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di Fabrizio Casari

Una giornata di campionato giocata quasi ovunque sotto una pioggia battente, che ha dimostrato come i pronostici servono solo per essere contraddetti dai risultati. Diverse le vittorie esterne affatto prevedibili; prima tra tutte quella della Juventus contro il Milan al Meazza, quella della Lazio in casa del Palermo e quella dell’Inter incerottata contro il Genoa a Marassi, per non dire della trasferta vittoriosa del Napoli a Brescia, dell’Udinese a Bari e della Sampdoria a Cesena, pure se in recupero. Insomma, gli scommettitori più audaci avranno avuto di che festeggiare.

La gabbia di Brocchi e Ledesma a Pastore ha bagnato le polveri del Palermo, che quando non gode delle invenzioni straordinarie del fuoriclasse argentino si riduce ad essere una discreta squadra di calcio, anche se definire discreta qualcosa di Zamparini può sembrare un ossimoro. Ma il fatto è che i biancocelesti hanno dato una lezione di tattica ai rosanero e la cosa era tutt’altro che semplice. Magari non sarà una fuga defintiva, ma intanto la classifica vede la Lazio ancora al comando con 22 punti, seguita dall’Inter a diciotto e dal Milan a 17, con alle spalle la Juventus in coppia con il Napoli a 15. Più scontate le vittorie casalinghe del Cagliari contro il Bologna e della Roma contro il Lecce, che almeno riporta un minimo di serenità nell’ambiente giallorosso.

Fino a un certo punto comunque, perché c’è da dire che la reazione isterica di Francesco Totti dopo la sua espulsione certifica una volta di più l’estrema immaturità psicologica e la fragilità di nervi del capitano della Roma. Sarà anche un momento delicato per il giocatore e per il club, ma quello contro il Lecce é il cartellino rosso numero 14 in carriera ed è chiaro che le giustificazioni valgono solo per i suoi tifosi e le radio a sostegno. Totti salterà il derby e, probabilmente, anche le successive due giornate; non solo per il rosso (diretto) ma soprattutto per la reazione spropositata e ingiustificabile all’uscita dal terreno di gioco.

Certo, vedremo all’opera i perdonatori ufficiali e ufficiosi, quelli attenti al business della comunicazione che ha come target il tifo romanista; né più né meno di quelli che a Torino argomentavano la settimana scorsa la richiesta di non sanzionare Krazic per condotta antisportiva. Del serbo si sosteneva che è “un bravo ragazzo” - ma l’accusa non era di rapina a mano armata, ma di condotta antisportiva - e di Totti si sosterrà che è stato provocato: ma stavolta non potrà accusare Balotelli e non potrà dire di aver difeso “l’onore di Roma”, per giunta senza che la città glielo abbia mai chiesto.

La rottura tra il presidente della Sampdoria Garrone e Cassano ha prodotto i commenti che ci si attendeva. Cassano è stato messo fuori rosa e gli “esperti di mercato” (categoria estranea sia all’esperienza, sia al mercato) sono già a distribuire quote sulla futura collocazione di Fantantonio da Bari. Sulla lite tra il giocatore ed il patron si sa poco. Da un lato c’è chi ha sottolineato come Cassano non riesca ad emanciparsi da se stesso, riproducendo cassanate anche quando sembrerebbe aver definitivamente abbandonato l’impervia strada del suo ego infantile che gli ha impedito una carriera altrimenti straordinaria. Dall’altro lo stesso giocatore, che ha detto di aver chiesto scusa a Garrone ma ribadisce il rifiuto a presenziare ad una serata con Garrone per non meglio precisati problemi in famiglia.

Stando alla ricostruzione fatta dalla Gazzetta dello Sport, quali che siano i problemi che ognuno ha, quelle di Cassano sono state offese gravi e pesanti, prodotto autentico del tasso di nota eleganza del giocatore. Davvero nel caso di Cassano sembra potersi dire come la natura sia stata generosa nel fornirgli piedi straordinari ma che purtroppo si sia fermata lì. Peccato. Ad ogni modo, la Samp, ove non dovesse reintegrare Cassano, è pronta a rimetterci 18 milioni di Euro subito, salvo recuperarli in mancati stipendi e premi.

