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di Mariavittoria Orsolato

Fiamme gialle in redazione e un avviso di garanzia per il direttore: questa l’evoluzione della vicenda che vede protagonisti il Tg1 di Augusto Minzolini e Tiziana Ferrario, estromessa dalla conduzione del notiziario serale nel 2009. Lo scorso giovedì la Guardia di finanza ha perquisito la redazione della principale testata Rai a seguito della denuncia penale che i legali della giornalista hanno intentato dopo il mancato reintegro: per il direttorissimo l’imputazione è abuso d’ufficio e mancato adempimento di un’ordinanza del giudice del Lavoro.

Per ben due volte, infatti, la magistratura del Lavoro si era espressa a favore della Ferrario, imponendo invano al direttore di ricollocare la anchor-woman alle sue originali funzioni, la giornalista si è così risolta a intraprendere la via penale in quanto, stando alle sue parole “anche i direttori devono rispettare la legge, che tutela la professionalità e la libertà del giornalista, vietando gli atti di discriminazione politica”. Non appena nominato alla direzione del Tg1 infatti, Minzolini aveva provveduto a rimuovere oltre alla Ferrario anche Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso, sostituendoli con i colleghi Francesco Giorgino, Laura Chimenti e Francesca Grimaldi, evidentemente più malleabili e fedeli a quella che sarebbe stata la nuova linea editoriale: inevitabile che si parlasse di ingiusto spoil-system.

Stando a quanto riportato dal sito Globalist.it, i finanzieri erano stati nel suo ufficio già lo scorso 15 settembre ma, nonostante l’attuale posizione di indagato, il Minzo ostenta tranquillità: intervistato da Il Giornale, liquida la questione come una “boiata pazzesca” e nonostante l’avvertimento di due settimane fa della commissione di vigilanza, ha confezionato l’ennesimo editoriale pro domo sua (e di Berlusconi ovviamente). Il bersaglio del fiele minzoliniano - manco a dirlo - sono i giudici, rei di catalizzare l’attenzione mediatica e di perseguire un protagonismo nocivo alla categoria che rappresentano.

E a chi ancora si ostina a chiedergli se il suo è un telegiornale schierato, risponde piccato che il Tg1 è un “ tg nazional popolare riadattato”; che lo sia in modo spudoratamente filogovernativo è cosa che, parafrasando la presunta fiamma Daniela Santanchè, Minzolini rivendica con orgoglio: “Ho il diritto di vedere in maniera diversa la gerarchia delle notizie. Anzi di essere super partes in un mondo che pende tutto per una pars”. Inutile dire quale…

Agli italiani però questa impostazione pare non essere così gradita e a confermarlo arrivano i numeri che, impietosi, raccontano di come il notiziario serale dell’ammiraglia Rai sia riuscito a fare gli stessi spettatori di Chi l’ha visto?. Non piace nemmeno al presidente Rai Garimberti che immediatamente dopo l’accorato editoriale ha tenuto a prendere le distanze da quanto affermato, ribadendo la sua condanna dinanzi all’uso privato che il direttorissimo ha fatto della televisione pubblica.

Il più imbufalito è però il consiglio di Redazione del Tg1, che in una nota ha stigmatizzato il comportamento di Minzolini : “Per tutto il giorno avevamo evitato di intervenire per senso di responsabilità e per tenere il Tg1 il più possibile lontano dalle polemiche. Ma l'editoriale del direttore questa sera ha veramente passato il segno. Non si può utilizzare il servizio pubblico a proprio uso e consumo. Invece il direttore ha trasformato il nostro giornale in una tribuna per parlare di una causa di lavoro e di un'inchiesta penale che lo riguarda. A questo punto - continuano i redattori del Tg1 - non è banale ripetere che serve rispetto per le indagini che ovviamente faranno il loro corso. E' rispetto per un telegiornale che il direttore sta schierando sempre di più a favore di una parte politica. E' così che il Tg1 perde credibilità e ascolti”.

Tira dunque una brutta aria a Saxa Rubra. Oltre alla manifesta ostilità dei suoi sottoposti, al crollo degli ascolti e alla vertenza della Ferrario, Minzolini si ritrova a dover affrontare anche la questione sospesa delle carte di credito aziendali. L’ex cronista parlamentare de La Stampa è infatti indagato dalla procura di Roma anche per peculato, l’accusa è di aver strisciato la carta di credito aziendale per la bellezza di 68.000 euro in 15 mesi: gli accertamenti degli inquirenti sono da poco terminati e per quello che alcuni ancora si ostinano a chiamare giornalista è ora probabile una richiesta di rinvio a giudizio.