Stampa

di redazione

Sembra quasi che Bruxelles abbia imposto all'Italia anche un taglio del talento nei piedi. Il pareggio rimediato sabato nel finale contro la Bulgaria è solo l'ultimo capitolo di questo processo involutivo, che prosegue ormai da anni. Antonio Conte ha lasciato la Juventus l'anno scorso perché, in assenza di prestigiose panchine europee su cui piazzarsi, ha forse pensato di poter vestire i panni del rifondatore azzurro. Dopo due mondiali conclusi senza riuscire a passare il girone, il ct pugliese ha sperato di essere l'uomo del riscatto, quello della "volta buona" per "cambiare verso". Una sorta di Renzi calcistico.

Purtroppo per tutti, questa aspirazione si è rivelata vana per due ordini di motivi. Il primo riguarda la Lega e le società: un calcio che sceglie come guida un Tavecchio e come sua spalla un Lotito non merita alcun rilancio europeo. L'incapacità finanziaria e manageriale dei grandi club di mantenere un alto profilo internazionale ha fatto il resto. La Serie A è orfana di campioni, non più all'altezza di tornei come la Premier o la Liga, ma piuttosto al livello della Primeira Liga portoghese: un campionato-ponte dove le stelle arrivano bambine per poi fiorire altrove, o dove i vecchi maestri si rifugiano per un tranquillo finale di carriera.

Il secondo motivo è legato al primo e ha a che vedere con l'attuale pochezza calcistica della nazionale italiana. Per bruttezza di gioco questa squadra è paragonabile - considerando il recente passato - solo a quella malamente traghettata da Donadoni, con la differenza che in quel caso i campioni c'erano, ma giocavano male, mentre oggi la mediocrità dei giocatori è sincera e non ammette recriminazioni.

In porta ce la caviamo ancora, perché dietro Buffon c'è Sirigu, uno all'altezza dei bei tempi che furono. In difesa, invece, inizia l'inspiegabile superbia degli italiani. Bonucci è riuscito a sostenere che la linea da lui composta insieme a Chiellini e Barzagli sia la migliore d'Europa. Strano, perché la Bulgaria non ha il reparto offensivo più letale d'Europa, ma è passata due volte nel primo quarto d'ora della partita, la prima - peraltro - grazie a un buco proprio del superbo Bonucci. Intendiamoci, la linea arretrata della Juve non è nemmeno la peggiore d'Europa. Eppure, senza l'aiuto di una diga chiamata Vidal, è tutta un'altra storia.

A centrocampo il rebus comincia con Verratti, geometrico e geniale con il Psg, spaesato e fuori giri in azzurro. In lui però dobbiamo credere, perché se questa squadra avrà mai un cervello, sarà quello del fantasista abruzzese. Per il resto, spostare Candreva dalla fascia al centro non si è rivelata un'idea brillante, così come quella di sostituire lo (pseudo)infortunato Marchisio con Bertolacci invece che con Parolo.

Lo psicodramma vero è però in attacco. Immobile e Zaza sono due cari ragazzi, ma hanno una caratteristica piuttosto evidente: non vedono la porta. Per quanto movimento possano fare, se tirano poco e quasi sempre fuori ci tocca sperare che tutti i nostri avversari siano cortesi come i bulgari nel farsi autogol. Meglio di entrambi sarebbe Gabbiadini, che la porta la vede eccome, anche se ieri ha partecipato al festival del gol sbagliato. Per fortuna a pareggiare ci ha pensato Eder, zittendo la polemica iper-provinciale sugli oriundi.

Detto ciò, finché si parla di Europei non siamo messi poi così male. A occhio e croce siamo quinti, se non altro perché quasi tutti gli altri stanno messi peggio. Dopo Germania, Olanda, Spagna e Francia, chi rimane? L'Inghilterra è in condizioni simili alle nostre, il Portogallo e la Svezia vivono entrambe di un solo giocatore, mentre la Repubblica Ceca non è più quella di Nedved.

La rosa più insidiosa è forse quella del Belgio, anche se agli ultimi mondiali non ha brillato. C'è poi la Svizzera, che è una squadraccia, ma non certo un'armata. In uno scenario simile, e con prospettive come le nostre, tutto sta nel capire se siamo in grado di accontentarci.