In un clima politico già abbastanza acceso, la morte della giudice “liberal” della Corte Suprema degli Stati Uniti, Ruth Bader Ginsburg, ha inserito un nuovo infuocato argomento di scontro che potrà avere esiti non del tutto prevedibili a poche settimane dalle elezioni presidenziali. Che Trump e i repubblicani riescano alla fine a ratificare in fretta e furia la nomina di un successore, senza alcun dubbio con inclinazioni ultra-reazionarie, appare estremamente probabile, nonostante i possibili ostacoli, ma la determinazione della Casa Bianca a sfruttare il decesso, assieme alle resistenze dei democratici, potrebbero riflettersi sull’esito del voto e sugli equilibri già precari del sistema “democratico” americano.

 

L’aspetto più deprimente del dibattito scatenato dalla morte venerdì scorso della giudice Ginsburg per le complicazioni di un cancro al pancreas è la rapidità con cui l’amministrazione Trump e soprattutto gli ambienti del fondamentalismo cristiano si sono mobilitati per mettere in moto il meccanismo che potrebbe modellare la composizione della Corte Suprema nei prossimi decenni.

Per comprendere l’importanza della posta in gioco con la scelta del candidato a occupare il seggio vacante nel più alto tribunale americano, è utile ricordare l’importanza di quest’ultimo e gli equilibri attuali al suo interno. I nove giudici della Corte Suprema USA intervengono ogni anno in un numero relativamente ristretto di cause provenienti dai circuiti inferiori, scegliendo quasi sempre in maniera accurata quelle con le maggiori implicazioni politiche. Ugualmente di natura essenzialmente politica è anche la scelta dei casi da respingere, fatta peraltro senza che la Corte rilasci dichiarazioni che ne spieghino la decisione.

Prima della morte di Ruth Bader Ginsburg, una maggioranza di 5 giudici a 4 garantiva l’orientamento conservatore del tribunale. Questo consolidamento a destra della Corte è avvenuto nel corso del primo mandato di Trump. Nel 2016, la morte improvvisa del giudice ultra-reazionario Antonin Scalia aveva dato la possibilità al presidente di nominare un giovane successore – Neil Gorsuch – attestato su posizioni pressoché identiche a quelle del defunto. Nel 2018, inoltre, il ritiro volontario del giudice “centrista” Anthony Kennedy, considerato per molti anni il voto decisivo nelle cause più equilibrate, ha spostato saldamente a destra il baricentro della Corte. Da allora, tuttavia, il presidente John Roberts si è in più di un’occasione schierato con i giudici “progressisti”, in modo da evitare eccessive scosse derivanti da verdetti troppo radicali in alcune cause politicamente sensibili.

Essendo la carica dei giudici della Corte Suprema a vita, la sostituzione di un membro 87enne “liberal” con un 40enne o un 50enne conservatore potrebbe teoricamente assicurare una solida maggioranza a favore della destra per parecchio tempo. In un quadro simile, nel mirino dei futuri sei giudici reazionari ci sarebbe in primo luogo, anche se non solo, il diritto costituzionale all’interruzione di gravidanza, fissato dalla sentenza nel caso “Roe contro Wade” del 1973.

Con il corpo di Ruth Bader Ginsburg ancora caldo, il presidente Trump e i suoi sostenitori hanno subito fatto sapere che la nomina del nono giudice avverrà in pochi giorni e che il Senato, organo costituzionalmente incaricato della conferma e attualmente a maggioranza repubblicana, finalizzerà il procedimento nelle prossime settimane. Preferibilmente, la ratifica della nomina dovrebbe avvenire prima delle elezioni del 3 novembre, per evitare imbarazzi politici nel caso Trump dovesse essere sconfitto. In linea teorica, anche con una vittoria di Joe Biden, con o senza un cambio di maggioranza al Senato, la leadership repubblicana potrebbe agire nelle settimane successive e prima dell’insediamento dell’eventuale nuovo presidente e del nuovo Congresso ai primi di gennaio.

L’ovvia polemica esplosa nel fine settimane negli Stati Uniti è sull’opportunità, da parte di un’amministrazione attesa a breve dal giudizio degli elettori, di procedere con una nomina di questo rilievo. Soprattutto perché quattro anni fa, alla morte del già citato giudice Scalia, i repubblicani presero una decisione totalmente opposta. Il decesso di Scalia avvenne nel mese di febbraio, ma i vertici del Partito Repubblicano sostennero che era inappropriato anche solo considerare il candidato proposto da Obama, il giudice Merrick Garland, perché le elezioni erano ad “appena” nove mesi di distanza e il compito avrebbe dovuto spettare al futuro presidente.

Ora, prevedibilmente, gli stessi leader repubblicani sono al contrario decisi a sfruttare l’occasione e ad accelerare l’iter di conferma del candidato che Trump sceglierà forse già questa settimana per succedere a Ruth Bader Ginsburg. L’opportunismo politico è a dir poco enorme, ma tutt’altro che sorprendente. I democratici avrebbero fatto peraltro lo stesso a parti invertite. Biden, infatti, ritiene oggi che Trump non debba nominare un nuovo giudice prima del 3 novembre, ma, nel ruolo di vice-presidente, quattro anni fa era su posizioni opposte. A peggiorare le cose, nel 1992 Biden era invece nuovamente contrario alla nomina di un giudice della Corte Suprema nell’anno finale del mandato presidenziale, in quel caso da parte di George H. W. Bush.

