Stampa

Quella approvata nella mattinata di sabato dal Senato di Washington può difficilmente essere considerata soltanto come una semplice riforma del sistema fiscale americano. Il pacchetto da 1.500 miliardi di dollari di tagli alle tasse per i più ricchi, fortemente voluto dal presidente Trump, rappresenta piuttosto un nuovo riassestamento dei rapporti di classe negli Stati Uniti che avrà conseguenze pesantissime sulle casse federali e sulle vite di decine di milioni di americani.

 

La legge è il risultato di intense trattative, in larga misura segrete, all’interno del Partito Repubblicano, resesi necessarie per raggiungere i voti sufficienti all’approvazione in aula al Senato di fronte alle resistenze manifestate dalle varie ali del partito. Il numero uno repubblicano, Mitch McConnell, poteva infatti perdere solo due voti della propria delegazione al Senato per riuscire a mandare in porto la “riforma”.

 

 

Alla fine, il provvedimento è stato approvato con 51 voti favorevoli e 49 contrari. La versione licenziata sabato dal Senato è parzialmente diversa da quella che era uscita in precedenza dalla Camera dei Rappresentanti, così che entrambi i rami del Congresso dovranno votare nuovamente un testo identico, con ogni probabilità prima di Natale, che uscirà dai negoziati tra i leader del partito di maggioranza.

 

Su quella che è stata definita come la prima importante vittoria dell’amministrazione Trump e del Congresso uscito dalle elezioni del novembre 2016 hanno agito principalmente due fattori. Il primo è appunto l’urgenza di ottenere un qualche risultato concreto dopo quasi dodici mesi segnati da una profondissima crisi politica che coinvolge la Casa Bianca e il suo inquilino. Il secondo è legato invece alla necessità di alimentare con ingentissimi tagli alle tasse l’artificiosa crescita degli indici di borsa e dei profitti di grandi banche e corporation, le quali da tempo sollecitano un nuovo massiccio drenaggio di risorse da lavoratori e classe media a loro esclusivo beneficio.

 

Dopo gli stenti delle ultime settimane, ancora venerdì la “riforma” fiscale repubblicana sembrava potersi arenare a un passo dal traguardo. Una speciale commissione indipendente del Congresso aveva infatti reso noto uno studio sulla nuova legge che evidenziava come essa potrebbe provocare un aumento del deficit federale pari a mille miliardi di dollari in dieci anni, anche considerando l’improbabile impatto benefico che secondo alcuni avrebbe sulla crescita dell’economia americana.

 

Questi numeri avevano messo in allarme i “falchi” del deficit del Partito Repubblicano, come il senatore del Tennessee Bob Corker, i quali avevano chiesto un qualche meccanismo automatico che annullasse i tagli alle tasse se la crescita economica non fosse stata quella prevista. Alla fine, le preoccupazioni dei senatori dubbiosi sono state placate con altre concessioni, mentre Corker, che non si ricandiderà per il suo seggio nel 2018, è stato l’unico voto contrario repubblicano registrato sabato in aula.

 

Senza nessuna vergogna, Trump e i leader repubblicani hanno ripetutamente propagandato la “riforma” fiscale come una misura destinata alla classe media, con il presidente che in un recente intervento pubblico ha addirittura affermato che egli stesso sarà pesantemente colpito dalla nuova ripartizione dei carichi fiscali negli Stati Uniti.

 

Secondo alcune stime basate sui suoi redditi del 2005, al contrario, Trump potrebbe risparmiare oltre 30 milioni di dollari di tasse all’anno, mentre ancora maggiore sarà il beneficio che trarrà la sua famiglia dalla virtuale abolizione delle tasse di successione.

 

In generale, i redditi più alti vedranno ridotta l’aliquota massima prevista attualmente, così come quella nominale per le grandi aziende americane passerà dal 35% al 20%. In realtà, il regalo alle corporation sarà ancora maggiore, visto che già attualmente la loro percentuale di tasse pagata effettivamente negli USA è decisamente più bassa rispetto anche al livello fissato dalla nuova legge.

