Con un’azione attentamente calibrata, giovedì la Corea del Nord ha mandato all’amministrazione Trump un messaggio inequivocabile della propria impazienza riguardo allo stallo dei negoziati tra i due paesi. I due missili a breve gittata lanciati dal regime di Kim Jong-un sono la prima azione di un certo rilievo intrapresa dopo lo storico incontro del 30 giugno scorso con il presidente americano lungo la linea di confine tra le due Coree. L’iniziativa è volta perciò a mettere pressioni sulla Casa Bianca e ad avvertire che il tempo per intavolare una trattativa seria sulla questione del nucleare nordcoreano potrebbe essere vicino ad esaurirsi.

 

Secondo i vertici militari sudcoreani, il lancio di giovedì sarebbe simile per caratteristiche degli ordigni testati a un altro andato in scena nel mese di maggio. I missili potrebbero essere la versione nordcoreana degli Iskander russi e, dopo essere partiti all’alba di giovedì dalla città costiera di Wonsan, sono precipitati nel mare a est del paese al termine di una corsa rispettivamente di circa 430 e 690 chilometri. I media di Seoul hanno citato fonti dello Stato Maggiore sudcoreano, i quali hanno ipotizzato tra l’altro che uno dei due missili possa essere di un genere mai posseduto da Pyongyang, anche se per fare maggiore chiarezza saranno necessarie ulteriori analisi dell’accaduto.

Kim Jong-un è sembrato essere dunque guidato principalmente da due scrupoli. Il primo di comunicare a Trump la propria impazienza, forse in considerazione anche di malumori sul fronte interno, e l’altro di non ricorrere a mosse eccessivamente provocatorie per tenere aperto il canale del dialogo con Washington. A quest’ultimo proposito, il lancio è stato programmato in un momento tale da non ricevere una copertura mediatica frenetica negli Stati Uniti, visto che la giornata di mercoledì è stata dominata a Washington dalla testimonianza al Congresso del procuratore speciale per il “Russiagate”, Robert Mueller.

Il governo di Washington ha comunque ricevuto il messaggio di Kim in maniera chiarissima. A sottolinearlo è stata anche la coincidenza del lancio con la visita del consigliere per la Sicurezza Nazionale di Trump, John Bolton, in Corea del Sud, da dove sempre mercoledì è partito per fare ritorno in patria. Bolton, assieme al segretario di Stato, Mike Pompeo, è stato finora tra coloro che hanno assunto le posizioni più dure nei confronti del regime di Pyongyang.

Il leader nordcoreano ha segnalato però anche che per il momento intende rispettare l’auto-imposta moratoria sui test di missili balistici intercontinentali, in grado teoricamente di raggiungere il territorio americano e banditi da una risoluzione delle Nazioni Unite.

In sostanza, l’evento di giovedì comunica le frustrazioni della leadership nordcoreana per il rifiuto di Washington a considerare anche solo un parziale allentamento delle sanzioni economiche in cambio delle iniziative già prese da Pyongyang e di quelle che il regime si è impegnato a prendere in ambito nucleare, come ad esempio la chiusura dell’impianto storico di Yongbyon. Messo in un altro modo, il messaggio di Kim per Trump è di accelerare l’organizzazione del prossimo round di colloqui, concordato nel faccia a faccia di fine giugno, e di ammorbidire le posizioni americane per evitare il precipitare della situazione e il ritorno alla completa ostilità tra i due paesi.

Il più recente lancio di missili a corto raggio non è d’altra parte un segnale isolato del regime. Solo qualche giorno fa, la stampa nordcoreana aveva diffuso le immagini di Kim mentre ispezionava un sottomarino che, secondo gli analisti, sembrava essere in grado di trasportare missili balistici. In precedenza, poi, il ministero degli Esteri di Pyongyang aveva invitato senza successo Washington e Seoul a cancellare le consuete esercitazioni militari congiunte per non costringere il regime a ripensare la sospensione dei test nucleari e dei missili balistici intercontinentali.

