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di Mariavittoria Orsolato

Esploso nel 2000 con la prima edizione del Grande Fratello, Pietro Taricone si è spento a soli 35 anni nella notte del 29 giugno. Inizialmente snobbato dalla critica, poi riabilitato da une serie di prove cinematografiche e televisive, viene ora pianto quasi fosse il nostro James Dean.
Una vita spericolata di sicuro, un’ebbrezza che l’ha portato all’autodistruzione e a lasciare la moglie - l’attrice Kasia Smutniak - e una figlia di soli 6 anni, Sofia.

A ormai tre giorni dalla morte le manifestazioni di cordoglio in rete, sui giornali e in tv non accennano a scemare e, malgrado il suo manifesto disprezzo per certe forme televisive, Taricone torna ad essere un’icona del piccolo schermo. Quella stessa televisione che l’ha fatto assurgere ad un ruolo talmente pregnante da arrivare ad aggettivare il suo cognome - Taricone era sinonimo di macho ma con la giusta quantità di arguzia e guasconeria, corrispondeva all’uomo in muscoli e canottiera che mira ad emanciparsi dalla carne per dimostrare l’ambizione di spirito - ha deciso di mostrargli rispetto decidendo di sospendere a tempo indeterminato le trasmissioni del primo Grande Fratello, ma torna a fare la parte del coccodrillo ne momento in cui gli dedica morbosi speciali come il subitaneo “Ciao Pietro”, condotto da Barbara D’Urso.

Glissata spesso e volentieri la sua affinità elettiva con Casa Pound, l’immagine di Pietro o’ guerriero torna a splendere nel ricordo della sua prepotente simpatia e di quella joi de vivre un po’ smargiassa che lo ha premiato tanto da essere l’unico concorrente del reality per antonomasia chiamato col suo cognome: lo vediamo cuoco provetto su La7, lo ascoltiamo disquisire sulle tecniche d’equitazione su Canale 5.

Inevitabile il dispiacere che la scomparsa di una persona così giovane comporta, la naturale empatia che si crea nel  momento in cui viene a mancare un giovane padre di famiglia. C’è già, però, chi è pronto a speculare e ad affermare che il tragico incidente paracadutistico sia stato in realtà un complotto per eliminare un personaggio scomodo. Pare infatti che recentemente Taricone si fosse avvicinato alle teorie sul signoraggio bancario e che, data la sua popolarità e la sua naurale propensione alla polemica e alla denuncia, potesse arrecare danno a quella stessa culla che gli ha fornito l’uscita dall’anonimato della provincia casertana.

Com’è ovvio, queste illazioni vanno prese in quanto tali e, da parte nostra, preferiamo ricordare Pietro Taricone per quello che nella sua breve ma acuta parabola ha rappresentato: un esempio, assolutamente mirabile, per tutti quei giovani che credono che il tubo catodico non sia un punto di arrivo ma un semplice trampolino da cui prendere le mosse per evolvere sia in senso artistico che personale.