 

Per il Tax Policy Center di Washington, l’1% dei contribuenti più ricchi godrà di un taglio medio alle tasse di oltre 32 mila dollari l’anno, mentre chi guadagna più di 5 milioni di dollari risparmierà in media 208 mila dollari l’anno. Per i redditi più bassi e fino a 50 mila dollari, invece, la riduzione delle tasse andrà dall’essere insignificante a inesistente, se non addirittura negativa.

 

Alle misure prettamente fiscali contenute nel provvedimento ne vanno poi aggiunte altre che andranno a colpire ancora le fasce più deboli della popolazione. Una di queste è l’eliminazione dell’obbligo di acquisto di una polizza sanitaria, stabilita dalla riforma sanitaria di Obama del 2011. Questa norma, che farà salire sia il numero degli americani non assicurati sia il costo delle polizze, è stata introdotta per recuperare più di 300 miliardi di dollari da distribuire ai redditi più elevati tramite la soppressione dei sussidi federali previsti per la sottoscrizione di un’assicurazione sanitaria.

 

Tra le concessioni fatte ai senatori incerti nei giorni scorsi per ottenere il loro appoggio alla “riforma”, vi è poi ad esempio quella che ha ottenuto Lisa Murkowski dell’Alaska. Il testo passato al Senato include cioè il via libera alle esplorazioni petrolifere in alcune aree sensibili protette nello stato americano più settentrionale.

 

La presenza nella versione finale della legge di misure che riguardano la cancellazione e la salvaguardia di alcune detrazioni previste dalla legge fiscale americana sarà decisa dalle trattative tra i leader repubblicani di Camera e Senato. Allo stesso modo, le due versioni già approvate differiscono anche sul fatto che alcuni tagli al carico fiscale siano definitivi o destinati a scomparire dopo dieci anni.

 

Il pacchetto da 1.500 miliardi di dollari appena approvato dal Senato segna dunque un nuovo passaggio della contro-rivoluzione condotta dalle classi dominanti americane a partire almeno dagli anni Ottanta del secolo scorso. Il costante abbassamento delle tasse per i più ricchi si è accompagnato alla deindustrializzazione dell’economia USA e alla perdita di influenza a livello internazionale delle aziende di questo paese.

 

Il nuovo colpo di mano che sottrarrà altre risorse alle classi più basse avviene inoltre in una fase in cui la concentrazione di ricchezza nelle mani di pochissimi non è mai stata così evidente. Recentissimo è ad esempio il dato che i tre americani più facoltosi – Jeff Bezos, Bill Gates, Warren Buffett – detengono maggiori ricchezze di quelle complessive della metà della popolazione più povera degli Stati Uniti, ovvero 160 milioni di persone. Va ricordato infine che la nuova voragine nel bilancio federale che provocherà la “riforma” repubblicana richiederà drastici interventi sulla spesa destinata a popolari programmi di welfare di cui beneficiano decine di milioni di americani, principalmente poveri e anziani.

 

In parte, a causa di una legge di bilancio esistente, i tagli alle tasse destinati ai più ricchi farà scattare tagli automatici a programmi come Medicare o Social Security per svariate decine di miliardi di dollari già dal prossimo anno. Il resto dei tagli alla spesa in questo ambito arriverà poi quasi certamente da nuove iniziative di “riforma” che la maggioranza repubblicana ha da tempo annunciato, ironicamente per evitare l’esplosione del debito pubblico.

 

Se i democratici al Congresso hanno denunciato infine il provvedimento fiscale promosso da Trump e dai repubblicani, il partito di opposizione negli Stati Uniti ha in realtà quanto meno facilitato le manovre della maggioranza.

 

Contro il colossale taglio alle tasse dei ricchi non è stata infatti lanciata nessuna mobilitazione nel paese, mentre i leader democratici, impegnati nella propaganda del “Russiagate”, hanno continuato fino all’ultimo a implorare i colleghi repubblicani per aprire un negoziato bipartisan che, sia pure forse con elementi meno estremi, avrebbe comunque portato a una “riforma” fiscale favorevole al business e ai redditi più alti.