L’Unione Europea e il Giappone hanno firmato questa settimana quello che è destinato a diventare, una volta entrato in vigore nel 2019, il più grande accordo di libero scambio bilaterale del pianeta. La ratifica è avvenuta dopo trattative durate cinque anni e grazie a un’accelerazione finale stimolata dalle prime avvisaglie di una pericolosa guerra commerciale lanciata dal governo americano di Donald Trump.

 

L’accordo cancella quasi il 99% dei dazi che gravano attualmente sulle merci giapponesi destinate al mercato europeo, tra cui le automobili, e il 94% di quelli imposti ai beni provenienti dall’Europa e destinati al Giappone, inclusi vino, formaggi e altri prodotti alimentari. L’obiettivo del 99% anche a favore degli esportatori europei sarà raggiunto in futuro. La differenza è dovuta in primo luogo alla protezione dalle importazioni di riso, un prodotto culturalmente ed economicamente molto sensibile per il Giappone.

 

 

Il trattato prevede tra l’altro anche la partecipazione di aziende europee alle aste negli appalti pubblici giapponesi. Inoltre, le due parti si impegnano a creare un meccanismo per tenere aperto un dialogo a livello governativo e di commissione europea sulle questioni economiche e commerciali. Quest’ultima iniziativa è evidentemente mirata a evitare eventuali scontri in questi ambiti in caso di aggravamento a livello internazionale dei conflitti doganali.

 

Unione Europea e Giappone rappresentano assieme circa un terzo del PIL globale e, secondo le stime ufficiali, grazie al trattato appena sottoscritto, l’economia del vecchio continente dovrebbe crescere dello 0,8% nel prossimo futuro, mentre quella nipponica dello 0,3%.

 

Alla cerimonia della firma dell’accordo a Tokyo è stato dato ampio rilievo sia dalla stampa sia dalle parti coinvolte. L’evento ha visto la partecipazione del primo ministro giapponese, Shinzo Abe, e dei presidenti del Consiglio Europeo e della Commissione Europea, rispettivamente Donald Tusk e Jean-Claude Juncker.

 

La dichiarazione congiunta seguita alla firma e gli interventi dei leader presenti hanno insistito sulla necessità di difendere e rafforzare, ma anche “riformare”, il sistema multilaterale di regole commerciali basato sul libero scambio nel quadro del WTO (Organizzazione Mondiale del Commercio). In parallelo, è stata ribadita la condanna del protezionismo, con un messaggio indiretto anche se chiarissimo agli Stati Uniti.

 

Sia l’Europea sia il Giappone sono d’altra parte vittime recenti delle politiche commerciali americane. Tokyo, dopo il rifiuto di Trump di garantire un’esenzione, ha dovuto incassare l’applicazione dei dazi sulle esportazioni verso l’America di acciaio e alluminio. Già a inizio 2017, poi, la Casa Bianca aveva annunciato il ritiro dal mega-trattato di libero scambio TPP (Partnership Trans Pacifica), sul quale proprio il Giappone di Abe aveva puntato molto del proprio capitale politico per dare un impulso all’economia del paese asiatico.

 

Anche l’UE è stata uno dei bersagli delle tariffe doganali americane su acciaio e alluminio. Il presidente Trump, inoltre, sta valutando la possibilità di applicare dazi anche alle importazioni di automobili dal vecchio continente. Proprio qualche giorno fa, infine, lo stesso inquilino della Casa Bianca ha definito pubblicamente l’Europa un “nemico” economico e commerciale degli Stati Uniti.

 

Le tensioni crescenti a livello internazionale sul fronte commerciale e il rimescolamento strategico degli equilibri tra le potenze erano emersi anche poco prima della firma del trattato di libero scambio tra UE e Giappone. Sempre i leader europei erano stati protagonisti a Pechino dell’annuale summit con la Cina, anche in questo caso ampiamente riportato dai media occidentali.

 

Le due parti avevano per la prima volta emesso una dichiarazione concordata per sottolineare i progressi verso un possibile trattato bilaterale sugli investimenti e, nuovamente, per promettere un impegno al miglioramento delle regole del WTO.

 

Il rafforzamento dei rapporti tra Bruxelles e Pechino è un altro riflesso delle scintille tra Stati Uniti ed Europa. Alleanze e partnership economiche e commerciali alternative a quella con Washington restano comunque quanto meno complicate. L’Europa, ad esempio, condivide con gli USA le critiche alla Cina relativamente a questioni come il ruolo delle compagnie di proprietà statale, il presunto ricorso a furti di proprietà intellettuale e, soprattutto, l’impulso a uno sviluppo tecnologico che minaccia di sopravanzare anche le realtà d’avanguardia in Occidente.

 

La diversità dell’approccio alla condotta cinese da parte di Stati Uniti ed Europa consiste nel fatto che quest’ultima predilige pressioni e azioni all’interno delle regole commerciali consolidate che Washington intende invece distruggere o piegare a proprio esclusivo vantaggio.

 

L’accordo di libero scambio UE-Giappone, al di là dei proclami e delle intenzioni, così come altri possibili trattati bilaterali in fase di discussione o negoziazione, secondo alcuni non è ad ogni modo una reale soluzione alle tendenze protezioniste, né rappresenta un percorso verso di essa.

 

Se mai, la firma sull’intesa commerciale tra Bruxelles e Tokyo indica un evolversi degli scenari internazionali verso la formazione di blocchi e mercati contrapposti o, comunque, verso il compattarsi degli interessi di determinati paesi con l’obiettivo non tanto di promuovere la libera circolazione delle merci a livello globale, quanto di contrastare un nemico comune che, nella realtà odierna, corrisponde alla prima potenza economica e militare del pianeta.

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