Il segretario alla Difesa ad interim degli Stati Uniti, Patrick Shanahan, martedì si è improvvisamente dimesso dalla sua carica, dopo che poco più di un mese fa era stato candidato dalla Casa Bianca alla nomina definitiva a capo della macchina da guerra americana. L’addio dell’ex top manager di Boeing è da attribuire ufficialmente a un’oscura vicenda di maltrattamenti famigliari risalente a quasi un decennio fa, anche se, quasi certamente, la vera ragione dell’avvicendamento alla guida del Pentagono ha a che fare con le divisioni crescenti all’interno dell’amministrazione Trump sotto la spinta delle numerose crisi internazionali in corso, a cominciare da quella iraniana.

 

 

Shanahan aveva preso il posto del generale James Mattis dopo le dimissioni di quest’ultimo lo scorso dicembre a causa delle divergenze con la Casa Bianca sull’approccio alla questione siriana. Mattis aveva lasciato poco dopo la promessa del presidente Trump, ben presto caduta nel vuoto, di ritirare tutto il contingente militare americano stanziato illegalmente in Siria e stimato a livello ufficiale attorno alle duemila unità.

 

La scelta di Shanahan avrebbe dovuto riportare il Pentagono sulla stessa linea d’onda della Casa Bianca, visto che il nuovo segretario alla Difesa era considerato un fedelissimo di Trump e, in effetti, in questi mesi ha assecondato quasi tutte le iniziative del presidente, dal dirottamento anti-costituzionale di fondi destinati a spese militari per la costruzione del muro al confine col Messico al tentativo di districare gli USA dal pantano della Siria.

 

La sua nomina, di natura provvisoria, non era mai stata ratificata dal Senato di Washington. Anzi, la Casa Bianca non aveva nemmeno inviato la richiesta di conferma di Shanahan alla camera alta del Congresso, a testimonianza delle perplessità legate ai già ricordati guai giudiziari e, soprattutto, alla sostanziale debolezza della sua leadership al Pentagono.

 

Penalizzato anche dal fatto di non avere alcuna esperienza in ambito militare, il segretario ad interim si era ben presto trovato in balia dei “falchi” dell’amministrazione Trump. Un recente articolo della testata online Politico.com raccontava ad esempio come i vertici del dipartimento di Stato e del Consiglio per la Sicurezza Nazionale avessero avuto frequentemente accesso ai comandanti dei vari dipartimenti militari americani senza nemmeno consultare Shanahan.

 

Un episodio di questo genere è avvenuto proprio questa settimana, con il segretario di Stato, Mike Pompeo, che ha visitato in Florida il Comando Centrale, responsabile per le operazioni in Medio Oriente, e il Comando delle Operazioni Speciali, mentre il numero uno del Pentagono era a Washington e, oltretutto, sulla via delle dimissioni. L’incontro di Pompeo con i generali a capo di questi dipartimenti della Difesa ha riguardato in primo luogo l’Iran e in molti hanno collegato l’iniziativa dell’ex direttore della CIA all’uscita di scena di Shanahan.

 

Quest’ultimo, secondo altri resoconti apparsi sui media USA nei giorni scorsi, aveva anche cercato di contenere le pressioni di “falchi” come lo stesso Pompeo e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, intenzionati ad attaccare militarmente la Repubblica Islamica. Se così fosse, è evidente che Shanahan era in sintonia con le posizioni attribuite a Trump, particolarmente riluttante a scatenare una nuova guerra in Medio Oriente, e, dunque, le sue dimissioni sarebbero un’altra conferma dell’ascendente degli ambienti guerrafondai “neo-con” sul presidente americano.

 

Qualche settimana fa, la stampa USA aveva inoltre rivelato come Shanahan avesse presentato alla Casa Bianca un piano d’azione per un possibile intervento contro l’Iran che prevedeva il dispiegamento di ben 120 mila uomini. L’imponenza dello sforzo bellico, nonostante non comprendesse un’invasione di terra, era tale che in molti avevano pensato a una strategia deliberata per scoraggiare la Casa Bianca dall’ordinare un attacco contro la Repubblica Islamica, mettendone appunto in risalto la gravità dell’eventuale impegno.

 

Parallelamente, Shanahan ha però anche assecondato l’escalation in atto contro l’Iran, sia pure cercando di restare al di sotto dei limiti di guardia. Proprio il giorno prima delle sue dimissioni aveva infatti annunciato l’invio di altri mille soldati in Medio Oriente nel quadro delle tensioni con Teheran.

