E’ in discussione in Commissione Giustizia del Senato il ddl  “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”, che cambia la normativa del diritto di famiglia in materia di separazione, in particolare  cambia la legge n. 54 del 2006, conosciuta come legge sull' affido condiviso. Ce n’era bisogno? E’ un testo davvero migliorativo? E soprattutto: è nell’interesse primario dei figli?

 

Nessuno può certo negare che negli anni la giurisprudenza abbia talvolta assunto posizioni pregiudizievoli, o siano prevalsi stereotipi o automatismi per cui di norma alla madre sono stati assegnati i figli. E nessuno può certo sottovalutare i cambiamenti avvenuti nel sentimento di genitorialità di tanti giovani padri, che vogliono essere presenti e attenti, responsabili nella vita quotidiana dei figli. Ma la necessità di una migliore applicazione dell’attuale legge sull’affido condiviso non è l’obiettivo del senatore Pillon, primo firmatario di questo disegno di legge. Anzi, l’idea di fondo è la convinzione che nella separazione la donna ottiene, usa e abusa del suo potere genitoriale e che quindi  il padre deve essere tutelato, in quanto  parte fragile. Una richiesta vendicativa, più che rivendicativa.

 

 

L’enfasi del senatore Pillon è esagerata: sostiene che finalmente arriva una riforma “in linea con le conoscenze più aggiornate a livello mondiale”, insomma profondamente moderna, innovativa. E subito qualche dubbio viene, più che giustificato, perché di modernità non vi è traccia nel curriculum pubblico del senatore, divenuto famoso come alfiere del Family Day, per la sua scomunica delle famiglie arcobaleno e per le oscene esternazioni sull’aborto (“Oggi non ci sono le condizioni per cambiare la legge 194, ma faremo presto come l’Argentina” (dove l'interruzione di gravidanza è consentita solo in caso di stupro o rischio per la vita della madre). 

 

Pillon precisa: “Non stiamo facendo né propaganda né maschilismo né femminismo. Sgombriamo il campo da queste categorie che appartengono al passato” . E qui il discorso si fa serio, serissimo.  L’intento è squisitamente  politico, ideologico. Non si tratta di correggere mancate applicazioni o applicazioni inadeguate della legge attuale. L’approccio di tutta la proposta è fintamente neutro, utilizza l’astrazione dei concetti per supportare in realtà la rimozione della questione di genere.

Padri e madri devono essere  concepiti con uguali diritti e con uguali doveri, in quanto essi stessi uguali nelle condizioni della separazione.

 

L’idea della “bigenitorialità perfetta”  - che ispira tutto l’articolato - è un’astrazione tanto folle quanto pericolosa, perché rimuove le disuguaglianze di genere, gli effetti del patriarcato sulla vita concreta delle donne. Invece di considerare la bigenitorialità come pari responsabilità nella gestione di due ruoli diversi e complementari, la si intende come uguaglianza e parità materiale. Si contempla una platea di madri e padri astratti, entrambi benestanti, con lo stesso reddito, con lo stesso tempo occupato nell’attività lavorativa, con due case entrambe accoglienti, con la stessa disponibilità alle attività di cura. Una lettura bugiarda, misogina e fortemente di classe.

 

La realtà è invece quella descritta dai dati dell’ISTAT sulla condizione femminile in Italia, dove le donne restano le meno occupate (l’Italia è penultima in Europa per l’occupazione femminile ed è seconda persino a Malta); perdono o lasciano il lavoro dopo il primo figlio perché i tagli al welfare hanno reso inconciliabile lavoro e maternità; utilizzano la quasi totalità dei congedi parentali (mentre in Svezia sono obbligatori e di pari durata fin dagli anni 70).

 

Il nostro è un paese  dove ancora esiste la più rigida divisione sessuale del lavoro domestico e di cura e dove i maschi italiani sono - tra gli europei - quelli che dedicano meno ore a tali occupazioni. La realtà è quella dei dati sulle nuove povertà di  tanti padri separati, che non possono mantenere una nuova casa, con un reddito non più sufficiente a vivere dignitosamente. Eppure nulla è previsto per rispondere a questi bisogni, a queste criticità. Nessun fondo per politiche di conciliazione né per politiche pubbliche di edilizia popolare. Prevale invece la voce della lobby dei “padri separati”, ben noti alle cronache, ben conosciuti sui media dove hanno spazio e credito. Persone agiate, che non intendono perdere ruoli, poteri, privilegi.

 

Vediamo quindi in sintesi di cosa si tratta. Si introduce la mediazione familiare obbligatoria e a pagamento per le coppie con figli minori che vogliono separarsi (e qui Pillon pensa ai suoi affari ed al suo futuro business, perché egli è contemporaneamente Direttore di un Consultorio familiare che svolge mediazione familiare, svolge mediazione familiare ed è primo firmatario di una proposta di legge che rende la mediazione obbligatoria). L’affido condiviso diventa obbligatorio e rigidamente normato, con parameri standard, e i genitori sono obbligati a sottoscrivere un “piano genitoriale”; si impongono tempi paritetici di frequentazione dei figli (minimo 12 giorni di pernottamento) senza alcuna distinzione di età o condizioni di vita. Con l’obbligo di questo “piano genitoriale” si introduce anche la novità rispetto alla modalità di mantenimento dei figli, che sarà di regola quella diretta. Ciascun genitore provvederà  personalmente  alle spese di mantenimento ordinario dei figli durante i periodi che i bambini trascorreranno con loro.

