Stampa

Abbiamo ridefinito il concetto di “sfangata”. La sportività dimostrata dagli spagnoli prima e dopo la semifinale di martedì sera ci impone la massima onestà: i nostri avversari hanno dominato la partita quasi per intero. Alla fine, però, abbiamo vinto noi. Come abbiamo fatto? Le ragioni principali sono tre.

La prima ha a che vedere con la Spagna. La nazionale guidata da Luisa Enrique non rinnega la filosofia di gioco della Roja imbattibile di qualche anno fa: possesso palla esasperato, circolazione veloce, pressing e recupero alto del pallone. Il problema è che quando a eseguire questo schema era un centrocampo animato dal genio di Iniesta e di Xavi, alla fine il tiki taka portava sempre qualche giocatore solo davanti al portiere. Ora non è più così: la nuova generazione spagnola gioca bene, mantiene il possesso e fa correre a vuoto gli avversari più di chiunque, ma in fase di finalizzazione è assai meno efficace che in passato. A ben vedere, martedì sera gli spagnoli hanno tenuto le redini del gioco per quasi tutta la partita, ma alla fine non hanno avuto un numero di occasioni da gol molto superiore a quello degli azzurri.

La seconda ragione del successo italiano è da ricercare in casa. Malgrado la Spagna non sia più la corazzata che ci distrusse nella finale dell'Europeo del 2012, resistere all'assedio rosso per 120 minuti non è da tutti. Ci è voluta anche una certa umiltà: gli uomini di Mancini hanno dovuto accantonare per una sera la strategia offensiva messa in mostra nelle prime cinque partite della competizione e ripiegare su un più classico e nostrano catenaccio-e-contropiede. Peraltro, i giocatori per fare male in ripartenza non ci mancano, tanto è vero che il gol di Chiesa arriva proprio al termine di un contrattacco in velocità da manuale. L'unica nota stonata della serata riguarda Bonucci e Chiellini, che sporcano una prestazione pressoché eroica facendosi bucare al centro da una triangolazione fra Dani Olmo e Morata. Alla fine l'attaccante spagnolo, compagno di squadra dei centrali azzurri nella Juventus, segna il gol del pareggio nell'unico modo possibile per il gioco della sua squadra: entrando in porta con la palla.

Il terzo e ultimo fattore è la fortuna, una componente sempre necessaria negli scontri che finiscono ai calci di rigore. È vero, avevamo il vantaggio di iniziare a battere, per di più nella porta davanti alla curva occupata dai tifosi italiani. Ma dopo l'errore iniziale di Locatelli c'era il rischio di cadere in una spirale mortifera, anche perché Mancini – autore di più d'una sostituzione discutibile – aveva levato dal campo quasi tutti i principali rigoristi della squadra (Immobile, Verratti, Insigne). Battere gli spagnoli presentandoci sul dischetto con Bellotti e Bernardeschi non era affatto scontato, ma ce l'abbiamo fatta, anche perché a tradire gli iberici è stata proprio la coppia che poco prima aveva confezionato il gol del pareggio: Dani Olmo e Morata.

La semifinale vinta martedì sera con la Spagna è probabilmente uno dei successi più faticosi e sorprendenti nella storia della nazionale italiana. Ora dobbiamo essere bravi a sfruttare questi giorni per recuperare le energie fisiche e mentali necessarie per affrontare nel migliore dei modi la finale di domenica.