Pur con tutte le cautele del caso, il presidente americano Trump ha promesso questa settimana la creazione di un nuovo comando militare indipendente per le presenti e, soprattutto, future operazioni che gli Stati Uniti condurranno nello spazio. L’iniziativa non rappresenta esattamente una novità, visto che è al cento del dibattito di governi e vertici militari USA almeno fin dal progetto “Star Wars” dell’amministrazione Reagan, ma potrebbe trovare uno slancio decisivo nel quadro della crescente competizione con potenze come Russia e Cina.

 

 

Come spesso accade nel caso di Trump, anche in questa circostanza le sue intenzioni si sono manifestate a sorpresa nel corso di un evento che aveva a che fare per altre ragioni con le questioni “spaziali”. Il presidente americano stava cioè presentando un piano per il controllo del traffico e dei detriti spaziali quando si è rivolto direttamente al capo di Stato Maggiore, generale Joseph Dunford, invitandolo a lavorare per far nascere una nuova sezione della macchina militare USA, cioè appunto un comando spaziale con una struttura a sé stante.

 

Se realizzato, il progetto aggiungerebbe un nuovo comando a quelli già esistenti di Marina, Aviazione, Esercito, Marines e Guardia Costiera. Attualmente, le operazioni militari nello spazio sono sotto il controllo del comando dell’Aviazione e impiegano già circa 20 mila uomini, molti di più di quelli a disposizione delle forze aeree di non pochi paesi con sistemi militari avanzati.

 

Il predominio americano anche dello spazio ha implicazioni che sono inequivocabilmente da ricondurre ai piani di guerra con Russia e Cina, due paesi identificati in maniera ufficiale dai documenti strategici militari come le principali minacce alla sicurezza degli USA. Lo stesso Trump ha d’altra parte lasciato intendere che gli sforzi per la creazione di un nuovo comando spaziale sono una questione di “sicurezza nazionale” e, in questo ambito, Washington non può permettersi di “rincorrere” Mosca e Pechino.

 

Se l’uscita di Trump non era prevista, il presidente repubblicano nei mesi scorsi aveva tuttavia fatto vari accenni al progetto nel corso di eventi pubblici. Dietro le quinte è certo che siano in corso discussioni con i vertici militari e i leader politici sull’opportunità di creare un nuovo comando all’interno del Pentagono.

Le impressioni raccolte dai giornali americani tra la classe politica e gli analisti militari indicano divisioni e perplessità nei confronti della proposta di Trump.

 

Qualcuno paventa apertamente il pericolo che questa iniziativa possa accelerare la corsa agli armamenti anche nello spazio. Tanto più in un clima di crescente ostilità tra Washington da una parte e, dall’altra, Mosca e Pechino, che renderebbe molto difficile impostare discussioni su regole di comportamento necessarie a evitare possibili conflitti.

 

Altri, poi, fanno notare come una riorganizzazione di questo genere nell’apparato militare USA richieda un delicato passaggio legislativo al Congresso, dove qualche voce si è alzata in questi giorni in opposizione all’annuncio di Trump. Politici di peso come il senatore democratico della Florida, Bill Nelson, sono sembrati veicolare la contrarietà di parecchi tra gli alti ufficiali americani. Le ragioni sembrano risiedere nelle complicazioni di ordine burocratico derivanti da una moltiplicazione dei centri di potere militare.

 

Simili timori potrebbero essere dovuti al rischio di sottrarre risorse economiche e in termini di personale agli ambiti militari tradizionali in una fase segnata dai piani di mobilitazione delle forze armate americane in funzione anti-russa e anti-cinese.

 

Probabilmente in questo senso va inteso l’avvertimento contenuto in un articolo di questa settimana del New York Times. Il giornale americano spiega che “la creazione di un’altra branca delle forze armate, dedicata alla protezione e alle missioni nello spazio richiederebbe un lungo e meticoloso processo”, tutt’altro che opportuno nell’attuale periodo di “conflitti globali”.

 

Questo punto di vista riflette il parere sulla questione che il segretario alla Difesa, James Mattis, aveva indirizzato al Congresso lo scorso anno. Il numero uno del Pentagono si era detto contrario all’aggiunta di un comando separato, il quale sarebbe consistito in un “approccio ristretto e addirittura provinciale alle operazioni nello spazio”.

 

D’altro canto, non mancano anche i segnali di interesse negli Stati Uniti per la creazione di un comando spaziale separato. Il Congresso ha ad esempio commissionato un paio di studi sulla questione, il primo disponibile nel mese di agosto e l’altro, più approfondito, entro la fine dell’anno.

 

Al di là delle divisioni sulle questioni burocratiche e organizzative, la classe dirigente USA è in larghissima misura concorde nel considerare cruciale la supremazia del proprio paese nello spazio. Comando separato o meno, il governo di Washington dedica già importanti risorse a questo ambito militare – 12 miliardi di dollari, secondo l’ultimo bilancio – anche se gli stanziamenti per i programmi civili della NASA appaiono in continua diminuzione.

 

Per quanto riguarda ad esempio i satelliti, gli Stati Uniti ne hanno in orbita più di un terzo del totale ed essi svolgono svariate funzioni, tra cui quella di guidare i velivoli senza pilota (droni) nella campagna di assassini mirati contro presunti terroristi in vari paesi del pianeta.

 

L’interesse per l’ambito spaziale e il recente impegno di Trump sono collegati anche e soprattutto alle preoccupazioni per i rapidi progressi fatti da numerosi paesi – alleati e rivali – negli ultimi anni, a cominciare ovviamente dalla Cina. Per quanto riguarda la Russia, questo paese ha invece ereditato un robusto programma spaziale dall’Unione Sovietica che rappresenta evidentemente un fattore nell’evolversi della rivalità tra le due superpotenze nucleari.

 

Non a caso, la cautela pressoché generale che ha accolto la promessa di Trump sul comando spaziale non ha riguardato Mosca. Dalla Russia sono arrivate infatti le reazioni più accese. Secondo il presidente della commissione Difesa e Sicurezza della camera alta del parlamento russo, Viktor Bondarev, la creazione di una “forza armata spaziale” da parte americana sarebbe una violazione del trattato sullo Spazio Esterno del 1967. Questo accordo vieta tra l’altro l’impiego di armi di distruzione di massa nell’orbita terrestre.

 

Se Washington dovesse decidere di agire in questo senso, dalla Russia ci sarebbe perciò una “dura risposta”, al fine di continuare a garantire la “sicurezza globale”. In definitiva, per Mosca “la militarizzazione dello spazio”, prospettata da Trump, equivale a intraprendere una “strada verso la catastrofe”.

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