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di Roberta Folatti

Non sono tra quelli che ha amato alla follia il romanzo di Mordecai Richler. Ma questo Barney cinematografico mi ha conquistata coi suoi difetti, che mascherano le qualità e confondono chi ha a che fare con lui. La critica in genere gli ha rimproverato una mancanza di complessità, andata perduta nel passaggio dalla versione letteraria all’incarnazione in Paul Giamatti.

La trasposizione non era tra le più semplici perché il romanzo è un intrico di pensieri, stati d’animo, considerazioni al limite della logorroicità. Barney è un personaggio ricco di sfumature, contraddittorio, un ebreo politicamente scorretto che indulge a molti piaceri ed è preda di sentimenti poco presentabili come l’invidia (soprattutto verso chi gli ha rubato l’adorata moglie Miriam). Materializzandosi nel film diretto da Richard J. Lewis, quest’uomo - tutt’altro che attraente ma capace di grandi slanci di volontà, che spesso risultano “contagiosi” - perde un po’ della sua dirompente rozzezza accentuando il lato tenero, che esplode senza difese di fronte alla sua ultima (e in fondo unica) moglie.

I difetti ci sono e la sua vita, che ha oscillato tra la tragedia e la farsa sino a quando non è arrivata Miriam a riportare tutto alla semplicità dell’amore e del calore familiare, ha episodi coloriti, sguaiati, con il retrogusto tipico del dopo sbornia. Ma il Barney cinematografico forse non è così cattivo come se lo sarebbe aspettato chi ha letto il libro, ha un fondo di tenera affettuosità che lo rende più umano del previsto. Quella sua fragilità, mascherata da indifferenza, traspare chiaramente dal volto di Giamatti e ci ispira indulgenza, anche quando lo sgraziato protagonista cede ai suoi vizi.

Il film si svolge su piani temporali paralleli, il presente con un Barney maturo e i flashback che lo riportano ai momenti salienti della sua vita. Qualcuno lo accusa di omicidio e gli rimprovera azioni terribili ma il processo di “umanizzazione” del protagonista va avanti spedito e trova, in fondo, ostacoli tarscurabili. Il suo caratteraccio, una certa apatia, qualche abitudine inveterata come l’alcol, i sigari e l’hockey in tivù non gli impediscono di conquistare una donna bella e raffinata e di formare con lei una famiglia (quasi) tradizionale, condividendo istanti e pensieri.

Forse è proprio la fotografia di questo rapporto, venato di tenerezza ma basato su un concreto sostegno reciproco, la cosa più riuscita del film. Un rapporto che tiene anche nei momenti più critici, quando subentra l’abitudine che li allontana e poi irrompe la malattia che li riavvicina. Una delle scene più struggenti è quella in cui Miriam crede di aver “perso” Barney al ristorante, dopo un breve attimo di smarrimento e di angoscia capirà che né la separazione né l’Alzheimer sono riusciti ad uccidere il sentimento che c’è tra loro. Un amore vero e inestinguibile.

La versione di Barney (Canada, Italia 2010)
Regia: Richard J. Lewis,
Sceneggiatura: Michael Konyves
Musica: Pasquale Catalano
Cast: Paul Giamatti, Dustin Hoffman, Rosamund Pike, Minnie Driver
Distribuzione: Medusa