Stampa

La riforma fiscale del governo Draghi è iniqua, perché consiste quasi esclusivamente in una modifica degli scaglioni Irpef. Un intervento che, per sua natura, avvantaggia chi ha di più. E a poco serve la revisione delle detrazioni aggiunta come foglia di fico: in teoria dovrebbe aumentare l’effetto redistributivo, ma in pratica non ci riesce. Anche perché gli italiani più poveri non pagano l’Irpef e quindi sono esclusi a monte dall’operazione.

Il nuovo sistema, introdotto con un maxiemendamento alla legge di Bilancio, inizierà a farsi sentire su pensioni e buste paga a partire da marzo. L’impianto, in sintesi, è questo: il numero degli scaglioni scenderà da cinque a quattro e le due aliquote centrali si ridurranno di qualche punto (dal 27 al 25% sulla fascia di reddito tra 15 e 28mila euro e dal 38 al 35% su quella fra 28 e 50mila euro); l’aliquota più alta, invece – quella del 43%, che oggi si applica oltre i 75mila euro – scatterà sulla parte di reddito che supera i 50mila euro.

La domanda è una sola: chi ci guadagna di più? Stando a una simulazione dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio – non proprio un covo di trozkisti – il risparmio fiscale più significativo (765 euro) si avrà nella fascia di reddito fra 42mila e 54 mila euro. Si tratta dei contribuenti che incassano da 3.500 a 4.500 euro lordi al mese: una fetta di popolazione che costituisce il 3,3% della platea, ma riceve il 14,1% delle risorse, pari a un miliardo.

 

Per chi è più ricco, il vantaggio diminuisce: 490 euro fra 54 e 78mila euro di reddito, 268 euro fra 78 e 102mila e 269 euro oltre i 102mila.

I redditi medio-bassi, invece, otterranno ancora meno: 204 euro fra 18 e 24mila euro, 155 euro fra 24 e 30mila e 330 euro fra 30 e 42mila.

Quanto alla fascia di reddito più bassa, quella fra 6 e 12mila euro, il risparmio annuo sarà di 64 euro, che saliranno a 229 fra 12 e 18mila euro grazie all’aumento delle detrazioni.

L’Ufficio Parlamentare di Bilancio si concentra anche sulle categorie professionali, sottolineando che lo sconto fiscale per i dirigenti sarà in media di 368 euro; oltre il doppio, in termini assoluti, rispetto a quello concesso agli operai (162 euro). Gli impiegati otterranno invece un taglio delle imposte pari a 266 euro.

Nel complesso, fra coloro che pagano l’Irpef, la metà incasserà un beneficio annuo inferiore a 185 euro, mentre per il 12,5% il risparmio sarà superiore a 500 euro.

La riforma vale in tutto poco meno di sette miliardi, ma le fette della torta non hanno la stessa ampiezza: sempre secondo l’Upb, al 50% più povero delle famiglie che pagano l’Irpef è destinato “circa un quarto delle risorse complessive (1,9 miliardi), mentre il 10% più ricco beneficia di più di un quinto delle risorse (1,6 miliardi)”.

Poi ci sono gli incapienti, ossia il 20% di tutte le famiglie italiane, che non guadagnano abbastanza per pagare l’Irpef e quindi non otterranno un centesimo di quei sette miliardi. “Se le future politiche sociali vorranno sostenere i redditi delle famiglie più povere – chiosa l’Ufficio Parlamentare di Bilancio – dovranno affidarsi a strumenti diversi dall’Irpef, quali trasferimenti monetari diretti o meccanismi di imposta negativa”.