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di Fabrizio Casari

Alla fine, dopo i vari Mr. Bee ed associati, Mendes e aggregati, la telenovela sulla vendita del Milan è finita. Firmato l’atto preliminare di vendita per la somma di 740 milioni di Euro, al lordo dei debiti (220 milioni), la squadra che fu il trampolino di lancio per l’immagine vincente di Berlusconi è passata definitivamente nelle mani cinesi. Non un gruppo privato ma la Sino Europe Investment, partecipata di Haixia Capital, un fondo statale che non può muovere quelle cifre senza il benestare del governo, ovvero dello stesso residente Xi Jinping. Ironia della sorte, il più grande paese “comunista” si prende un pezzo pregiato dell’ultimo castello anticomunista.

Sotto il profilo romantico non deve essere stato semplice l’addio di Silvio Berlusconi alla sua creatura calcistica, verso la quale non ha lesinato sforzi finanziari. Ma poprio Berlusconi ha riconosciuto l’impossibilità di tenere il confronto con i livelli finanziari necessari per il calcio di oggi e, da qui, la necessità di cedere.

C’è da ricordare però come proprio l’ingresso di Berlusconi nel Milan abbia dato inizio ad un’epoca di spese folli che ha stravolto le consuetudini di mercato delle squadre. Proprio la corsa ad acquistare a cifre fino a quel momento impensabili per un trasferimento di giocatori ebbe come conseguenza l’inizio di una era di follie economiche ed aprì un fossato finanziario tra le squadre più forti e quelle minori impossibile da colmare tecnicamente o agonisticamente.

Ma non solo di denaro si tratta, bensì della perdita di utilità del Milan per le sorti dell’impero berlusconiano e, parallelamente, ha avuto il suo ruolo anche una gestione ormai davvero lacunosa. Sebbene infatti la sua presidenza abbia riempito la bacheca di Milanello di titoli ad ogni livello, c’è da evidenziare come negli ultimi anni sia stato impossibile ripetere i successi del ventennio precedente.

La riduzione significativa di liquidità, unita ad una errata sovrapposizione del management, poco intelligentemente miscelato tra i vecchi dirigenti e la famiglia (stanca di veder dilapidare il loro prossimo patrimonio da un padre ormai visibilmente non in grado di controllare e dirigere le mosse) ha condotto infatti la squadra in una dimensione davvero non all’altezza della sua fama e del suo pedigree.

Da Seedorf a Inzaghi fino a Brocchi, il Milan è apparso sempre più una squadra modello vecchie glorie. Le sesse campagne di rafforzamento sono sembrate più attente agli avanzi delle altre squadre (Inter in particolare, che ha riempito di somari la stalla dei cavalli di razza rossoneri) che ad una vera e propria strategia di miglioramento dell’organico. In particolare, da Ronaldo a Vieri, da Favalli a Poli, finendo con la follia Balotelli, si è operato nella speranza di ripetere il miracolo di Pirlo, dimenticando che i miracoli riescono una volta sola. Idem con la passione per i cavalli di ritorno, da Shevchenko a Boateng, che sono partiti da tigri e tornati da gattoni.

Parallelamente alle finanze il Milan è apparso ormai orfano del suo tocco magico, che forse – più che a Galliani, sempre celebrato ruffianamente dai berluscones redazionali – apparteneva proprio a Berlusconi. Il Cavaliere non era un grande competente di calcio, ma sapeva scegliere uomini e situazioni in virtù di uno straordinario intuito vincente, del resto ampiamente sperimentato in politica e affari.

Dunque Milano cambia proprietà calcistica. Dopo la cessione dell’Inter prima a Tohir e poi ai cinesi del Suning, ora anche l’altra sponda calcistica della città parlerà cinese. Ma le due operazioni sono simili solo in apparenza. Se nel caso dell’Inter si può parlare di un passaggio di proprietà di un marchio glorioso e vincente, nell’uscita di scena della famiglia Moratti con il carico di passioni e successi inanellati e trasmessi da padre a figlio, in quello del Milan c’è di più: si deve aggiungere anche l’elemento di traino politico e d’immagine che i successi rossoneri fornirono all’avventura politica ed imprenditoriale del Sultano di Arcore.

E non è un caso che parallelamente alla fine di Forza Italia ed alla volontà di cessione delle sue televisioni (solo la Mondadori pare resistere alla dismissione continua) accompagna ora la cessione dell’altro brand con cui compose il suo trittico vincente. L’impero berlusconiano ha ceduto il passo al celeste impero.