 

Per quello che può valere, Trump ha sostenuto di avere avuto notizia della vecchia vicenda famigliare di Shanahan solo lunedì e ha espresso parole di elogio per quest’ultimo, definito in un tweet come “una persona meravigliosa”. Il caso che lo avrebbe spinto a dimettersi risale all’agosto del 2010, quando lui e sua moglie, da cui si sarebbe poi separato, furono protagonisti di una lite furiosa nel giardino della loro abitazione a Seattle. Dopo l’arrivo della polizia, l’allora consorte denunciò per percosse Shanahan, il quale però ha sempre respinto le accuse, citando a sua difesa l’indagine successiva che si sarebbe invece risolta con un’incriminazione per aggressione ai danni della moglie.

 

Al posto di Patrick Shanahan, la Casa Bianca ha nominato l’attuale segretario dell’Esercito, Mark Esper. Anche lui assumerà la carica di segretario della Difesa ad interim e al momento non è chiaro se Trump deciderà di proporlo al Senato per la conferma definitiva. Svariati senatori, soprattutto repubblicani, hanno subito espresso soddisfazione per la scelta di Esper, lasciando intendere che potrebbe facilmente superare l’ostacolo del voto di ratifica in aula nel caso il presidente dovesse decidere in questo senso.

 

Esper ha tuttavia dei notevoli conflitti d’interesse con il suo nuovo incarico, ancora maggiori di quelli del suo predecessore, ex manager di uno dei principali appaltatori del Pentagono come Boeing. Il neo-segretario alla Difesa ad interim è stato infatti a lungo sul libro paga di un altro colosso dell’industria militare – Raytheon – con l’incarico di vicepresidente per le relazioni con il governo, ovvero uno dei principali lobbisti a Washington di questa compagnia.

 

Durante le audizioni per la sua conferma nell’incarico di segretario dell’Esercito nel 2017, Esper aveva ammesso di avere partecipato alla stipulazione di molti contratti tra Raytheon e il governo federale, inclusi quelli per la fornitura di radar per il sistema missilistico difensivo Patriot, ampiamente venduto ad alleati esteri degli Stati Uniti. In precedenza, Esper era stato nell’esercito, partecipando anche alla Guerra del Golfo nel 1991, e nella Guardia Nazionale, per poi finire al “think tank” ultra-conservatore Heritage Foundation e ricoprire alcuni incarichi al Congresso e al Pentagono.

 

Il basso profilo di Esper testimonia ancora una volta delle difficoltà della Casa Bianca nel trovare un nome autorevole disposto a diventare segretario alla Difesa per questa amministrazione. La sua nomina, anche se freschissima e quindi tutta da valutare, sembra quindi prospettare una nuova figura alla guida del Pentagono più o meno manipolabile dagli uomini forti dell’attuale governo, da Bolton a Pompeo, e di conseguenza un’ulteriore intensificazione delle politiche di aggressione degli Stati Uniti.

 

Esper, tra l’altro, si è laureato all’accademia militare di West Point nel 1986 assieme allo stesso Pompeo, così che i rapporti col segretario di Stato potrebbero facilmente risultare migliori rispetto al periodo di Shanahan. Secondo il New York Times, però, durante il suo mandato da segretario dell’Esercito, Esper ha cercato di modernizzare le forze sotto il suo controllo “in accordo con gli obiettivi della Strategia di Difesa Nazionale” preparata lo scorso anno dall’ex numero uno del Pentagono Jim Mattis.

 

Ciò significa che Esper ha lavorato finora per preparare la macchina da guerra americana a un conflitto di vasta portata con paesi nemici come Russia e/o Cina, in parziale contraddizione con gli obiettivi dei vari Pompeo e Bolton, fissati per lo più sulla “minaccia” iraniana. Per il momento, appare comunque relativamente improbabile che durante il passaggio di consegne al Pentagono venga deciso un attacco militare contro l’Iran, malgrado siano circolate nei giorni scorsi notizie sui preparativi di un imminente blitz aereo contro un’installazione nucleare di questo paese.

 

Il continuo aumento delle tensioni tra Washington e Teheran e la probabile prossima violazione, sia pure forzata, dell’accordo sul nucleare di Vienna da parte della Repubblica Islamica misureranno in fretta le inclinazioni del nuovo segretario alla Difesa ad interim e, soprattutto, le possibilità che il Pentagono finisca per condurre gli Stati Uniti verso una nuova guerra dalle conseguenze potenzialmente devastanti.

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