Le voci di un possibile golpe o tentativo di destabilizzazione della Giordania hanno nei giorni scorsi portato alla luce la situazione di crisi in cui versa il regime della monarchia Hashemita, tradizionalmente considerato un’oasi di stabilità nella regione mediorientale. Il complotto presumibilmente in atto era stato denunciato domenica dal vice-primo ministro e ministro degli Esteri, Ayman al-Safadi, in una conferenza stampa trasmessa in diretta TV. Al centro delle trame ci sarebbe stato l’ex principe ereditario, Hamza, fratellastro dell’attuale sovrano, Abdallah II, in combutta con non meglio definite “forze straniere” e domestiche.

 

La notizia degli arresti domiciliari di fatto del principe Hamza era diventata subito una sorta di boomerang per il regime, vista la sua relativa popolarità nel paese, soprattutto tra gli influenti clan della riva orientale del Giordano. Hamza aveva poi reagito prontamente alle accuse, pubblicando una registrazione audio della conversazione avuta col capo di stato maggiore, generale Yousef Huneiti, incaricato dal sovrano di gestire la grana relativa al fratellastro.

Nel file audio pubblicato in esclusiva dal sito Middle East Eye, Huneiti invitava Hamza a interrompere qualsiasi dialogo con i leader tribali e altre personalità del regno “scontente” della situazione interna. Nessun accenno a possibili legami del principe con ambienti stranieri era invece stato fatto dal generale giordano. Nella stessa registrazione, Hamza rispondeva duramente al suo accusatore e, senza dubbio con l’intenzione di promuovere la sua immagine, rivendicava il diritto di “parlare con la mia gente” e puntava il dito contro il regime per avere “distrutto il paese” e per la “corruzione dilagante”.

Malgrado i toni che lasciavano intendere gravi divisioni ai vertici dello stato, lo scontro si è alla fine apparentemente risolto con un’intesa tra Hamza e il sovrano. Un incontro tra lo zio di quest’ultimo, principe Hassan, avrebbe infatti convinto Hamza a firmare lunedì sera una lettera in cui giura fedeltà ad Abdallah II, solo poche ore dopo avere dichiarato di voler disobbedire all’ordine di evitare qualsiasi comunicazione con il mondo esterno.

Nella cospirazione sarebbero state comunque coinvolte altre personalità di spicco del regno, ma gli unici nomi resi pubblici dei circa 15 arrestati sono stati quelli di Sharif Hassan bin Zaid e Bassem Awadallah. Il primo è un membro della famiglia reale, mentre l’altro ha fatto parte del governo in passato e ha ricoperto l’incarico di capo ufficio della casa reale. Entrambi hanno interessi di natura economica con le monarchie del Golfo Persico. Awadallah, in particolare, è stato consulente del principe ereditario saudita, Mohammad bin Salman, ed è legato per questioni di business agli Emirati Arabi.

Le ragioni reali alla base della crisi esplosa nel fine settimana sono tutt’altro che chiare. Non sembrano esserci in ogni caso dubbi che gli ambienti reali vedano come una minaccia il principe Hamza in un momento di gravi difficoltà per il regno. Il 41enne figlio del defunto sovrano Hussein e della sua quarta moglie, Noor, era stato privato del titolo di successore al trono nel 2004 a favore del figlio di Abdallah II, principe Hussein. Hamza, come spiegato in precedenza, ha coltivato rapporti piuttosto stretti con i cosiddetti “East bankers”, in contrapposizione al sovrano, spesso accusato di favorire gli interessi palestinesi, anche per via dell’origine della consorte, la regina Rania.

Questi rapporti di Hamza hanno rappresentato un problema sempre più serio per la monarchia Hashemita, essendo potenzialmente in grado di coagulare il malcontento crescente a causa dello stato dell’economia, della crisi sanitaria e dell’escalation di misure repressive dirette contro qualsiasi forma di opposizione. Il fatto poi di colpire due ex “insider” con interessi all’estero, come bin Zaid e Awadallah, e di agitare lo spettro del complotto manovrato da potenze straniere ha fornito l’occasione al regime per provare a recuperare consensi a discapito di una figura popolare come Hamza.

Allo stesso tempo, la presenza vera o presunta di una minaccia alla stabilità del regno permette al regime di intensificare le misure repressive e consolidare il potere del sovrano. La Giordania si regge d’altra parte su delicati equilibri, principalmente a causa della sua stessa natura di paese privo di risorse energetiche e dipendente dagli aiuti internazionali, ricevuti in cambio della promozione degli interessi delle potenze alleate grazie al ruolo strategico esercitato finora in Medio Oriente.

