Cristian Cuceu aveva 23 anni, è morto mentre svolgeva il turno di notte nell’azienda in cui lavorava, a San Donà di Piave, il 4 dicembre 2020, incastrato in un tornio. Ambrogio Pietro Viganò di anni ne aveva 71, il 16 febbraio 2021 stava lavorando sul tetto di una fabbrica a Suisio, è morto dopo essere precipitato al suolo. Christian Martinelli aveva 49 anni, è morto schiacciato dal tornio meccanico, il 5 maggio 2021, a Busto Arsizio. Natalino Albano aveva anche lui 49 anni, è morto nel porto di Taranto, caduto sulla banchina durante le operazioni di carico su una nave, il 29 aprile 2021. Lo stesso giorno ad Alessandria, in un cantiere della logistica di Amazon, il cedimento di una trave provocava la morte di un lavoratore e il ferimento grave di altri cinque operai. Luana D’Orazio, aveva 22 anni, è morta stritolata dall’orditoio, a Montemurlo, il 3 maggio 2021.

 

Episodi, date, città, nomi, età di persone andate a lavorare e non più tornate alle loro case e ai loro affetti. Le cause? Identiche a quelle che hanno provocato la morte di altre lavoratrici e lavoratori di dieci, cinquanta, cento anni fa nonostante l’evoluzione tecnologica: cadute, schiacciamenti, cadute dall’alto, stritolamenti, colpiti da attrezzi. Alle cause del passato si aggiungono quelle del presente: incidenti stradali, che nelle statistiche degli infortuni sul lavoro diventano “infortuni in itinere”.

Oggi come ieri gli infortuni possono essere singoli o plurimi, a seconda del numero dei lavoratori che rimangono vittime. Oggi come ieri si può morire anche di fatica e sfruttamento, come accadde a Paola Clemente, 49 anni, bracciante, deceduta in un vigneto di Andria, il 13 giugno 2015. Si aggiunge nelle campagne il caso dei morti schiacciati dal trattore: 51 nei primi cinque mesi del 2021, secondo l’Osservatorio Indipendente di Bologna; le morti cosiddette bianche, diventano verdi ed entrambe spesso rientrano nella casistica terribile del lavoro nero, generato dalla catastrofe del caporalato.

Davvero il punto d’origine degl’infortuni e delle morti nei luoghi di lavoro è soltanto la carenza di prevenzione e formazione, come si legge in ogni commento esternato in simili circostanze?

Per rispondere, è necessario guardare ai documenti ufficiali; per esempio alle Relazioni Annuali dell’Inail, che contengono non soltanto i dati sull’andamento infortunistico e i risultati più rilevanti ottenuti sui fronti della ricerca, della riabilitazione e degli investimenti dell’Istituto ma anche i dati sugli incentivi per la sicurezza, la prevenzione e la formazione. Dalla Relazione Annuale 2019, ultima disponibile, presentata dal Presidente dell’Inail nel luglio 2020, si apprende che nel 2019, sul fronte della mitigazione dei rischi negli ambienti di lavoro, si sono avute, per le imprese, circa 28.500 istanze di riduzione del tasso di tariffa per meriti di prevenzione che hanno comportato una riduzione del premio per le aziende virtuose di circa 140 milioni di euro (pag. 11). Si registra anche la riduzione del 7,38% dell’importo del premio dovuto per le imprese artigiane che non hanno denunciato infortuni nel biennio 2017-2018: sono stati destinati 27 milioni di euro; dello sconto hanno beneficiato circa 300 mila ditte (pag. 11). Il 2019, peraltro, è stato l’anno di concreta applicazione delle nuove Tariffe dei Premi per l’assicurazione Inail; l’operazione ha comportato un minor onere per le imprese stimato in 1.700 milioni di euro annui (pag. 8).

Oltre a questa possente riduzione di tariffe, compensata dalle imprese con interventi di prevenzione nei luoghi di lavoro,  vi è il cosiddetto “Bando ISI”. Si tratta di un Bando annuale di Finanziamento a Fondo Perduto, promosso dall’Inail, al fine d’incentivare gli investimenti per le imprese in interventi votati al miglioramento della sicurezza sul lavoro. Nella Relazione Annuale 2019 si legge che l’Inail, a partire dal 2010, ha stanziato oltre 2,4 miliardi di euro per la prevenzione e il miglioramento dei livelli di salute e sicurezza all’interno delle aziende; i risultati finora ottenuti grazie ai fondi Inail si sostanziano nella realizzazione di quasi 32 mila progetti (pag. 12).

