Le porte girevoli fra politica e finanza sono una delle piaghe più purulente e ignorate della democrazia. Ma hanno una caratteristica che le terrà in vita per sempre: mettono d’accordo tutti gli schieramenti. E così può accadere che uno come Pier Carlo Padoan - già vicesegretario dell’Ocse, ministro dell’Economia dei governi Renzi e Gentiloni, nonché deputato nell’attuale legislatura - possa dimettersi da Montecitorio per essere cooptato nel Cda di Unicredit, con la prospettiva di diventarne presidente. E accade anche che il Pd, pur presentandosi come un partito di sinistra (anzi, centrosinistra), non abbia nulla da obiettare. Manca solo che qualcuno gli faccia le congratulazioni per l’avanzamento di carriera.

L’unico ad aver attaccato con forza la piroetta dell’ex ministro è stato Alessandro Di Battista, che però ha fatto la fine del bambino della fiaba “Al lupo! Al lupo!”. Avendo passato gli ultimi anni a starnazzare fesserie a ciclo continuo, Di Battista non ha alcuna credibilità. Anzi, i suoi attacchi finiscono paradossalmente per aiutare Padoan a presentare la propria scelta come moralmente giusta e coerente con l’etica delle istituzioni.

Solo che, per una volta, Di Battista ha ragione. In linea di principio, quello di Padoan è davvero un conflitto d’interessi gigantesco. Le anime belle del liberismo camuffato ribattono che, a livello formale, la scelta dell’ex ministro è legittima. Ma bisogna essere dei campioni d’ipocrisia per attaccarsi a una giustificazione di questo tipo. Se oggi si può saltare dalla Camera dei Deputati al vertice della seconda banca italiana è solo perché nessun governo ha mai varato una vera legge sul conflitto d’interessi. Se ne parla da decenni, in scia alla tonnellata d’interessi confliggenti di Silvio Berlusconi, ma anche quando l’ex Cavaliere è uscito dal cono di luce nessun governo di centrosinistra è intervenuto a riempire questa lacuna del nostro ordinamento giudiziario. E ora abbiamo capito il perché.     

Le anime belle di cui sopra obiettano anche che, per configurare un vero conflitto d’interessi, occorre che due cariche in contrasto siano ricoperte contemporaneamente. Come nel caso di Berlusconi, che era allo stesso tempo legislatore e imputato, presidente del Consiglio e capo de facto di un impero mediatico controllato attraverso i familiari.

Certo, se lo paragoniamo al dominus di Arcore, Padoan è un boy-scout. Ma non serve arrivare alle vette berlusconiane (peraltro inarrivabili) per essere comunque dalla parte del torto.

È ovvio che Padoan non possa cumulare le cariche di deputato e banchiere: ci mancherebbe. Ma il punto è un altro, e cioè che la nomina al vertice di Unicredit getta un’ombra sul modo in cui Padoan ha gestito le responsabilità pubbliche che gli sono state attribuite. A questo punto, qualsiasi cittadino è legittimano a chiedersi se - come ministro del Tesoro prima e deputato poi - Padoan abbia agito pensando al popolo o alle proprie ambizioni di carriera nell’impresa privata. E ci fermiamo qui alle questioni di principio, senza approfondire le voci secondo cui Padoan sarebbe destinato a fungere da strumento nelle mani dell’amministratore delegato di Unicredit, Jean Pierre Mustier, per la fusione a costo zero con Mps e la successiva creazione di una subholding che controlli solo la maxi-banca italiana, da vendere infine a un gruppo francese.

Dopo di che, c’è anche un problema di decenza. Ora che il Paese deve affrontare la crisi economica più grave dal dopoguerra, ora che c’è da mettere a punto un piano difficilissimo su come usare i soldi del Recovery Fund, ora che il Covid torna a mordere e mette il Paese a rischio di un secondo lockdown, viene da pensare che, in Parlamento, il contributo di un economista con il pedigree di Padoan sia considerato importante. Lui però, proprio adesso, se ne va. Ha deciso che è arrivato il momento di guadagnare soldi veri. Quale senso delle istituzioni dimostra un uomo che fa una scelta simile?

Di sicuro, dimostra a tutti - una volta di più - che la classe politica italiana non ricorda l’articolo 54 della Costituzione, quello che prescrive di adempiere alle funzioni pubbliche con onore. A meno di non credere che - come disse l’Avvocato parlando della Fiat - quel che è bene per Unicredit è bene per l’Italia.

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