Che la pazienza della Corea del Nord sia forse vicina al limite è testimoniato anche dalla cancellazione nelle scorse ore del viaggio del ministro degli Esteri, Ri Yong-ho, a Bangkok, dove la prossima settimana avrebbe probabilmente incontrato il segretario di Stato USA a margine del summit dell’Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico (ASEAN).

Al di là della semplice presa d’atto, Washington non ha per il momento rilasciato dichiarazioni ufficiali sul lancio di giovedì, ma, se anche dovessero arrivare, è probabile che i toni saranno contenuti, in modo da minimizzare la decisione di Kim per non mettere a rischio i colloqui e per non contraddire le continue dichiarazioni di Trump sui buoni rapporti con il leader nordcoreano e sul successo della sua strategia.

In un’intervista alla Reuters, l’ex negoziatore sudcoreano, Kim Hong-kyun, ha sostenuto che il lancio dei due missili significa che, per la Corea del Nord “potrebbero non esserci altri colloqui con gli Stati Uniti” a meno che Washington “non adotti una posizione più flessibile”. Pyongyang, cioè, potrebbe essere sul punto di valutare un ritiro dai negoziati se le prospettive dovessero essere modeste o del tutto infruttuose, come già accaduto dopo il primo vertice tra Trump e Kim a Singapore nel giugno del 2018 e dopo il secondo di Hanoi a febbraio di quest’anno.

Esattamente questa potrebbe essere l’interpretazione della notizia data in questi giorni dall’ambasciatore sudcoreano negli USA, Cho Yoon-je, per il quale il governo americano avrebbe proposto a Pyongyang di discutere i tempi e la location dei prossimi negoziati, ma dal regime non sarebbe ancora arrivata alcuna risposta.

Anche se la gran parte dei media in Occidente continua ad attribuire alla Corea del Nord la responsabilità dello stallo diplomatico, poiché Kim starebbe in qualche modo bleffando sulla sua disponibilità a disfarsi del programma nucleare del suo paese, la palla è in realtà da tempo nel campo degli Stati Uniti.

Da Pyongyang i segnali di apertura sono stati molteplici nell’ultimo anno e chiare sono anche le richieste, tutt’altro che radicali o sproporzionate, presentate a Washington per creare un clima di fiducia reciproca, come ad esempio la sospensione delle sanzioni più dure e la disponibilità a discutere di un trattato di pace che metta fine ufficialmente alla guerra nella penisola del 1950-53.

Le posizioni degli Stati Uniti restano tuttavia poco limpide e le divisioni che attraversano l’amministrazione Trump sull’approccio da tenere riguardo la trattativa con Kim sembrano essere l’unica certezza. Soprattutto e più in generale, a impedire lo sblocco del negoziato sono i veri obiettivi americani di una possibile “pace” con la Corea del Nord. Ciò a cui punta la Casa Bianca non è semplicemente una soluzione diplomatica a una crisi lunga quasi sette decenni, ma un vero e proprio capovolgimento strategico in Asia nord-orientale che trascini il regime dinastico della famiglia Kim nell’orbita statunitense in seguito a uno sganciamento dalla Cina, finora l’unico vero alleato della Corea del Nord.

Il nodo del nucleare di Pyongyang si inserisce cioè nel quadro più ampio della rivalità tra Washington e Pechino, così che un semplice successo diplomatico che lasci intatti gli equilibri strategici sulla penisola non sarà accettato dagli Stati Uniti. Che la leadership nordcoreana sia pronta a fare un passo di questo genere è però tutt’altro che probabile. Al contrario, Kim e la sua cerchia di potere sembrano interessati a superare l’isolamento del paese non solo aprendo al nemico americano, ma inserendosi contestualmente anche nei processi di sviluppo in atto nel continente asiatico e che conducono in maniera inevitabile alla creazione o al consolidamento di un’asse con Mosca e, soprattutto, con Pechino.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy