestinese agli occhi dell’opinione pubblica mondiale.
Un atteggiamento tatticamente diverso da Francia, Regno Unito, Canada e altri lo stanno tenendo infine paesi come Germania o Italia, soprattutto il primo tra i principali complici del genocidio, che hanno ritenuto di non seguire la linea dei colleghi occidentali. Anche una dichiarazione formale senza conseguenze concrete è infatti troppo per questi governi, ben attenti a non introdurre nessun elemento di disturbo nelle rispettive partnership di ferro con il regime criminale di Netanyahu.