Il suo film l'ha voluto, l'ha scritto, l'ha difeso da qualsiasi intromissione.
L'ha finanziato quasi tutto da solo, chiedendo un prestito in banca. Ma questo
desiderio di indipendenza alla fine gli è costato molto caro.
Onde, malgrado abbia avuto ottime recensioni, ha trovato scarsissimi
sbocchi nelle sale e Francesco Fei si è dovuto scontrare con una
specie di muro di gomma, creato dalle case di distribuzione che controllano
il mercato italiano.
Lui si sente un po' un Don Chisciotte, ma ora ha deciso di sacrificare una parte
della sua libertà <<per provare a confrontarsi con il potere. Perché
in Italia un regista deve anche sapersi vendere, deve imparare i meccanismi,
trovare dei canali per far arrivare il proprio lavoro al pubblico>>.
Quel che segue è il sunto di una chiacchierata di un paio d'ore. Oltre alle difficoltà e ai debiti, l'avventura di Onde ti
ha dato qualche soddisfazione?
La prima soddisfazione è essere riuscito a farlo. E poi la stima delle
persone che l'hanno visto e il fatto che abbia girato il mondo. E' stato in
dodici festival, da Rotterdam a Rio de Janeiro a Montpellier. La cosa più
frustrante è che girava il mondo ma non usciva in Italia. Ora voglio
trovargli una buona distribuzione in homevideo e un passaggio su Sky. Insomma
è triste aver fatto un film che molti giudicano bello ma che non riesce
a raggiungere il pubblico.
Tutto questo è sintomo di un grave malessere del cinema italiano?
La legge sul cinema, che attribuiva finanziamenti pubblici in modo indiscriminato,
è stata una vera catastrofe. Lavorava solo chi aveva dei riferimenti
politici, chi sapeva muoversi bene nei salotti del potere. Ora le cose stanno
cambiando, trovo giusto che lo Stato non conceda più di 800mila euro
per fare un film, il resto dei soldi è bene che si cerchino da altre
parti. Il problema è che il concetto di rischiare in proprio non esiste
più, per anni i produttori hanno puntato esclusivamente sui finanziamenti
pubblici.
Cosa dovrebbe fare il ministro Rutelli per il cinema?
Stare ad ascoltare anche i giovani, compresa la generazione dai trenta ai quaranta
che è quella più emarginata dai luoghi del potere. Dovrebbe ascoltarli
perché sono proprio i giovani che stanno portando il cinema italiano
in giro per il mondo, dandogli nuovamente lustro, vincendo premi. Penso a Saverio
Costanzo, Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Vincenzo Marra, Daniele Gaglianone
ed Emanuele Crialese.
Tu hai un passato di regista pubblicitario e soprattutto di videoclip, come
ti sei trovato nel passaggio al lungometraggio?
Sono laureato in storia del cinema, penso da sempre a questa come alla mia strada
e mi è venuto naturalissimo il passaggio dai video al lungometraggio.
Ho esordito nel 1988 con un corto, che venne selezionato per il Festival di
Torino. Poi mi sono avvicinato alla musica, che da passione è diventata
un mestiere, ho realizzato molti videoclip e sono considerato tra i più
esperti in questo campo. Da poco ho girato il video di Carmen Consoli, "Tutto
su Eva", tratto dal suo nuovo album. Lei ha voluto che si respirasse aria
di Sicilia, così mi sono fermato una settimana sull'isola. Ma ho fatto
anche tante "marchette" in musica e in pubblicità, invece il
cinema deve rimanere una passione pura. O lo faccio come voglio io, senza compromessi,
o sono disposto anche a rinunciarvi.
Onde è un film che non dà tutte le risposte,
che richiede un sforzo da parte dello spettatore.
Il cinema che amo è quello che spiega poco, che lascia spazi anche allo
spettatore. C'è un film che lo rappresenta al meglio ed è "Il
coltello nell'acqua" di Roman Polanski. Onde prende spunto
dal romanzo breve "Amore cieco" di V. S. Pritchett, ma la storia è
attualizzata. Il film è freddo sul piano emotivo, la protagonista femminile
è antipatica, scostante. Allo spettatore è richiesto lo sforzo
di capire che il suo problema non sta nella voglia che ha sul viso, ma nella
sua testa.
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