Se gli Stati Uniti dovessero dare seguito alla minaccia di abbandonare lo storico trattato che mette al bando i missili balistici nucleari a medio raggio (INF), il governo russo non potrà che prenderne atto e agire di conseguenza, cioè installando esso stesso questo genere di armi, puntate in larga misura sui paesi europei. Questa è stata la risposta data mercoledì da Vladimir Putin all’ultimatum lanciato alla Russia il giorno prima dal segretario di Stato americano, Mike Pompeo, durante una visita a Bruxelles.

 

 

Il capo della diplomazia USA aveva intimato a Mosca di rientrare nel pieno rispetto dell’INF entro 60 giorni. In caso contrario, Washington potrebbe attivare il periodo di preavviso di sei mesi che deve necessariamente precedere l’uscita dal trattato siglato nel 1987 tra Stati Uniti e Unione Sovietica.

 

Dopo un avvertimento simile espresso dal presidente Trump nel mese di ottobre, Pompeo lo ha significativamente riproposto in termini più duri nel corso di un intervento al vertice NATO di questa settimana. Per l’ex numero uno della CIA, i paesi alleati degli Stati Uniti si trovano di fronte a due scelte, quella di “nascondere la testa sotto la sabbia” oppure di “intraprendere azioni sensate in risposta alla flagrante violazione da parte della Russia dei termini del trattato INF”.

 

Le accuse americane sono dirette contro i nuovi missili “cruise” russi SSC-8 che, secondo Washington, potrebbero colpire l’Europa con testate nucleari. Il Trattato sulle Forze Nucleari Intermedie del 1987 mette al bando tutti i missili, convenzionali e nucleari, con un raggio compreso tra i 500 e i 5.500 km, ad esclusione di quelli lanciati dal mare. Secondo Mosca, i missili al centro dello scontro con gli USA non sarebbero invece in contravvenzione del trattato perché hanno una portata inferiore a 500 km.

 

Il diktat di Pompeo fissa per la prima volta un arco temporale entro il quale gli Stati Uniti potrebbero dare l’addio all’INF, dopo che le polemiche sulla presunta violazione di esso da parte russa circolano a Washington almeno dal 2014. Inoltre, la minaccia americana segue l’ennesima escalation dello scontro tra Russia e Occidente, causata dalla recente provocazione del regime ucraino con il tentato ingresso di alcune navi militari nel mare di Azov, al largo della penisola di Crimea, controllato dalla Russia.

 

La fine del trattato INF rappresenterebbe un gravissimo passo indietro per gli equilibri della sicurezza globale, a cominciare da quella europea. I governi UE hanno infatti espresso serie preoccupazione per una possibile decisione americana in questo senso, poiché l’Europa rischierebbe nuovamente di diventare il campo di battaglia di un conflitto nucleare tra USA e Russia.

 

Dopo l’annuncio di Trump sulla possibile uscita degli Stati Uniti dal trattato, ad esempio, il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, aveva parlato di “interrogativi complessi per l’Europa” derivanti da questa decisione. Il politico socialdemocratico aveva puntato il dito contro la mancata chiarezza sul rispetto dell’INF da parte della Russia, ma allo stesso tempo si era rivolto all’amministrazione Trump, invitandola a “riflettere sulle possibili conseguenze” di un’iniziativa di questo genere.

 

In sede NATO, martedì i rappresentanti dei paesi europei hanno invece tenuto una posizione decisamente più servile nei confronti di Washington, nonostante sia in molti casi trapelato un evidente nervosismo. Il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, da parte sua ha spiegato che “nessun trattato sul controllo degli armamenti può funzionare se viene rispettato solo da uno dei firmatari”. Stoltenberg si è poi rammaricato per gli scenari che si stanno creando, ma ha ammesso di considerare ormai “molto probabile la fine dell’INF”. Se così fosse, l’ex premier norvegese ha assicurato che i 29 membri NATO adotteranno “una risposta collettiva”, senza tuttavia spiegare quale.

 

Il riproporsi della questione dell’INF ha prevedibilmente provocato reazioni accese a Mosca. Già martedì, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha rispedito al mittente le accuse, assicurando che “la Russia rispetta scrupolosamente il trattato” e che ciò “è ben noto alla controparte americana”.

 

Come già anticipato, lo stesso Putin è intervenuto sulla questione nella giornata di mercoledì e, oltre a promettere iniziative corrispondenti a quelle eventualmente messe in atto dagli USA, ha ribadito la contrarietà del Cremlino alla cancellazione dell’INF. Putin ha aggiunto che gli Stati Uniti avevano stabilito da tempo di “distruggere” il trattato sui missili balistici, ma hanno in sostanza atteso a darne notizia ufficialmente solo dopo avere individuato un responsabile della loro decisione, cioè appunto la Russia.

 

Dopo Putin, a Mosca la questione dell’INF è stata affrontata anche dal capo di Stato Maggiore russo, generale Valery Gerasimov. Quest’ultimo ha spiegato in maniera esplicita quali saranno gli obiettivi presi di mira da Mosca in risposta all’uscita degli USA dal trattato. I missili nucleari russi verranno cioè puntati non sul territorio americano, bensì contro quei paesi “che ospiteranno i sistemi balistici a corto e medio raggio” degli Stati Uniti, in primo luogo quelli europei.

 

La mossa dell’amministrazione Trump sull’INF, al di là delle presunte violazioni di Mosca, risponde a una necessità di natura militare che è da collegare alla più ampia strategia di contenimento dei paesi che minacciano il primato americano sul piano internazionale. Più precisamente, i vincoli del trattato sottoscritto da Reagan e Gorbaciov più di trent’anni fa limitano le capacità balistiche degli Stati Uniti sia contro la Russia sia, soprattutto, contro la Cina, malgrado Pechino nulla abbia a che fare con l’INF.

 

I riferimenti alla Cina nelle discussioni sull’opportunità di uscire dal trattato sono stati frequenti negli ultimi anni, visto che questo paese non ha gli stessi obblighi di Washington e ha potuto perciò sviluppare un programma missilistico a corto e medio raggio per contrastare la minaccia militare americana. Agli Stati Uniti, in altri termini, il trattato con la Russia sta ormai stretto perché non consente di posizionare missili diretti contro Pechino in Estremo Oriente e nell’area del Pacifico.

 

Su un piano più generale, l’ultimatum di Pompeo alla Russia rispecchia la crescente insofferenza americana per trattati e organismi internazionali, visti, nell’ottica ultra-nazionalista dell’amministrazione Trump, come restrizioni al perseguimento dei propri obiettivi in uno scenario segnato da inevitabili tendenze multipolari. Martedì a Bruxelles, poco prima di scagliarsi contro la Russia e l’INF, lo stesso segretario di Stato, davanti a una platea sbalordita di politici e burocrati europei, aveva infatti attaccato frontalmente una serie di organizzazioni internazionali.

 

L’Unione Europea, le Nazioni Unite, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’Unione Africana e altre, secondo Pompeo, andrebbero “riformate o eliminate”, in quanto, nella loro forma attuale, non garantiscono più “la sicurezza e i valori del mondo libero”, vale a dire, al di là della retorica, gli interessi sul piano globale della classe dirigente americana.

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