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Negli ultimi quindici anni poi la televisione è divenuta un elemento insostituibile non solo di discussioni e di chiacchiere da bar, ma quasi di stile di vita. I personaggi del piccolo schermo, in nome della loro competenza autoreferenziale, si ergono a paladini di valori, ad esperti di ogni branca di conoscenza, a consiglieri multiuso prêt-à-porter. Siamo passati da Antonio Lubrano per questioni di protesta o insoddisfazione e dai “consigli per gli acquisti” di Maurizio Costanzo, ad una pletora di venditori di pentole, materassi e apparecchi snellenti, davanti ai quali il telespettatore comune sembra come un attento e meticoloso studente di fronte al più grande luminare universitario. In epoca di bombardamento mediatico, ecco perché anche la fiction sembra più reale del reality.

A parte il possibile sottile sarcasmo, oggi in Italia potremmo non andare più dal medico, dall’avvocato, in questura o in sacrestia. La televisione ci spiega per filo e per segno come si effettua una tracheotomia, una rilevazione di Dna da un cadavere decomposto, ma non ci spiega come si applica un cerotto. Come a dire, per un cerotto la produzione non scomoda neppure il ciakista. Non farebbe audience, come invece l’alternanza tra alambicchi della scientifica e un set di pentole o di puntate sul delitto di Cogne nel più popolare salotto televisivo. La vita del telespettatore medio passa tra i due eccessi, ma sempre filtrati da quel tubo catodico (che ormai non è più tale) che ci dice cosa fare, come farlo e ci bacchetta se ci permettiamo di andare fuori dalle righe.

Un anno fa Agostino Saccà, che di fiction (come di tante altre cose) s’intende, profetizzava che la fiction avrebbe salvato i canali generalisti. Non ha spiegato se questa sua convinzione fosse una minaccia o una promessa, sta di fatto che il risultato oggi è che non c’è sera in cui carabinieri, poliziotti o medici possano assaltare - nel vero senso della parola - le case degli italiani. La domanda che sorge quindi spontanea, tanto per ritornare al tormentone del citato Lubrano, è se questo esercito di dipendenti al servizio dello Stato mostra o no la realtà che vorrebbe rappresentare? In ospedale e in caserma ci si comporta proprio così? Anche perché, se di fiction si parla, dovrebbe essere tutta una finzione, compresa la dinamica degli eventi narrati, a uso e consumo della sceneggiatura e degli inserzionisti pubblicitari.

Fino ad ora i diretti interessati, quei professionisti delle manette e dello stetoscopio non avevano fatto commenti, anche perché in fin dei conti il maresciallo Rocca aveva sdoganato le barzellette sull’Arma e quindi tutto faceva brodo per questioni d’immagine. Qualcosa però si è mosso. Ecco che sono scattate le perplessità dei medici, quelli veri con il giuramento di Ippocrate dietro le spalle, che ammoniscono la distorsione, se non proprio l’astrusità, della massiccia presenza dei camici bianchi negli ospedali televisivi. La prossima infornata di serie tv dedicata alle corsie e alle sale operatorie è presa a pretesto per denunciare la poca attenzione per i medici generici, quelli di famiglia per intenderci, che invece svolgono il lavoro quotidiano, quello più a contatto con il cittadino/paziente. Una riflessione è quindi dovuta.

Indubbiamente Rai e Mediaset cavalcano l’onda dei gusti, che esse stesse hanno creato, ma è vero pure che i medici veri quando compaiono quasi per magia sul piccolo schermo si limitano a comparsate, consigliando di mangiare frutta e verdura d’estate o che in terza età meglio non abusare con il viagra. Non certo pareri da alti luminari, candidati al prossimo premio Nobel. Se questo scimmiottamento deve essere il risultato di anni e anni di studio e pratica, non si possono biasimare le signore quando scelgono, telecomando alla mano, George Clooney intento in non sappiamo quale intervento con budella penzoloni al seguito del bisturi, piuttosto che dedicarsi alla conta dei mesi sul calendario in attesa della prenotazione per una risonanza magnetica.