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di Roberta Folatti

Forse ha ragione Ligabue a non fare “comizi” durante i suoi concerti ma a lasciar semplicemente scorrere su un megaschermo gli articoli della Costituzione italiana. I primi, quelli essenziali. Così, oltre ad intrufolarsi (come dice lui) nelle vite delle persone che ascoltano le sue canzoni, regalando un sorriso, un momento di spensieratezza o di emozione, riesce a far riflettere, almeno per un attimo.

Senza proclami, dichiarazioni di voto, prese di posizione apertamente schierate, ma con un documento - la Costituzione appunto - diventato una specie di libro dei sogni. Leggendola vengono a galla le deficienze dell’Italia, le promesse mancate, le disillusioni che inchiodano al suolo la maggior parte di noi. Senza più sogni.

Far sfilare alle proprie spalle gli articoli della nostra Carta fondativa appare quasi un gesto rivoluzionario di questi tempi, tempi in cui i diritti fondamentali sembrano vacillare e nemmeno noi sappiamo più cosa dovrebbe esserci garantito. E’ come tirare un sasso nello stagno della nostra (presunta) indifferenza, quell’abitudine a non muoverci, a non stupirci, a non indignarci più. Quel nostro esserci trasformati da popolo in pubblico televisivo, che guarda, s’incazza, usa il televoto e poi va a dormire, come dice Paolo Rossi.

L’obiettivo del film-documentario di Piergiorgio Gay è raccontare l’evoluzione di un Paese, l’Italia degli ultimi trent’anni, dalla prospettiva di un rocker capace di raggiungere con la sua musica più generazioni. Le parole e le canzoni di Ligabue si alternano a quelle di alcuni suoi fans e di persone conosciute, da Stefano Rodotà a Margherita Hack, da Carlo Verdone a Giovanni Soldini. Ne esce un quadro piuttosto sommario e forse un po’ parziale (immaginiamo gli strali di una certa parte…), ma sufficientemente chiaro, lucido. Per molti versi impressionante.

Spezzoni di filmati di repertorio su gravi fatti di cronaca - la strage di Bologna e quelle in cui persero la vita Falcone e Borsellino, il pestaggio alla scuola Diaz di Genova durante il G8, i funerali di Guido Rossa - ricordano che il nostro non è mai stato un paese “normale”, ma Niente paura mostra che qualcuno che non si arrende c’è ancora. Molti parlano di sogni da tenere in vita, anche se non è ben chiaro in che modo, in un’Italia in cui i politici non sono scelti dai cittadini ma dai partiti, in cui cresce a dismisura la disaffezione verso una classe di governanti ormai del tutto screditata.

Forse la risposta più lucida la dà don Ciotti con la sua pragmatica volontà di opporsi al malaffare attraverso l’attività di Libera, un movimento che cresce in tutta Italia e produce risultati tangibili. Le parole del regista e dello sceneggiatore Piergiorgio Paterlini dicono molto: “Se - come ricorda Luciana Castellina - l’impegno politico che aveva assunto le dimensioni di una partecipazione impetuosa e di massa negli anni Sessanta e Settanta, era la traduzione laica del “cristiano” amore per il prossimo con orizzonti di cambiamenti radicali di giustizia sociale, dagli anni Ottanta a oggi questa “passione” ha assunto sempre più la forma “resistenziale” bene riassunta da don Luigi Ciotti, quando ci ricorda che resistere ha la stessa radice latina di esistere”.

Niente paura (Italia, 2010)
Regia: Piergiorgio Gay
Sceneggiatura: Piergiorgio Gay, Piergiorgio Paterlini
Montaggio: Carlotta Cristiani
Fotografia: Marco sgorbiati
Distribuzione: Bim