Dalla prevenzione alla formazione il tono non cambia. Iniziativa importante a favore delle imprese, si legge nella Relazione, è la campagna nazionale per il rafforzamento degli interventi formativi, finanziata con fondi del Ministero del Lavoro per circa 15 milioni di euro (pag. 12). L’Inail, peraltro, svolge attività di supporto tecnico relative ai Piani Nazionali di Prevenzione. Nella Relazione si legge (pag. 14) che numerose sono state le iniziative di formazione – generale e specifica – sulle tematiche della salute e sicurezza e di promozione della cultura della prevenzione. Hanno interessato pubbliche amministrazioni, parti sociali datoriali e sindacali, associazioni di professionisti, figure prevenzionali di RLS (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza) e RSPP (Responsabile dei Servizi di Protezione e Prevenzione).

Non si dimentichi che l’Inail è anche Focal point Italia per l’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro; e si tenga presente che ogni anno l’Istituto, in ogni regione e in ogni provincia, organizza puntualmente convegni e seminari destinati alle parti sociali e agli ordini professionali sui Bandi ISI, sulle Riduzioni delle tariffe, sulle azioni formative, sui finanziamenti per il reinserimento per cui costante è l’informazione e la divulgazione sui finanziamenti messi a disposizione delle imprese per gli interventi di prevenzione e di formazione.

Si può a questo punto affermare che gli strumenti e i capitali finanziari per la prevenzione e per la formazione volti ad attuare buone prassi per la salute e la sicurezza sul lavoro, in Italia, grazie all’Inail, non mancano. Il punto, semmai, è un altro: questo enorme flusso finanziario che dall’Inail si riversa sulle imprese dovrebbe essere cogestito con la partecipazione dei Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza. Una parte di questo flusso finanziario, poi, dovrebbe essere destinato ai lavoratori, magari tramite bonus di reparto da assegnare ai lavoratori se nel mese precedente non si sono verificati infortuni; e anche mediante istituzionalizzazione di assemblee sindacali mensili nei luoghi di lavoro sul tema della salute e sicurezza finanziate a carico dell’Inail.

Tralasciando, tuttavia, questo aspetto e posto che in Italia, nonostante l’immenso flusso finanziario destinato alla prevenzione e alla formazione, nei luoghi di lavoro i lavoratori e le lavoratrici continuano ad infortunarsi, ammalarsi e morire, allora bisogna mirare ad altre, possibili motivazioni e soluzioni. Forse, invece di continuare a reclamare più prevenzione e più formazione, è arrivato il momento di verificare la correlazione tra infortuni sul lavoro e il sistema dei lavori in appalto e sub-appalto.

È necessario soffermare l’attenzione sui cicli produttivi, intervenire sui tempi di consegna la cui tabella di marcia è sempre più pressante, sorvegliare i carichi di lavoro sempre più pesanti per la riduzione di manodopera, agire sulle retribuzioni sempre più ridotte e sempre meno puntuali, operare sulla precarietà sempre più diffusa, lottare per un lavoro di qualità, dignitoso, sereno, certo, ben pagato. Quanto incidono, questi fattori, sul benessere psichico, oltre che fisico, dei lavoratori? Abbiamo una popolazione lavorativa in parte invecchiata e dunque usurata, in parte giovane ma preoccupata di perdere il lavoro a causa dei contratti a termine. Una persona che a 71 anni è ancora costretta a lavorare sul tetto di un capannone, o che a 22 anni guarda con terrore allo scadere del proprio contratto di lavoro, potrà pure essere formata e lavorare in un ambiente in cui non mancano gli interventi di prevenzione, ma non sarà sicura di se stessa, del suo presente e del suo futuro lavorativo e questa insicurezza pregiudica la propria sicurezza sul lavoro.

Rispetto a dieci, cinquanta, cento anni fa, oggi certamente abbiamo più consapevolezza del rischio, più prevenzione e più formazione; ma di prevenzione e formazione si può morire essendo cambiata la filosofia del lavoro. Oggi si richiede più produttività, per essere più competitivi sul mercato; la produttività aumenta in due modi: da un lato rendendo più snella e flessibile l’occupazione e dall’altro incrementando i tempi di produzione e consegna. Il lavoratore rimane intrappolato e stritolato da questi fattori. Si è ormai imposto un modello di lavoro in cui non sono retribuite le ore di lavoro ma i risultati raggiunti.

Chi lavora tanto continuerà a lavorare ma dovrà lavorare sempre di più. È questo lato del problema che va coraggiosamente affrontato. Occorre commisurare l’orario di lavoro e la dotazione organica con la produzione, che significa riduzione dell’orario di lavoro, incremento del numero dei lavoratori, adeguamento delle retribuzioni e della stabilità occupazionale. Su questi temi il Sindacato oggi è chiamato ad intervenire. E la politica, che ancora oggi chiede di istituire nuove Agenzie per la sicurezza come se l’Inail, l’Inl gli Spresal non bastassero, pensi a rafforzare gli Istituti che già esistono e anche a costituire finalmente quella Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla sicurezza nei luoghi di lavoro pubblici e privati istituita dal Senato della Repubblica il 31 ottobre 2019 e ancora oggi mai costituita.

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