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di redazione

Da una parte la Juventus umiliata in Europa, dall'altra la Juventus che vince con una facilità disarmante il Campionato di serie A. La proprietà transitiva nello sport non esiste, ma il confronto è in evitabile. La distanza siderale che separa i bianconeri dalle grandi d'Europa - testimoniata dagli schiaffi rimediati nei quarti di Champions contro il Bayern Monaco - stride in modo evidente con l'andatura trionfale della Vecchia Signora nei patri confini. E ci racconta di un calcio italiano in recessione profonda rispetto agli altri grandi campionati del continente.

Ieri la Juve si è cucita definitivamente lo scudetto sul petto battendo facilmente la Lazio all'Olimpico. Un 2-0 maturato nel primo tempo con la doppietta di Vidal: il primo gol su rigore, il secondo con un bel tocco sotto davanti a Marchetti. I biancoazzurri sono in crisi profonda (tra infortunati, squalificati e fuori rosa mancano otto difensori), ma la superiorità degli uomini di Conte è evidente.

E ora i bianconeri hanno 11 punti di vantaggio sulla seconda in classifica, il Napoli. Come a dire che la chiusura dei giochi è una pura formalità. Un tricolore già scritto, reso solo un po' meno onorevole dalle parole del tecnico juventino, che a poche ore dalla trasferta romana pensa bene di prodursi in questa illuminata dichiarazione: "Chi vince scrive la storia, chi perde al massimo la legge". Con tanti saluti a De Coubertin, che immaginiamo ballare la macarena nella tomba.

Facciamo ora un passo indietro. Domenica lo scontro diretto che avrebbe dovuto riaccendere una qualche forma d'interesse in questo Campionato si risolve in un inutile 1-1. Milan e Napoli escono entrambe deluse da San Siro. I rossoneri, passati in vantaggio con Flamini, non sono capaci di gestire un vantaggio che li avrebbe portati a un passo dal secondo posto e finiscono la gara in 10 per l'espulsione dello stesso centrocampista francese.

Gli azzurri, dopo il pareggio di Pandev, mancano nel finale una vittoria che ormai sembrava inevitabile. Incomprensibile l'esclusione dal campo di El Shaarawi: Allegri parla di "stanchezza mentale". In un ragazzo di vent'anni, lautamente pagato per giocare a palla? La spiegazione del tecnico milanista non convince, ma è indubbio che dall'arrivo di Balotelli il Faraone abbia smesso di essere la più bella rivelazione di questa serie A.

La continuità sembra invece una delle doti migliori della Fiorentina, che pare ormai destinata al quarto posto. Nell'anticipo serale i viola espugnano per 2-0 un campo difficile come quello di Bergamo, e lo fanno dopo aver sofferto non poco nel primo tempo. L'irruenza del "tanque" Denis, però, stavolta non è sufficiente: l'attaccante argentino, reduce da una tripletta contro l'Inter, non trova la via della rete e riesce anche a farsi espellere. Nella ripresa i toscani giocano al tiro al bersaglio contro la porta di Consigli, passando prima con Pizzarro su rigore, poi con una fucilata mancina di Larrondo.

Subito dietro in classifica è da registrare il sorpasso della Roma ai danni dell'Inter. La crisi senza fine dei nerazzurri continua, e anzi si aggrava. Dopo aver lasciato in infermeria quasi tutto il parco attaccanti (Cassano, Palacio e Milito), gli 11 di Stramaccioni devono incassare anche gli infortuni di Nagatomo e Gargano. Un'emergenza che si traduce nell'ennesima sconfitta, figlia anche della poca consistenza offensiva di Rocchi e Alvarez, incapaci di reggere da soli la fase d'attacco.

I due gol del Cagliari portano entrambi la firma del cileno Pinilla, che per l'occasione dismette i panni del pistolero e indossa il costume di Tania Cagnotto. Un suo clamoroso tuffo in area provoca il rigore dell'1-0 e l'ormai consueta "svista" arbitrale contro i nerazzurri, mentre il raddoppio arriva su inserimento, con i centrali interisti ancora una volta bucati al centro e il malcapitato Handanovic poco propenso a gettarsi in un'uscita disperata.

Ne approfitta la Roma, che con il 2-1 rifilato al Torino scavalca i nerazzurri di un punto e raggiunge i cugini laziali a quota 51. Al Delle Alpi va in scena una partita equilibrata, aperta dal gol di testa del redivivo Osvaldo, che non segnava da gennaio. Sempre nel primo tempo arriva il pareggio momentaneo di Bianchi, con una botta da distanza ravvicinata dopo una disattenzione della difesa giallorossa. Un paio di punizioni pericolose firmate Cerci illudono i granata, che alla fine possono solo ammirare il capolavoro di Lamela, autore di un sinistro a giro sul secondo palo da applausi.

Più indietro in classifica, il Palermo contro il Bologna getta al vento un'occasione d'oro per tirare fuori la testa dalla zona retrocessione. I siciliani partono forte e trovano il gol con il redivivo Ilicic, che insacca sul secondo palo dopo una splendida combinazione con Miccoli. I rosanero creano e sprecano più volte il raddoppio, per poi regalare il pareggio agli avversari con un'incredibile papera di Sorrentino.

L'Udinese vince e si porta all'ottavo posto. I friulani si sbarazzano per 3-0 del Parma grazie soprattutto  a un Muriel in stato di grazia, che per una volta non fa rimpiangere sua maestà Di Natale. Quanto alle altre partite, finscono in pareggio sia Chievo-Catania (0 - 0), sia Genoa - Sampdoria (1 - 1). Il derby della Lanterna è una vera delusione: i rossoblù hanno un disperato bisogno di punti (sono al pari  del Palermo), ma giocano con troppa paura e nervosismo. Perde ancora il Pescara, che stavolta ci prova con tutte le forze, ma - dopo una commovente rimonta da 0-2 a 2-2 - non riesce a evitare di subire il gol partita del Siena nei minuti finali. Ancora una volta è decisivo Emeghara, probabilmente la più bella sorpresa di questo girone di ritorno.