La legittimità della monarchia Hashemita si basa in sostanza sul consenso dei vari clan che dominano la società giordana, costruito attorno a una rete di relazioni che fa capo allo stesso sovrano. Questi legami mostrano tuttavia pericolosi allentamenti, i cui sintomi erano evidenti quanto meno fin dall’esplosione del conflitto in Siria nel 2011. L’afflusso di centinaia di migliaia di profughi ha ulteriormente aggravato lo stato del sistema, mentre l’evoluzione degli equilibri regionali sembra minacciare anche la posizione strategica della Giordania e restringere gli spazi di manovra del suo governo.

A questo proposito, sarebbe estremamente interessante conoscere quali sono le presunte “forze esterne” che avrebbero collaborato col principe Hamza per l’organizzazione del fallito colpo di stato ad Amman. Dagli Stati Uniti al mondo arabo sono arrivati messaggi di solidarietà per re Abdallah II. È del tutto evidente che, almeno in apparenza, ci sia poco appetito per l’aggiungersi di un nuovo elemento di destabilizzazione in Medio Oriente.

Alcuni commentatori hanno però evidenziato come i motivi di tensione con Israele siano stati parecchi nell’ultimo periodo, mentre le dinamiche innescate dall’amministrazione Trump tra Tel Aviv e alcuni regimi arabi abbiano ugualmente avuto riflessi sulla Giordania. Netanyahu e Abdallah II sono da qualche tempo ai ferri corti, soprattutto dopo che recentemente il premier israeliano aveva negato il permesso al sovrano giordano di visitare la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme Est, di cui la monarchia Hashemita è custode. Per tutta risposta, Abdallah II aveva negato a Netanyahu il permesso di usare lo spazio aereo del suo paese per raggiungere gli Emirati Arabi, dove il primo ministro intendeva organizzare uno storico vertice che avrebbe potuto favorirlo a pochi giorni dalle elezioni.

La diatriba non è in ogni caso solo di carattere personale tra i due leader. La ragione più profonda va ricercata appunto nel ristabilimento di normali relazioni diplomatiche tra Israele e alcuni paesi arabi, come Emirati Arabi e Bahrein, con la benedizione dell’amministrazione Trump. Noti come “Accordi di Abramo”, questi nuovi legami rischiano di privare la Giordania del suo ruolo di “ponte” tra Israele e il mondo arabo. Come ha spiegato l’ex diplomatico indiano e commentatore M. K. Bhadrakumar sul suo blog Indian Punchline, l’eventuale rimozione di Abdallah II avrebbe potuto piegare le resistenze alla possibile annessione israeliana della Cisgiordania, creando le basi per la “soluzione confederata” del problema palestinese e l’affossamento definitivo dell’ipotesi dei “due stati”.

Gli elementi concreti a sostegno di questa tesi sono comunque scarsi, anche se un qualche collegamento a Israele è in effetti già emerso. Fonti governative giordane hanno cioè rivelato che un uomo d’affari israeliano legato al Mossad aveva messo a disposizione un volo alla moglie e ai figli del principe Hamza per lasciare il paese. Il cittadino di Israele ha in seguito smentito di essere un agente del Mossad, ma ha confermato di avere fatto questa proposta al fratellastro di re Abdallah II.

Quali che siano i retroscena degli eventi dei giorni scorsi, la crisi del regno Hashemita molto difficilmente potrà essere risolta dall’intervento per sventare il presunto tentativo di golpe dell’ex principe ereditario. L’impatto della pandemia ha infatti aggravato una situazione già estremamente problematica, azzerando di fatto il settore vitale del turismo e facendo salire a livelli allarmanti il debito pubblico e la disoccupazione. Tutto ciò si è aggiunto alle frustrazioni già ampiamente diffuse per la corruzione che permea il sistema e l’inefficienza dei servizi pubblici.

Emblematico di questa situazione arrivata forse sul punto di esplodere nel fine settimana è stato un recente episodio accaduto nella città di al-Salt. Qui, sei pazienti malati di Coronavirus sono deceduti in un ospedale pubblico dove erano terminate le scorte di ossigeno. Quando Abdallah II si è recato sul posto, l’accoglienza è stata non esattamente calorosa. Al contrario, la visita del principe Hamza alla famiglia di una delle vittime è stata in seguito accolta con entusiasmo pressoché unanime.

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