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di Giovanni Cecini

Oggi in pochi ricordano come date storiche il 23 agosto 1927, il 3 febbraio 1998 e il 4 marzo 2005. Eppure sono tre ricorrenze che, oggi più di ieri, dovremmo citare tutti, come italiani e come cittadini desiderosi di giustizia. Nella prima di queste date in un penitenziario nei pressi di Boston a due anarchici italiani veniva inflitta la pena di morte tramite sedia elettrica. In quel caso alla giustizia americana poco importò del fatto che le prove a carico degli imputati si erano rivelate lacunose e contraddittorie.

Nella seconda un aereo militare delle Forze Armate statunitensi di base nel nostro Paese tranciò un cavo di una funivia, carica di persone, provocando una strage. Anche in questa circostanza alla giustizia d’oltreoceano non sembrò rilevante che i piloti dell’apparecchio avessero creato il mortale incidente perché intenti a scommettere barili di birra sulle proprie capacità acrobatiche. Nella terza delle date da ricordare, vi è infine racchiuso l’eroismo e la fine tragica di un funzionario italiano intento a liberare una connazionale e freddato senza una logica ragione da un militare di un posto di blocco americano. Pure qui la giustizia yankee non ebbe problemi a giudicare il soldato innocente e chiudere la questione senza un nulla di fatto.

Rammentando questi episodi non possono che tornare quindi alla memoria i nomi degli inconsapevoli protagonisti dei fatti raccontati. Ferdinando Nicola Sacco, Bartolomeo Vanzetti, i 20 morti della strage del Cermis, Nicola Calipari, sono tutte vittime innocenti di nazionalità italiana o europea, che in qualche modo hanno avuto a che fare con delle iniquità tutte targate a stelle e strisce.

Si può quindi ben capire come appaia non solo sgradevole, ma per certi versi anche offensivo che una parte dell’opinione pubblica statunitense - e i media in prima linea - abbia gridato allo scandalo per la condanna in primo grado di una propria connazionale per omicidio. La cosa che rende la faccenda grottesca tuttavia è che quest’alzata di scudi non si è limitata a contestare la sentenza specifica, ma è arrivata a considerare l’intero apparato giudiziario italiano come corrotto e pericoloso.

Senza ombra di dubbio l’Italia oggi non è considerabile il regno degli onesti e dei giusti, né il luogo migliore dove intraprendere un processo; lungaggini burocratiche, cancellerie piccole e allagate, pochi fondi alla magistratura, rendono la vita amara per tutti coloro che hanno a che fare con le maglie dei tribunali nostrani. Tuttavia sembra proprio fuori ogni limite della decenza che alcuni giornali e tv stranieri possano scagliarsi contro uno dei poteri costituzionali del democratico Stato italiano, solo perché una ragazza di Seattle con un visino pulito e da innocente è condannata a 26 anni di reclusione. Fino a prova contraria nella Roma del 2009 un Cesare Battisti verrebbe arrestato all’ergastolo perché condannato per una serie di omicidi, dopo un regolare processo, non certo impiccato, ripetendo quel che successe a Trento nel 1916, dopo una sentenza farsa austroungarica.

Eppure in questa storia una morale si può trovare, se ci si toglie la toga e si imbraccia la bacchetta di Bruno Vespa. Essa s’individua in quel complesso mediatico di perversione che porta alla ribalta della cronaca così urlata, vittime e carnefici, in cui i salotti televisivi divengono palcoscenici per criminologi, psicanalisti, esperti di frizzi e di lazzi e in cui solo il truculento fa notizia. Oggi siamo gli spettatori del fatto che, una volta esaurito il clamore dei “Porta a Porta” di casa nostra, per dare un tocco di brio alla casetta della tranquilla Perugia occorrono i network americani, che in fatto di spettacolarizzazione non sono secondi a nessuno.

E se poi a farne le spese è la giustizia italiana, quotidianamente depredata e offesa da giornali, legislatori, esponenti del governo, saltimbanchi e ballerine, poco importa. Del resto l’avvocato difensore del correo della condannata americana non è pure presidente della commissione Giustizia della Camera dei Deputati? Suvvia, in fin dei conti siamo sempre in Italia, dove i delitti rimangono impuniti e dove “chi ha avuto ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato ha dato; scurdammose 'o passato, simm'e Napule, paisa'!”