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Berlino. Sarebbe la sede adatta per una “rivoluzione culturale” che proclami la riscrittura degli spazi di lavoro e un nuovo equilibrio tra le donne e gli uomini.  Perché la "Berlinale", insieme ai festival di Cannes e di Venezia, è parte delle più importanti rassegne cinematografiche d'Europa.

 

Ogni suo mossa fa notizia, tanto più su un argomento di grande attualità da qualche mese a questa parte, poiché a partire dal caso Weinstein, in molti paesi le attrici, le operatrici dello spettacolo hanno preso la parola e hanno iniziato a rivelare delle verità scabrose sulla violenza sessuale maschile, come mai era accaduto prima. Quello che è venuto fuori non è una novità, è un qualcosa che abbiamo sempre immaginato, ma che non era stato mai affrontato apertamente e con altrettanta ufficialità.

 

Le donne dello spettacolo hanno fatto luce su quel lato oscuro, rimasto fino all'altro ieri nascosto nelle proteste che si richiamano all' uguaglianza e al rispetto reciproco. Pertanto definirlo un cambiamento epocale, un grande risveglio,  un nuovo capitolo nella storia dell’uguaglianza, non sembra affatto esagerato.

Naturalmente, tutta l’attenzione mediatica di cui sta godendo l'evento si sofferma sulla notorietà delle protagoniste, piuttosto che evidenziare le ragioni vere della loro condanna sul metodo che regola le relazioni tra i sessi da migliaia di anni. 

 

 

Siccome la sessualità, il potere e la violenza sono molto più intimamente intrecciati di quanto si possa credere, c'è il timore che questa bolla che si sta gonfiando non coinvolga soltanto le persone ricche e famose, ma che diventi, come usa dire, un fenomeno di massa. Ragion per cui la parola d'ordine del mainstream è “minimizzare e ridicolizzare”.

 

Ne sa qualcosa l'attrice Claudia Eisinger 33 anni, nata a Berlino che è stata subito stoppata, benché  avesse raccolto in una settimana ventimila firme per chiedere in nome di #MeToo (il movimento nato in risposta allo scandalo Weinstein) che il tappeto rosso della Berlinale diventasse quest'anno di colore nero come gli abiti indossati in segno di protesta dalle star presenti a Los Angeles alla consegna dei Globi d'oro.

 

La risposta della direzione della rassegna berlinese è stata cortese e immediata: “Le tematiche e le iniziative del #MeToo sono importanti e le richieste di frau Eisinger più che comprensibili, ma noi preferiamo contribuire alla discussione con le tematiche dei film in programma”, è più o meno quello che ha risposto Dieter Kosslick, il patron della Berlinale, secondo quanto riferisce il settimanale Stern.

 

Infatti, ci sarebbe molto da discutere sulle figure femminili spesso intrise di sapore patriarcale che finora abbiamo visto sul grande schermo del Berlinale Palast. Il messaggio che inesorabile ne esce è che le donne non sono uguali agli uomini, che in quanto diverse sono bisognose di protezione e quindi il fatto che siano sottomesse agli uomini è più che naturale. Sicché le donne diventano una comoda metafora della fantasia; appaiono più utili  per quello che simbolizzano piuttosto che per le cose che sanno veramente  fare. Così facendo il cinema ha una deteterminante funzione di supporto al messaggio che il mainstream diffonde, perché l'ordine imposto è di preservare la gestione patriarcale del potere.

 

Pertanto le dive di Hollywood unite contro le molestie sessuali hanno sconvolto tutti i piani. Dal momento che esse hanno dichiarato che intendono collegare le vicende della attrici molestate da uomini potenti e costrette a tacere per non essere rovinate, alla sofferenza delle tante donne ogni giorno molestate molestate negli altri settori di  lavoro dove il rapporto di potere è, se possibile, ancora più sproporzionato.

 

L'appello delle star americane  - è cronaca recente - è stato raccolto anche da un folto gruppo di attrici italiane. L'idea comune è quella di mettere a disposizione di altri mondi e di altre persone meno fortunate la grande capacità di far sentire la loro voce che deriva dall'avere accesso alle maggiori "piattaforme" di comunicazione attraverso la fama e la celebrità.

 

Naturalmente come in ogni sconvolgimento rivoluzionario, troveremo tante “ingiustizie” e “ironie”. Per esempio, non sono mancate le critiche di due attrici di lungo corso come Brigitte Bardot e Catherine Deneuve alle violenze sessuali denunciate dalle loro pur autorevoli colleghe. Tuttavia rimane il problema di fondo sul quale fa leva la protesta: la disuguaglianza tra i generi, che non è soltanto un problema di letto.

 

E’ risaputo che le donne - più degli uomini - oggi sperimentano la precarietà con la conseguenza di più basse retribuzioni e d’instabilità economica. Ed è altrettanto noto che la povertà è il risultato dei processi di esclusione sociale, economica e politica fra gli esseri umani, lo si deve alle politiche liberiste e devastanti delle economie globalizzate, dove le donne sono le più colpite, sicché la femminilizzazione della povertà non è uno slogan bensì una realtà anche nel secondo millennio.

 

Siccome l’impoverimento non casca dal cielo, poiché non si nasce poveri come si nasce donna o uomo, bianco, nero o giallo, impoveriti lo si diventa. Le donne ne rappresentano la maggioranza, poiché sono esse per prime a subire gli effetti dei diktat delle principali istituzioni della mondializzazione - Fmi, Wto, Banca mondiale - che non sradicano la povertà, anzi l’accentuano.

 

Nell'elenco dei film in calendario alla Berlinale 2018 si poteva tener conto di questa lacerante realtà, e il patron della Berlinale, Dieter Kosslick, 69 anni, poteva chiudere in bellezza considerato che questa potrebbe essere l'ultima o la penultima direzione. Infatti, il suo contratto scade nel marzo del 2019, subito dopo la 69a edizione del Festival.

 

Peccato, perché le molestie alle attrici potevano essere un buon pretesto per focalizzare l'attenzione del mondo sul legame fondamentale tra lavoro, reddito, benessere, dignità, da una parte, e diritti sociali, civili e politici, dall’altra parte. Così non è stato, ma di certo non saranno i silenzi della Berlinale a fermare la lotta delle donne.  Anzi.