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di Fabrizio Casari

Due i risultati roboanti di questa domenica pallonara: la Juventus che impiega 17 minuti per umiliare la Roma e l’Inter che, dismessi i panni della vittima sacrificale, batte una Fiorentina da molti indicata come squadra più in forma del campionato. La vittoria del Napoli, che ha in Cavani e Hamsik la coppia di gioielli da sfoggiare, rimette i partenopei al primo posto insieme ai bianconeri e quella della ritrovata Lazio, terza insieme all’Inter, disegnano una classifica in qualche modo abbastanza coerente con quanto si è visto in queste prime sei giornate. La giornata di ieri è però è caratterizzata, appunto, dalla disfatta della Roma e dal ritorno dell’Inter.

Cominciamo da Torino, dove la squadra di Conte allenata da Carrera impone ritmo e, conscia delle lacune difensive di Zeman, infila verticalmente una Roma che sembra insistere a voler giocare come se sulla panchina sedesse ancora Luis Enrique. Perché è proprio questo il problema di fondo dei giallorossi: atteso che un certo squilibrio difensivo è comprensibile nelle squadre allenate da Zeman, è la modalità del gioco con il possesso palla che non somiglia affatto al modulo dell’allenatore boemo.

Verticalizzazioni improvvise e sovrapposizioni sulla fascia in questa Roma lasciano il posto ad una serie infinita di passaggi laterali che si rivelano inutili e pericolosi quando gli avversari pressano insistentemente in ogni zona del campo.

Puntare con regolarità il giocatore in possesso della palla e stringere sui suoi laterali così da rendere difficile anche solo lo scarico della palla, per non dire il passaggio, significa giocare ogni pallone sull’uno contro uno e, ove la palla venga riconquistata, proporre un contropiede velocissimo e spesso letale.

La Juventus è maestra nel pressing asfissiante, nella velocità e nell’aggressività di gioco; gioca a uno o due tocchi e sceglie la via verticale o l’allargamento sulle fasce con l’obiettivo di arrivare in area con tre o quattro passaggi. Pensare di opporre un gioco fatto da ragnatele di passaggi significa perdere prima di cominciare.

Detto questo, la Roma ha evidenziato non solo i suoi limiti difensivi (qui sempre segnalati), ma anche una condizione fisica non brillante e un gioco macchinoso e lento. Zeman ha detto che non ha la squadra in mano e questa è un’affermazione che mai dovrebbe fare un allenatore; ma certo è che si dimostra come il boemo dia il meglio di sé quando ha a disposizione una decina di giovanissimi di talento e un paio di giocatori più esperti. Ha bisogno di giocatori che seguano in tutto e per tutto le sue idee e corrano incessantemente per tutto il campo.

Quando non ci sono queste due pre-condizioni, parlare di schemi diventa secondario. E’ ora necessario che la Roma ritrovi in primo luogo la sua unità interna e risolva alcuni equivoci (Taxidis e Lamela in primo luogo) perché, al netto delle vittorie a tavolino, la classifica parla chiaro: in cinque partite giocate, sono cinque i punti realizzati. Una media retrocessione.

L’Inter ha sfatato il tabù negativo di San Siro e lo ha fatto giocando discretamente e sprecando molto. Il fatto che Viviano sia stato il migliore in campo della Fiorentina, la dice lunga sullo svolgimento della partita; Milito si è letteralmente divorato tre possibili gol (il primo dopo aver regalato alle pupille di chi vedeva una magnificenza fatta di stop, sombrero e tiro al volo potentissimo che si stampava sulla traversa). Se il primo tempo fosse finito 4 a 0 per i nerazzurri nessuno avrebbe potuto obiettare.

Troppo inerte l’attacco viola e troppo poco il suo centrocampo, forse in debito di idee e ossigeno dopo la partita eccellente contro la Juve nel turno precedente. La difesa a tre e il centrocampo a cinque sembrano decisamente un assetto migliore per i ragazzi di Stramaccioni, ma soprattutto in una migliore brillantezza fisica va ricercato il motivo della rigenerazione. In prospettiva la squadra può solo crescere, dato l’ormai prossimo rientro di Palacio  e l’assenza di Snejider.

Molti commentatori hanno provato a chiedere a Stramaccioni se sia proprio l’assenza del nazionale olandese a favorire una squadra più solida e con meno doppioni.

Un fatto è certo: Cassano e Snejider giocano nella stessa zona di campo, ma l’olandese - che non è un trequartista, né un centrocampista classico, bensì una seconda punta anomala - non ha la stessa capacità di servire le punte del barese. Con l’assistenza del quale Pazzini alla Samp e Ibra nel Milan sono sempre risultati letali.

Per di più Cassano segna, non si limita a far segnare e, addirittura, nella sua versione interista copre bene la sua zona di campo. Contro la Fiorentina, Roncaglia ha dovuto esimersi dalle sue avanzate proprio perché la presenza e il movimento di Cassano glielo sconsigliava.

Dunque, terminato anzitempo quanto nettamente il dibattito su chi, tra inter e Milan, avrebbe guadagnato dallo scambio Pazzini-Cassano, è semmai il ruolo di Sneijder da ripensare il prossimo lavoro di Stramaccioni. Proprio l’assenza dell’olandese, in effetti, sembra sia la chiave per la riduzione della confusione in campo e l’alternativa allo sbocco unico della costruzione del gioco.

D’altra parte, andrebbe ricordato come anche lo scorso anno, Ranieri infilò un filotto di vittorie che s’interruppe proprio in coincidenza del rientro dell’olandese, giocatore di classe assoluta e quindi difficile da mettere ai margini, ma difficile da incasellare in uno schieramento disciplinato e, dunque, oggettivo limite all’ordine della manovra.

Aver conquistato il terzo posto ridà comunque alla squadra una ritrovata autostima e, se pure non sono autorizzati sogni da scudetto, l’Inter con la sua crescita sembra voler affermare un ruolo da protagonista di questo campionato.