Il Milan si avvia al confronto con il Real Madrid in condizioni tutt’altro che eccelse. Non bastano i gol di Ibrahimovic (peraltro non frequentissimi) e l’infortunio di Thiago Silva, la scarsa forma di Pato, i dubbi su Robinho e le perplessità su Ronaldinho indicano nei brasiliani il ventre molle della squadra. Un assetto ancora da trovare, una fisicità ridotta e, soprattutto, una difficoltà nel creare gioco e fantasia che pochi avevano previsto. Partita delicata, quindi e non solo per il blasone dell’avversario, la società più vittoriosa di tutti i tempi. Certo, giocare al Meazza non è come giocare al Bernabeu, ma Mourinho al Meazza è di casa e non c’ha mai perso.

Ma le caratteristiche di questo turno, oltre ai numerosi segni “due” sulla schedina, sono stati gli infortuni verificatisi in campo. In primo luogo quelli più duri, traumatici, di Martinez e De Ceglie in Milan-Juventus; poi quelli muscolari di Julio Cesar e Cambiasso in Genoa-Inter. Per i due giocatori juventini si parla di stop di due e tre mesi, mentre per i nerazzurri si tratta dell’ennesimo stop. Quella degli infortuni all’Inter sta diventando il problema principale di Benitez. Sono certamente prodotto di un’annata straordinariamente intensa sotto il profilo atletico e psicologico, certo, ma anche frutto di un cambio dei metodi di allenamento.

La preparazione atletica che aveva scelto Mourinho negli ultimi due anni prevedeva solo il lavoro con il pallone tra i piedi: il resto era tattica e studio dell’avversario. Metodo intelligente, giacché è perfettamente inutile lavorare sui carichi muscolari quando si gioca ogni tre giorni e ci si aggiungono anche gli impegni con le nazionali. Chiaro che il lavoro di scarico non può essere svolto e la muscolatura indurita è esposta pericolosamente sia ai traumi che al freddo e all’umidità.

Non si capisce perché Benitez abbia ritenuto di riportare la squadra in palestra, visto che - tolto Coutinho o Snejider - l’Inter è muscolarmente dotata. Semmai il limite strutturale è l’età media molto alta, ma proprio questo imporrebbe un lavoro atletico impostato sulla brillantezza e non sul fondo. A riprova di ciò, la squadra gioca lentamente, non è certo la velocità la sua caratteristica.

Le difficoltà dei nerazzurri in campo sono evidenti, ma questo sarà materia per un ragionamento da farsi più avanti. Per adesso c’è che all’Inter è in scena un’incredibile catena d’infortuni, sono ormai 15 i giocatori che hanno frequentato l’infermeria in questi due mesi: Julio Cesar, Cordoba, Samuel, Chivu, Zanetti, Cambiasso, Mariga, Stankovic, Thiago Motta, Milito, Pandev, Suazo, Mancini. Solo Lucio, Eto’o, Biabiany e Coutinho non si sono mai fermati. Ma l’aspetto peggiore è che ben sette di essi si sono fermati per il bicipite femorale, cosa che testimonia proprio quanto esposto precedentemente.

A Londra, contro il Tottenham, mancheranno Julio Cesar, Cambiasso, Stankovic, Thiago Motta e Mariga. Il terso portiere sarà Alberto Gallinetta, classe ’92, come Coutinho. Il giovanissimo Biabiany si sentirà quasi uno zio, visto che di anni ne ha 22. E tra i ventuno giocatori partiti per l’Inghilterra molti non sono certo al top, come Milito, Pandev e Lucio.

Benitez farà bene a cambiare direzione, perché la relazione tecnica inviata al presidente, che come minimo è seccato, non è che un’analisi tesa a difendere scelte già rivelatesi sbagliate o, quanto meno, incaute. A Londra l’Inter non potrà comunque perdere, pena rischiare di finire il girone al secondo posto e ritrovarsi quindi in una situazione complicata, affrontando al girone successivo le squadre piazzatesi al primo posto, cioè le più forti. Sì, dovrà darsi da fare Benitez, prima che Moratti non interiorizzi definitivamente di aver commesso un errore nello scegliere il pacioso spagnolo per continuare a vincere dopo la grande fuga dello Special One di Setubal.