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di Roberta Folatti

L’Afghanistan al di là delle bombe

Continuo nel ripescaggio di film non recentissimi che però rientrano nella programmazione delle sale estive e delle arene all’aperto.
Del romanzo di Khaled Hosseini, da cui Il cacciatore di aquiloni è tratto, avevo apprezzato la prima parte. Il racconto dell’infanzia del protagonista trascorsa col suo inseparabile amico, tra luci e ombre, complicità e gelosie e il desiderio vitale di catturare l’affetto, la stima, l’ammirazione di un padre eletto a modello irraggiungibile, era emozionante e del tutto privo di retorica. La parte più avventurosa l’avevo invece trovata un po’ troppo “best-selleresca” – passatemi il termine – come se fosse una concessione tardiva alla spettacolarizzazione dopo un bell’inizio intimista.

Si tratta di un parere personale, il libro di Hosseini è stato un caso editoriale a livello mondiale e di certo ha contribuito a far conoscere un paese, l’Afghanistan, sotto una prospettiva nuova. Un popolo, quello afghano, che non è sempre stato in guerra, che ha anche allevato bambini relativamente felici, che ha letto libri, scritto poesie, discusso di politica, organizzato grandi tornei di aquiloni. Questo aspetto è reso in modo efficace dal film di Marc Forster, la Kabul invasa di bambini che dai tetti e dalle strade manovrano i loro aquiloni è quasi commovente se si pensa a come l’hanno ridotta l’invasione russa prima e l’ascesa al potere dei talebani poi. E’ ancora tutto da dimostrare che l’arrivo dei “nostri” abbia migliorato le cose, sembra che i piccoli protagonisti del film abbiano dovuto lasciare il paese dopo aver partecipato alle pellicola…
Il romanzo di Hosseini e il film si fermano prima, additando come cattivi i russi – che Baba, il padre del protagonista non può nemmeno sentir nominare dopo la fuga in America – e i talebani, portatori di un regime mostruoso. La descrizione di come si viveva prima, in un paese con radici ben piantate nella tradizione ma disposto a valorizzare anche figure come Baba, laiche e non facilmente omologabili, è vivida, senza troppo folklore o cadute nel banale. E’ un Afghanistan credibile, brulicante, pieno di commerci, cultura, contraddizioni. Un’etnia, la pashtun, si ritiene superiore a un’altra, quella hazara, ma a parte qualche razzista dichiarato la convivenza è abbastanza pacifica.
In questo clima si dipana l’amicizia tra Amir e Hassan, inseparabili sin da piccolissimi ma separati da differenze di classe sociale oltre che da più umane complicazioni familiari. Il comportamento poco limpido del figlio riconosciuto, che soffre per l’atteggiamento troppo duro del padre (che a sua volta si sente in colpa per ragioni che si scopriranno nel finale) e lotta per affermare la propria individualità, dà il via a una serie di eventi drammatici che coinvolgeranno il fedele Hassan. Ma, ripeto, al di là dell’avventurosità di questi eventi, il libro cattura per la capacità dell’autore di delineare con sapienza e pudore una ragnatela di affetti e sentimenti contrastanti. Il film da questo punto di vista appare sicuramente più superficiale ma è giocoforza che le immagini raccontino in modo diverso rispetto alle parole. “Il cacciatore di aquiloni” non è un capolavoro, è un’onesta trasposizione, il suo merito principale è di parlarci di un popolo e di un paese che hanno il diritto a una vita normale.

Il cacciatore di aquiloni (Usa, 2007)
Regia: Marc Forster
Sceneggiatura: David Benioff
Cast: Khalid Abballa, Homayoun Ershadi, Shaun Toub
Distribuzione: Filmauro