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E’ di sicuro legittimo che la fiorettista possa prendersela contro l’Italia “pallonara”, che innalza a eroi i calciatori strapagati, non sempre all’altezza delle aspettative e dei loro contratti. Altra cosa è chiedere esenzioni in un periodo in cui le famiglie italiane faticano ad arrivare alla quarta settimana, per via di prezzi pazzi di pane, pasta, bollette e benzina. Dal punto di vista degli atleti, le parole della Vezzali sono legittime, quando punge con un touché i colleghi con i parastinchi: “I nostri guadagni non sono stratosferici. E allora è giusto non versare metà del premio per una medaglia olimpica in tasse”. Questo discorso ha tutta la comprensione possibile e potrebbe essere sottoscritto di sicuro anche dagli operai delle cooperative, dagli interinali dei call center o quelli delle Poste. L’unica eccezione sarebbe sul particolare che, se i campioni azzurri delle discipline “minori” possono raggiungere meritatamente a fronte di enormi sacrifici questo premio ogni quattro anni, la quasi totalità degli italiani per raggiungere in busta paga la cifra di 140.000 euro (premio riconosciuto per una medaglia d’oro) devono impiegare circa dieci anni di quotidiano e anonimo lavoro, senza sponsor e con l’unico nome della propria azienda sulla tuta.

Seguendo questa logica, sembra a questo punto anche un po’ irriverente fare paragoni tra il regime fiscale in Italia e quello operante in Cina, dove la medaglia d’argento Francesco D'Aniello ci informa che i premi ai medagliati sarebbero completamente detassati. A voler ragionare senza influenze, qui sembra che ciascuno possa tirare l’acqua al suo mulino e prendere a pretesto le poliedriche realtà del paese asiatico per scagliarsi, a seconda dei casi, sul suo inquinamento, sull’assenza di diritti civili, sui “bambini bolliti”, sulle invasioni di immigrati falsificatori di griffe e di sponda qualche volta per apprezzarne il comunismo (sic) che lascia ricchi gli sportivi.

Avevamo già sentito un presidente del Consiglio parlare davanti alla Guardia di Finanza di moralità nell’evadere le tasse; oggi sentiamo due poliziotti (D’Aniello e Vezzali) e una finanziera (Quintavalle) protestare perché gli onori di campione finirebbero scesi dal podio e gli oneri di contribuente inizierebbero una volta arrivati all’aeroporto alla domanda del loro collega: “Nulla da dichiarare?” In ogni caso, salvo alcuni distinguo del quasi sempre critico Oliviero Beha, la proposta dei tre medagliati sembra trovare consenti, tra l’altro oggetto di una proposta di legge depositata alla Camera il 23 luglio e oggi rinverdita dalle sollecitazioni del presidente del Coni, Gianni Petrucci, e del presidente della federazione di tiro a volo, nonché deputato del Popolo delle Libertà, Luciano Rossi.

Quello che il comune contribuente può sperare, a questo punto, è non dover rivedere l’ardita provocazione che il Trio Medusa delle Iene fece tra i terremotati del Molise: chiedere una questua per la crisi del calcio e per rimpinguare le casse delle squadre. Sembra fuori di dubbio che una vittoria olimpica sia un grande vanto e un altissimo onore per l’Italia, ma vale lo stesso per uno sportivo, se non prima per un italiano, sentir le note dell’Inno di Mameli con una medaglia sul petto. Ben inteso, salvo che non ci si risponda con un dito medio…