Al Senato di Washington, il Partito Repubblicano detiene una maggioranza di 53 a 47 e due senatrici “moderate”, Susan Collins dello stato del Maine e Lisa Murkowski dell’Alaska, hanno già dichiarato che non approveranno una nomina alla Corte Suprema prima del 3 novembre. Il numero uno repubblicano, Mitch McConnell, può così permettersi solo altre due defezioni in caso di voto in aula sul candidato selezionato da Trump. Un certo numero di senatori repubblicani non si è ancora espresso in proposito e alcuni hanno poca affinità con il presidente Trump, a cominciare dall’ex candidato alla Casa Bianca, Mitt Romney (Utah). È ad ogni modo probabile che Trump vedrà alla fine installato il proprio giudice, perché l’importanza di conquistare una solida maggioranza conservatrice alla Corte Suprema è un obiettivo fondamentale a cui puntano anche gli oppositori del presidente all’interno del Partito Repubblicano.

Una corsa verso la ratifica della nomina prima del voto di novembre comporterebbe comunque possibili contraccolpi negativi per il presidente e i repubblicani. Storicamente, le audizioni dei candidati alla Corte e il voto in aula hanno richiesto in media circa 70 giorni, mentre alle presidenziali ne mancano oggi appena 42. Oltretutto, in questo periodo il Congresso dovrebbe essere impegnato nel discutere e approvare altre legislazioni di estrema urgenza, come un nuovo pacchetto di aiuti per contrastare gli effetti del Coronavirus e il prossimo bilancio federale per evitare il blocco dei servizi pubblici.

Dal punto di vista elettorale ci sono altre considerazioni non esattamente trascurabili. Alcuni senatori repubblicani sono nel pieno della campagna elettorale per la riconferma e, con un voto a favore di un giudice di estrema destra in una situazione così controversa, potrebbero perdere qualche consenso tra gli elettori moderati. D’altro canto, l’impegno che metteranno Trump e la destra del Partito Repubblicano dovrebbe servire a motivare gli ambienti ultra-conservatori e anti-abortisti.

Almeno due ulteriori fattori legati a situazioni contingenti influiscono sui propositi di Trump di insediare un nuovo giudice alla Corte Suprema in tempi brevissimi. In primo luogo, una maggioranza conservatrice di 6 a 3 potrebbe assicurare al presidente in carica un verdetto favorevole nell’eventualità tutt’altro che remota che i risultati delle elezioni non siano chiari e si renda necessario un intervento dei tribunali, come avvenne vergognosamente nel 2000 nel caso della Florida tra George W. Bush e Al Gore.

Inoltre, dopo appena due settimane dalla chiusura delle urne inizieranno le udienze alla Corte Suprema su una nuova causa contro la riforma del sistema sanitario USA di Obama, presentata da un gruppo di procuratori di stato repubblicani. La presenza di un giudice di destra al posto della Ginsburg determinerebbe probabilmente un ribaltamento della maggioranza che, per 5 voti a 4, nel 2012 confermò la legittimità di “Obamacare”.

Secondo la stampa americana e fonti interne all’amministrazione Trump, la favorita per la nomina sarebbe il giudice Amy Coney Barrett della corte d’appello di Chicago. Quest’ultima è di fede cattolica e molto popolare tra i conservatori perché irriducibilmente contraria al diritto all’aborto. In seconda battuta, Trump potrebbe promuovere il giudice della Florida, Barbara Lagoa. In questo caso, la scelta indicherebbe un certo interesse per il voto cubano-americano in uno degli stati decisivi per la conquista della Casa Bianca.

A proposito della morte di Ruth Bader Ginsburg, oltre ai riflessi politici è interessante osservare le reazioni in questi giorni del Partito Democratico e degli ambienti “liberal” d’oltreoceano. In maniera quasi unanime, i politici e la stampa progressista o presunta tale hanno dato della giudice un’immagine quasi eroica e inequivocabilmente iconica, per la sua opera a favore sia dei diritti democratici sia dell’uguaglianza di genere. La questione della sua successione è poi trattata come se da essa dipendesse la sorte stessa della traballante democrazia americana, segno quest’ultimo della profondissima crisi in cui questo paese si sta dibattendo.

Non c’è dubbio che l’anziana giudice abbia assunto, soprattutto nel recente passato, posizioni apertamente e talvolta polemicamente in contrasto con la maggioranza di destra in alcuni verdetti dal carattere anti-democratico. Va però anche sottolineato come la Ginsburg si sia più volte schierata con i colleghi sul fronte ideologico opposto, votando ad esempio a favore dell’entrata in vigore del famigerato divieto d’ingresso negli USA per i cittadini di alcuni paesi musulmani voluto da Trump nel 2017.

Al momento della sua nomina nel 1993, infine, Ruth Bader Ginsburg era considerata una giudice moderata e tendente al conservatorismo. Il presidente Clinton l’aveva scelta come candidata di compromesso gradita ai repubblicani e avrebbe infatti incassato la ratifica del suo incarico con una schiacciante maggioranza bipartisan al Senato. Il fatto che oggi, alla sua morte, venga celebrata come un modello quasi ineguagliato di progressismo non fa che confermare come negli ultimi tre decenni il baricentro ideologico della Corte Suprema, così come della politica americana in generale, si sia spostato drammaticamente verso destra.

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