 

Si abolisce quindi l’assegno di mantenimento proprio quando i dati dicono che i processi penali per il mancato pagamento dell’assegno ai figli sono aumentati del 20 per cento negli ultimi cinque anni. Rispetto all’assegnazione della  casa coniugale, si prevede l’obbligo per chi mantiene la casa familiare, “nell’interesse dei figli”, di versare un canone d’affitto.  Si prevede che il genitore che non abbia la possibilità di ospitare il figlio in spazi adeguati non ha il diritto di tenerlo con sé secondo tempi paritari.

 

Obbligatorietà e rigidità ispirano tutta la legge ma non aiutano certo a contenere il conflitto genitoriale e soprattutto a costruire percorsi “nel superiore interesse del minore”, che dovrebbe essere l’obiettivo primario della legge. Ogni separazione è infatti diversa dall’altra e saggezza vorrebbe che di ogni specificità si tenesse conto.

 

Ma davvero si può credere che sia possibile usare comportamenti standard, sottoscrivere un piano genitoriale quasi fosse un contratto, con clausole e postille? Davvero si è convinti che  il bambino sia più sereno a dover stare sempre con lo zainetto pronto, per andare da una casa all’altra? E se un genitore abita lontano dal suo quartiere, dai suoi amici, dal campo di calcetto o dalla sua amica del cuore? E ancora: con il mantenimento diretto, si considera davvero educativo far vivere al bambino differenti stili di vita, quello magari di un papà super ricco e di una mamma precaria e squattrinata, senza mantenergli la continuità di un benessere? Si può confondere l’amore per un figlio con la sua proprietà?

 

Obbligatorietà e rigidità ispirano tutta la legge ma non aiutano certo a contenere il conflitto genitoriale e soprattutto a costruire percorsi “nel superiore interesse del minore”, che dovrebbe essere l’obiettivo primario della legge. Più che l’interesse del minore o più che  i diritti alla genitorialità, si tratta evidentemente di ripristinare altri diritti, “diritti proprietari” di padri benestanti che non vogliono più perdere la casa di famiglia e non vogliono più pagare l’assegno di mantenimento.

E infine, la misura raccapricciante relativa all’“alienazione parentale” che determina la perdita dell’affidamento del figlio, vecchio cavallo di battaglia dell’attuale ministra Giulia Bongiorno  che voleva addirittura introdurre il reato di alienazione parentale e che qualche tempo fa parlava di PAS, sindrome da alienazione parentale (Parental Alienation Syndrome).

 

Occorre allora ribadire alcune fondamentali questioni. Innanzitutto la “sindrome” non è una sindrome, non è mai stata riconosciuta dagli organismi scientifici, dall’OMS né dal Ministero della Salute, come presunta malattia psichiatrica della quale possono soffrire i figli delle coppie separate. Altra cosa ovviamente sono le situazioni, queste sì esistenti, in cui genitori spingono i figli ad odiare l’ex partner, o a battersi in “contese di fedeltà” tra mamme e papà. Esistono insomma  separazioni molto conflittuali dove i figli vengono usati come “arma” per ferire l’altro coniuge, ma la PAS non esiste. E tra l’altro sarebbe ben strano che esistesse una malattia che gli ospedali non vedono, che i medici non curano e che invece è diffusa nei tribunali!

 

Nel ddl Pillon invece ritorna la PAS, anche se viene chiamata alienazione parentale, anche se  viene  camuffata come supposta tutela dei “diritti relazionali” dei minori. Secondo l’articolo 17, “quando la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale, il giudice, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più   provvedimenti …, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo a uno di essi».

 

Quindi quando un bambino rifiuta il rapporto con uno dei genitori, il magistrato deve sempre supporre che la colpa sia dell’altro genitore. L’ascolto del minore non è pre-condizione affinché il giudice possa decidere al meglio. E’ invece assolutamente essenziale far trasferire il minore in una casa famiglia in attesa che il “mediatore familiare” ricostruisca la sua relazione con il padre.

 

Ma c’è di più: questa misura si considera valida anche se esistono situazioni di violenza familiare, che mai il senatore Pillon cita. Anzi, mentre dichiara che chi “non fa niente per togliere questo rifiuto che si sta creando nel figlio” è come “se lo violentasse”, sulla violenza vera neanche una parola; cioè esiste solo la violenza “in generale”, non la violenza contro le donne e i bambini nel contesto di una società ancora profondamente patriarcale.

 

Addirittura   dichiara che la famiglia è luogo di prevenzione della violenza, che banalizzare la famiglia porta all’aumento della violenza tra i partner, che la violenza si annida nelle relazioni fugaci. E prevede che anche nei casi di violenza si debba procedere con l’affido congiunto e con la mediazione familiare, contro ogni evidenza, contro le precise raccomandazioni della Convenzione di Istanbul che ammonisce che la violenza domestica non è un conflitto tra coniugi ma violenza di genere.

 

La spinta della lobby dei padri separati si è fatta sentire, anche per riconquistare il terreno perso nelle loro cause di separazione, loro che -in gran parte- sono stati stalker, alcuni con condanne definitive e anche presunti pedofili sfuggiti al carcere grazie alla PAS.

 

Con questo ddl la ricaduta sulla libertà delle donne sarebbe pesante. Mentre i dati sulla violenza di genere sono quotidiani e la violenza compare fra i primi posti nelle cause di separazione e divorzio, le donne sarebbero spinte nel silenzio, loro con i loro figli, prigioniere nelle famiglie patriarcali che il senatore Pillon vuole difendere. 

 

Benissimo ha fatto la Rete dei centri antiviolenza a lanciare la petizione per il ritiro di questo ddl, perché è un testo sbagliato, pericoloso, ostile alle donne e ai bambini, che riporta il diritto di famiglia indietro di 50 anni. In nome del padre padrone.

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