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di Fabrizio Casari

Frocio! Finocchio! Questi gli aggettivi qualificativi con i quali l’allenatore del Napoli, Sarri, si è rivolto verso Roberto Mancini, allenatore dell’Inter, al termine della partita vinta dai nerazzurri al San Paolo. Il litigio ha avuto un che di surreale, perché Sarri non aveva nemmeno motivo di aprire bocca: c'era una richiesta di spiegazioni dell’allenatore dell’Inter al quarto uomo riguardo il recupero di cinque minuti che gli sembrava eccessivo Dunque lo scambio verbale era tra Mancini e Lo Bello, niente c’entrava l’allenatore dei partenopei. Che però, probabilmente furioso per la sconfitta in casa e l’eliminazione dalla Coppa Italia, ha ritenuto di poter insultare.

Ottima la risposta di Mancini, che durante la lite ha affermato: “Se gli uomini sono come te sono fiero di essere gay” e nel dopo gara, pure sconfortato, non solo non ha voluto accettare le scuse ma ha avvertito come persone così non possono stare nel calcio. Peraltro Sarri risulta recidivo: non nuovo a fare sfoggio di cultura ed educazione, esibendo quella eleganza innata che lo caratterizza, già nel 2014, a seguito di un match tra Varese ed Empoli, aveva definito il calcio “ormai uno sport da finocchi”.

Deve avere qualche problema con la sessualità mister Sarri. O, quanto meno, a forza d’insegnare (bene) come muovere i piedi, si trova in difficoltà con la testa. Senza volergli far indossare un cappuccio da Ku Kux Klan e nemmeno una felpa di Salvini, Sarri, che le cronache narrano come “comunista” (dopo che l’aggettivo gli venne rifilato da Berlusconi) ha semplicemente tirato fuori il peggio di sè. Il che dispiace, perché è allenatore capace e personaggio a suo modo distante dai cliché tipici degli allenatori italiani arroganti alla Capello o alla Sacchi.

Nel dopo gara, l’allenatore del Napoli ha detto di essersi scusato e, con una involontaria quanto peggiorativa spiegazione dell’accaduto, ha affermato di aver lanciato il primo insulto che gli veniva in mente. Non ha apostrofato “frocio” e “finocchio” pensando che Mancini lo sia, l’ha fatto per insolentirlo. Ed è proprio questo il problema: Sarri voleva insultare e ha deciso di lanciarsi in offese a carattere omofobico. Ha usato questi termini per offendere, non per esprimere un disappunto, come ha detto "a botta calda", con "l’adrenalina che scorre”.

Si fosse trattato solo di rabbia e adrenalina sarebbero stati infiniti gli insulti, leggeri o pesanti, che avrebbe potuto scegliere; ma per lui quelli di “frocio”, “finocchio”, sono i peggiori e, purtroppo, i primi che vengono in mente. Se poi Mancini gli sta antipatico perché guadagna di più, è più elegante ed è un allenatore internazionalmente affermato, può scegliere tra una vasta gamma di atteggiamenti da dedicargli.

Sarri, che pure è uomo con valori positivi, dovrebbe sapere che lontano dai riflettori della lobby omosessuale, fatta di ricchi e artisti, di vip o aspiranti tali, c’è un universo di persone semplici che vengono regolarmente discriminati dall’omofobia, con danni psicologici e sociali devastanti. E dovrebbe ricordare quanto la discriminazione verso l’omosessualità si sia spesso tradotta in vere e proprie tragedie, che anche recentemente hanno visto il suicidio di ragazzi fragili, non in grado di sopportare le vessazioni, gli insulti e gli sberleffi del branco.

Le cronache quotidiane raccontano come di volta in volta, per il colore della pelle, per le disabilità, per le preferenze sessuali, per il reddito, per il ruolo sociale persino, le discriminazioni quotidiane sono il lievito madre del razzismo, comunque lo si voglia definire. Chi parla davanti a microfoni e a telecamere accese non può non sapere come le frasi vengono amplificate e, dunque, maggiore deve essere l’autocontrollo. Perché se l’intelligenza non si attacca, la volgarità è invece contagiosa.

Non possono esserci giustificazioni plausibili e risultano inutili le precisazioni di rito per le quali non si è omofobi pur ritenendo l’omosessualità un insulto. Sembra di sentire i razzisti che premettono di non essere tali prima degli insulti xenofobi e a sfondo razziale. Essendo stato abolito il "delitto d’onore", all’appello dei paradossi verbali mancano solo la "guerra umanitaria" e i "terroristi moderati".

Le parole pubbliche, invece, pesano come le pietre. Ma siamo in Italia e l’indignazione di ieri è già diventata attenuanti generiche di oggi. Già volano i cori di chi minimizza. O chi dice che Mancini avrebbe dovuto tenere tutto per sé, perché, come ha detto Sarri, “sono cose di campo”, come se non si capisse che è proprio sui campi che i ragazzi diventano uomini ed è dunque lì che la formazione pedagogica non può non marciare insieme a quella tecnica. E che siano entrambe prerogativa degli allenatori.

Sarri andrà incontro al verdetto del giudice sportivo per violazione dell’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva e rischia una sanzione pesante. Si va da una multa o una squalifica breve (massimo 3 turni) se le frasi verranno definite "dichiarazioni lesive", fino a una squalifica di "non meno di 4 mesi", se Tosel le riterrà "frasi discriminatorie".

Dipenderà dal referto arbitrale e dalla deposizione del rappresentante della Procura; ma visto che Mancini non si è mai dichiarato gay e che dunque dargli del “frocio” o “finocchio” deve ritenersi solo un insulto e non una discriminazione, probabilmente Sarri se la caverà con poco, due o tre giornate.

Ma quale che sia la sentenza, quanto accaduto è un brutto episodio che certo non aggiunge spessore al mondo del calcio. Le cui istituzioni vedono al loro vertice un personaggio come Tavecchio che fa sfoggio di razzismo e di discriminazione sessuale nelle sue esibizioni (e senza nemmeno la scusa dell’adrenalina); sopportano presidenti come De Laurentis e “viperetta” Ferrero, che con il turpiloquio abusato fregiano la loro cifra, ed ora vedono anche l’allenatore della squadra in testa al campionato di sfoggiare perle di questo tipo.

Un ambiente che poco ha a che vedere con lo sport. I cattivi maestri non hanno bisogno di cattedre. Un microfono basta e avanza.